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Naturale non fa male: sarà vero?

Naturale e artificiale sono due stereotipi della cultura contemporanea. Ma la presunta infallibilità del naturale è falsa, perché ignora che i vegetali elaborano in natura sostanze e veleni. Come in laboratorio

  • Rosa Camoletto
  • Gennaio febbraio 2011
  • Martedì, 6 Maggio 2014
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"Non è quello che non sai che ti mette nei guai. È piuttosto quello che ti sembra certo, e non lo è affatto". Questo celebre aforisma di Mark Twain esemplifica molto bene la questione: quante persone sono convinte che i farmaci e gli integratori ricavati dai vegetali siano sicuramente innocui perché prodotti con sostanze "naturali" e non "artificiali"? Il numero di questi "ingenui" è sicuramente molto alto, e continua a crescere, complice anche una certa pubblicità che presenta la natura selvaggia come inesauribile fonte di princìpi attivi assolutamente innocui, contrapposti alle sostanze di sintesi, che sono da guardare con sospetto in quanto "prodotti chimici", cioè innaturali. In realtà ogni prodotto è "chimico", perché tutte le sostanze, viventi o inanimate, sono formate da atomi uniti tra loro in vario modo. Le sostanze artificiali vengono prodotte elaborando in laboratori e fabbriche i componenti di base, mentre le sostanze naturali vegetali vengono generate, con gli stessi meccanismi, all'interno di un vegetale. Certamente i vegetali sono fabbriche molto più antiche dei nostri laboratori farmaceutici e le molecole da loro prodotte sono già state sperimentate molto più a lungo, nel bene e nel male, dall'insieme di organismi viventi che, per motivi diversi, ne sono venuti a contatto. I vegetali sono infatti in grado di elaborare, oltre alle sostanze strettamente necessarie al funzionamento delle loro cellule, anche decine di migliaia di tipi differenti di metaboliti secondari, molecole che determinano i colori, i profumi e i sapori delle diverse parti del vegetale. Una parte di queste sostanze attira impollinatori e trasportatori di frutti e semi, mentre altre molecole svolgono funzione di dissuasione e di difesa contro i possibili predatori. Il corpo umano, così come quello di molti animali, è già abituato a riconoscere molte molecole vegetali presenti nei cibi, nei tessuti, negli oggetti d'arredo, nei coloranti, nei profumi e in ogni altro materiale di origine vegetale con cui veniamo in contatto per i motivi più disparati. La tradizione erboristica, che ha origini molto antiche, ha selezionato, attraverso sperimentazione ed errori, una serie cospicua di sostanze che in dosi opportune riescono a stimolare beneficamente un organismo malato, senza produrre danni significativi. Tuttavia alcune piante di uso tradizionale, sulla base delle nuove conoscenze scientifiche, sono oggi fermamente sconsigliate, perché i loro veleni possono danneggiare il paziente piuttosto che curarlo. È il caso della felce maschio, che è tossica per i vermi intestinali e molto pericolosa per l'uomo, o della chelidonia, perché gli alcaloidi contenuti nel suo latice provocano seri disturbi intestinali. Ogni popolo stanziale ha imparato a sperimentare e riconoscere i vegetali spontanei del proprio territorio, siano essi funghi, insalate, frutti o bulbi. Anche i segreti delle piante esotiche introdotte da mercanti e viaggiatori sono stati poco per volta compresi e tramandati. Da molto tempo sappiamo, ad esempio, che la patata deve essere consumata soltanto dopo cottura, perché la solanina la difende dagli erbivori affamati ma privi di fuoco. E che il mais, pianta americana diffusa da Cristoforo Colombo, non può essere l'unica nostra fonte di cibo, perché carente di vitamine e, come un veleno, può portare alla morte. Ma la complessità della società moderna e la vita lontana dai campi hanno interrotto la trasmissione di questi saperi e la cieca fiducia nella bontà della natura si trasforma spesso in una trappola. Quanti sanno che molte specie spontanee si rassomigliano, ma alcune sono innocue e altre velenose? I funghi chiamati "mazza di tamburo" e le lattughe dei campi sono un ottimo esempio di trappola velenosa: qualche specie è un ottimo commestibile, qualcun'altra, molto simile, produce sostanze tossiche. L'ovolo buono è un fungo con carne giallo pallido, mentre l'ovolo malefico ha carne bianca: la differenza è visibile, ma la fretta e la superficialità possono far pagare un caro prezzo agli sprovveduti. Il fiore del colchico, pianta velenosa, è molto diverso dal fiore del cipollaccio col fiocco, comunemente chiamato lampascione, ma i cercatori di piante commestibili possono confondere le due piante perché i bulbi si raccolgono solo quando non sono in fiore. La genziana gialla ha le foglie opposte, mentre il veratro ha le foglie alterne, ma un raccoglitore frettoloso non nota queste differenze, e può confondere radici digestive con radici tossiche. Le infiorescenze della gaggìa sono bianche e dolci, mentre quelle del maggiociondolo sono gialle e velenose, ma anche l'aspetto di queste ultime è delicato e innocuo, così molte persone cadono nel tranello.

