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Ditelo con una mimosa…

La mimosa, emblema di forza e femminilità, non è solo una pianta ornamentale, incubo di tutti gli uomini che se ne svegliano privi l'8 marzo, ma anche un prodigioso rimedio per la pelle.

  • Loredana Matonti
  • marzo 2016
  • Lunedì, 7 Marzo 2016
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Acacia dealbata, chiamata impropriamente "mimosa"  Loredana Matonti Acacia dealbata, chiamata impropriamente "mimosa" Loredana Matonti
ramo di di Acacia dealbata
foto di Loredana Matonti
albero di Acacia dealbata sul Lago maggiore
foto di Loredana Matonti

Graziosa, delicata, intelligente, sensibile, a volte "sensitiva", dall'apparenza fragile...eppure così resistente...sono queste le caratteristiche della pianta assunta a simbolo della festa della donna, non a caso, analoghe a quelle che solitamente si attribuiscono alla figura femminile.

Emblema che dovrebbe ricordare a tutti, ancora oggi, le battaglie, le lotte e le vittorie che si sono avvicendate per garantire i diritti che per lungo tempo le sono stati negati. Battaglie che, in un certo senso, continuano a essere combattute ancor oggi.

L'idea di scegliere questo fiore lo si deve a delle donne italiane; l'usanza infatti è nata a Roma nel 1946, quando l'U.D.I (Unione Donne Italiane) scelse questa pianta per l'occasione. L'evento comunque si celebrava nel mondo già da decenni: il terribile incidente nella fabbrica di New York in cui persero la vita più di 100 lavoratrici accadde infatti l'8 marzo 1908, ed in America la commemorazione avveniva già dal 1909, in alcune parti dell'Europa dal 1911 e in Italia dal 1922.

E così l'8 marzo, da tempo, tutti i quartieri si colorano di giallo e dietro ogni angolo improvvisati venditori ambulanti propongono il loro rametto fiorito. Il giorno in cui vuoi per romanticheria, vuoi per cortesia, anche il macho più rude si scioglie in un augurio verso l'altro sesso.

Ma si fa presto a dire mimosa...La classificazione del genere è stata, fino a tempi recenti, piuttosto confusa, e molte specie dalla morfologia simile sono state in passato accorpate in questo genere, che annovera oltre 700 specie, tutte esotiche, delle regioni tropicali e subtropicali, ma non tutte a fiori gialli.
Tecnicamente poi, la pianta assunta a simbolo di questo giorno è erroneamente chiamata "mimosa" visto si tratta in realtà di un'acacia, precisamente l'Acacia dealbata, introdotta nell'Europa meridionale dalla Tasmania a fine Ottocento. Un equivoco, ormai dato per assodato. Si tratta nel nostro caso di una sempreverde, delicata, con la corteccia liscia e grigia, alta fino a dieci-dodici metri, con fiori piccolissimi e profumati, riuniti in gialli capolini globosi, che sbocciano da gennaio a marzo; questi sono composti da petali poco sviluppati e da numerosissimi stami lunghi e sottili. Le foglie sono bipennate, argentee, e danno un aspetto leggero alla chioma irregolare e scomposta. Sia l'Acacia, che la Mimosa, sono generi che appartengono alla stessa famiglia delle Fabacee. 

Il nome del genere "Mimosa" propriamente detto è legato secondo alcuni al latino "mimus" ed allude alla sensibilità di alcune di queste specie, perché quando si contraggono sembrano interpretare con la stessa intensità le smorfie dei mimi che simulano il sentimento della vergogna.
La loro singolarità infatti, consiste nel compiere dei piccoli movimenti, contorsionismi strani che partono dal riavvicinamento a due a due di foglioline opposte, a cui segue il ripiegamento del picciolo di una foglia, e poi quello delle altre vicine e via via delle più lontane. Alcuni di questi movimenti, detti "fotonastici", si verificano in seguito all'alternarsi del giorno e della notte, come fossero posizioni di veglia e di sonno. Altri, detti "seismonastici", sono provocati da qualunque stimolo sulla pianta (calore, urto, scosse elettriche...).

Il curioso fenomeno è particolarmente spiccato nella Mimosa pudica, per questa caratteristica detta anche "sensitiva", che arriva dal Brasile. Pianta spinosa, alta poco più di 50 centimetri, possiede fiori rosa-violacei e un nome che, contrapposto al suo aspetto, fa venire in mente una fanciulla combattuta tra reticenza e sensualità. Ciò che stupisce di questa specie è la sua "intelligenza" e il fatto che sembra in grado di "ricordare". Per esempio, se un colpo ricevuto al vaso rappresenti o meno un pericolo; dopo alcuni di questi colpi ripetuti, se innocui, smette infatti di chiudere le foglie.

Un'altra specie, la Mimosa tenuiflora, che cresce nell'America centromeridionale, dagli 800 ai 1000 metri di altitudine, sembra invece abbia promettenti virtù per la cura della pelle e il suo ringiovanimento, tema sempre molto caro al genere femminile...

In Messico, dove vegeta, è conosciuta col nome di "Tepezcohuite", che significa "Albero della Pelle"; i Maya la apprezzavano per le proprietà della sua corteccia, che hanno usato per più di mille anni per il trattamento di lesioni cutanee.
In tempi recenti, si rivelò fondamentale per il trattamento di alcune delle 5000 vittime di ustioni, ferite a seguito di una serie di esplosioni di gas di petrolio liquefatto in una struttura situata vicino a Città del Messico a San Juan Ixhuatepec (San Juanico) il 19 novembre 1984.

In Cina invece era conosciuta come "la corteccia della felicità collettiva", per le persone che avevano bisogno di un "conforto spirituale o di purificazione". Veniva usata per purificare il cuore e i meridiani del fegato o come rimedio comune per fastidi muscolari generalizzati o gonfiore.
In Europa le sue proprietà curative sono state scoperte solo da circa 25 anni, quando alcuni studi scientifici hanno convalidato le proprietà attribuite dall'uso tradizionale delle antiche popolazioni messicane per curare l'acne, la psoriasi e l'herpes.

Si può far essiccare e polverizzare, per poi applicarla direttamente sulle lesioni cutanee; forma una crosta solidale con la cute lesionata che impedisce infezioni e stimola la ricrescita del tessuto sottostante, si stacca a guarigione avvenuta.
La corteccia infatti, è ricca di principi attivi dall'effetto anti-infiammatorio e battericida, con attività superiore alla streptomicina (un potente antibiotico); ciò probabilmente giustifica l'effetto curativo nei confronti di ulcere, piaghe, ustioni, ferite e, come se non bastasse, sembra essere anche un esaltatore dell'umore, come riteneva la medicina tradizionale cinese.

Oltre agli effetti di cui sopra, il "tepezcohuite" può stimolare la produzione di collagene e acido ialuronico, essenziali per la rigenerazione dei tessuti; qualità promettenti per rallentare l'invecchiamento della pelle, e non solo nel gentil sesso.

Insomma... una pianta che varrebbe la pena ricordassimo decisamente più spesso che un solo giorno all'anno!

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