Non dimentichiamo che anche molte piante ornamentali che fanno bella mostra di sé in giardino e nelle nostre case riservano amare sorprese per gli sprovveduti, in particolare bambini e animali domestici, che incoscientemente ingoiano le rosse bacche del pomino d'amore, i variegati semi del ricino, le foglie maculate della diffenbachia, diverse parti del tasso, dell'agrifoglio e dell'elleboro. La lista delle piante ornamentali potenzialmente velenose è molto lunga, e comprende anche, tra l'altro, il diffusissimo e apparentemente innocuo lauroceraso. Soltanto una buona educazione naturalistica permette di affrontare e superare queste trappole: nel dubbio, è meglio affidarsi a raccoglitori esperti e qualificati. Usiamo anche un po' più di prudenza nell'utilizzare nuovi cibi e nuovi prodotti erboristici esotici, perché possono scatenare pericolose reazioni allergiche in popolazioni che non si sono ancora adattate. A volte un preparato erboristico può diventare veleno. Come è possibile? In parte dipende dalle dosi: l'uso empirico di molte erbe officinali, come la digitale e la belladonna, non può essere praticato, perché la dose terapeutica è pericolosamente vicina a quella tossica e un errore può essere facilmente mortale. Anche l'uso di prodotti erboristici in aggiunta ai farmaci di sintesi prescritti dal medico sta diventando un problema sempre più preoccupante, perché i pazienti che si illudono di accelerare la guarigione sommando le proprietà di due sostanze, scatenano invece in molti casi effetti collaterali dannosi, a volte addirittura mortali. L'aloe, fortemente pubblicizzato come rimedio per migliorare diverse funzioni dell'apparato digerente, se viene utilizzato molto a lungo provoca carenza di potassio e questa carenza viene accentuata se il soggetto è anche sotto trattamento di alcuni diuretici o cortisonici. Inoltre, l'aloe può rallentare l'assorbimento dei medicinali assunti per via orale, o contribuire a favorire gravi emorragie in persone sottoposte a intervento chirurgico. L'aglio non deve essere sommato ai farmaci anticoagulanti di sintesi. L'iperico viene usato nel trattamento della depressione lieve e moderata e ha dimostrato di avere meno effetti collaterali di molti farmaci di sintesi, ma recentemente sono state scoperte numerose interazioni con diversi tipi di medicinali, perciò l'assunzione deve essere controllata dal medico curante. I biancospini vengono comunemente utilizzati per le note proprietà cardiotoniche, antiaritmiche ed antiipertensive, ma la conoscenza più approfondita degli effetti biochimici ha portato oggi i medici a riconoscere diverse interazioni con farmaci antiipertensivi, antianginosi ed antiaritmici. L'agnocasto, arbusto dalle delicate infiorescenze cerulee usato per secoli nel trattamento di disturbi ginecologici, deve essere utilizzato con più cautela dalle donne che assumono contraccettivi orali o sono sottoposte a una terapia ormonale sostitutiva, ma anche da chi utilizza farmaci antipsicotici e medicinali che interagiscono con la regolazione della dopamina. Il luppolo, simpatica pianta rampicante che dona il suo aroma alla birra, viene utilizzato da secoli anche per le sue proprietà sedative, ma non deve essere associato a diverse tipologie di farmaci antidepressivi, sedativi o anticonvulsivi, perché la somma degli effetti depressivi sul sistema nervoso può portare anche alla morte. In gran parte, le interazioni tra farmaci di sintesi e prodotti erboristici dipendono anche dalle dosi, o da un utilizzo troppo prolungato di sostanze apparentemente leggere e innocue. Estratti erboristici e tisane fumanti sono un'ottima risorsa, ma è meglio non eccedere e, in ogni caso, scegliere prodotti con informazioni scientifiche rigorose, ricordandoci di comunicare sempre al medico e all'erborista l'elenco delle sostanze che stiamo assumendo. Studi sempre più approfonditi sugli effetti delle varie sostanze attive prodotte dai vegetali e utilizzate in erboristeria o nell'industria degli integratori alimentari porteranno sicuramente alla scoperta di nuove risorse ricavate dai "veleni" vegetali, ma aumenteranno anche la consapevolezza che un "veleno", fosse anche servito sotto forma di tisana, deve essere rispettato per quello che realmente è, una sostanza che interagisce con il nostro metabolismo e può scatenarne la guarigione o sconvolgerlo in mille modi diversi.

Rosa Camoletto

Naturalista, conservatore responsabile Sezione Botanica e Giardino Botanico Rea, Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino

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