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Il giardino alpino Chanousia

Un museo vivente di bellezze naturali alpine al Piccolo San Bernardo

  • Loredana Matonti
  • luglio 2015
  • Venerdì, 31 Luglio 2015
Il giardino Chanousia foto di L. Matonti Il giardino Chanousia foto di L. Matonti

"La mia Chanousia non deve diventare un elegante giardino di montagna ma un museo vivente delle bellezze alpine...".

Così l'abate Pierre Chanoux, sognava questo angolo di paradiso da lui creato a fine '800; un giardino alpino che si trova attualmente nei pressi del Colle del Piccolo San Bernardo, a circa 800 metri al di là del confine italo-francese, nel comune di Séez.
Posto in un paesaggio alpino di notevole bellezza, a 2.170 m di quota, in vista della grandiosa mole del Monte Bianco e di altre imponenti cime, si estende su una superficie di circa 10.000 mq., con una discreta pendenza, su un substrato costituito da scisti carboniosi.

La bellezza del paesaggio e delle specie che vi vegetano, sarebbe già motivo sufficiente di visita, ma ancor più coinvolgente è inoltrarsi nella singolare storia della sua fondazione e immaginare con quanta fatica potè sorgere in un clima ostile, affrontando anche le peripezie di tempi difficili, grazie alla tenacia e alle qualità umane del suo fondatore. Il clima infatti, è molto severo, con precipitazioni nevose variabili da 4 a 8 metri che perdurano fino a giugno e spesso anche oltre. Basti pensare che la temperatura media annua è di + 1° C e che forti venti spazzano frequentemente il Colle, ieri come oggi.

Ciò nonostante l'abate Chanoux, grande naturalista e botanico, iniziò a raccogliere in un terreno antistante l'Ospizio, adibito a "orto-giardino", molte specie di piante alpine, sia per sperimentarne la coltivabilità a quella quota elevata, sia per insegnare ai turisti e ai montanari ad ammirarne la bellezza, a conoscerle e a rispettarle. Emblematiche e profonde le sue parole, rivolte al visitatore: "...Voglio che tu sia il benvenuto al Piccolo San Bernardo e che senta il bisogno spirituale di ritornare in montagna, di amarla con passione e di studiarla in tutti i suoi aspetti..." Col suo entusiasmo d'altronde, era capace di accendere emozioni e interessi ecologisti in un'epoca in cui, 'l'ecologismo', non era neppure in embrione.
Nel 1891 il comune di La Thuile mise a sua disposizione un pascolo a poca distanza dall'ospizio, affinché potesse proseguire le sue ricerche sulla flora alpina. Da tempo l'abate accarezzava l'idea di disporre di un terreno adatto alla realizzazione di un giardino alpino.
In quei tempi cominciavano a fiorire i giardini botanici sulle Alpi, in particolare in Svizzera, e proprio alcuni amici svizzeri, botanici e floricoltori, aiutarono l'Abate Chanoux a concretizzare il suo sogno.
Uomo eccezionale ed eclettico, spaziava dagli interessi di ricerca scientifica a quella spirituale e, assieme alla sorella Maria, non mancava neppure di esprimere la sua caritatevole attenzione nell'offrire ristoro e accoglienza ai pellegrini che attraversavano il colle. Al di sopra delle parti, lui trattava tutti con lo stesso metro, che fossero principi o poveri. La sua bontà e dedizione tanto per la natura quanto per gli uomini erano note al di qua e la di là del valico, tanto da fargli guadagnare una stima e un affetto che trascendevano i conflitti nazionalistici e di frontiera.

La storia
Tra mille difficoltà, che l'abate superò utilizzando tutte le proprie risorse, anche economiche, il giardino fu inaugurato nel 1897, e gli fu dato il nome "Chanousia", in onore del suo ideatore, su suggerimento dell'amico svizzero Henri Correvon.
Ben presto l'abate fu affiancato nel proprio lavoro al giardino dal prof. Lino Vaccari, botanico appassionato, di origine veneta, docente di Scienze Naturali al Liceo di Aosta, che gli succedette dopo la morte, avvenuta nel 1909, a 81 anni. Fu sepolto nella cappella situata a poca distanza dal suo amato giardino.
Grazie al lavoro di Vaccari, nell'arco di circa quarant'anni, il giardino raggiunse il massimo splendore; negli anni 40 infatti vi erano coltivate più di 2.500 specie di ambiente alpino, provenienti cioè non solo dalle Alpi, ma anche da sistemi montuosi di ogni parte del mondo e la fama del giardino giunse in tutti gli ambienti scientifici.

Per lo sviluppo del giardino fu determinante, oltre a un miglioramento della situazione economica, la costruzione dapprima di un piccolo locale dove ricoverare gli attrezzi e le persone nei non rari momenti di maltempo, e la realizzazione poi nel 1922 di una sede per il Laboratorio e la Direzione, dovuta alla generosa opera di mecenatismo del dr. Marco De Marchi. In questo edificio Vaccari allestì anche un piccolo Museo in cui aveva raccolto documentazione fotografica di piante alpine, animali della zona imbalsamati, materiale archeologico e oggetti di artigianato locale.

Purtroppo, la seconda guerra mondiale segnò la fine della Chanousia: nel settembre del 1943, a causa delle vicende belliche, Vaccari dovette abbandonare precipitosamente il giardino, senza poter salvare nulla, né i testi della biblioteca, né le raccolte fotografiche, né il preziosissimo erbario, di cui fu fatto scempio, strappato e forse bruciato. Le costruzioni, comprese quelle del giardino, furono occupate dalle truppe e il colle divenne teatro di guerra fino alla sua conclusione nel 1945. Alla fine del conflitto non rimaneva quasi più nulla...Di chi la colpa? Di tutti, ma come scrisse Vaccari, "soprattutto della guerra, della guerra maledetta che eccita la furia bestiale dell'uomo".
In seguito al trattato di pace tra Francia e Italia del 1947 la parte del colle su cui sorgono l'ospizio e il giardino entrò a far parte del territorio francese, e solo in seguito, nel 1964, l'uno e l'altro vennero riconosciuti proprietà italiane in Francia. Il giardino rimase abbandonato a se stesso e, non più curato, perse gran parte delle collezioni di piante, a causa dell'incuria e dei furti anche delle specie coltivate. Il prof. Vaccari non tornò più a rivedere la sua Chanousia e morì a Roma nel 1951, amareggiato a causa dei gravi danni apportati al giardino dalla guerra e dall'abbandono.

Alla fine della guerra, in forza del trattato di pace, i territori su cui sorgono il giardino e i resti dell'ospizio, gravemente danneggiato, passarono sotto la sovranità della Francia, pur restando di proprietà privata dell'Ordine Mauriziano e del Comune di La Thuile.
Questa situazione impedì per lungo tempo di trovare una soluzione per la ricostruzione del giardino. Per trent'anni vi furono discussioni e tentativi di progetti da parte di volenterosi e, finalmente, per merito di alcune associazioni scientifiche italiane e francesi come la Société de la Flore Valdòtaine e la Société d'Histoire Naturelle de la Savoie, dell'Ordine Mauriziano e delle municipalità di La Thuile e di Séez, si giunse alla creazione di un'Associazione Internazionale di diritto francese che ora gestisce il giardino.
Nel 1976 venne dato ufficialmente inizio ai lavori di ricostruzione delle recinzioni e dell'edificio principale, e alla restaurazione del giardino. Questa è consistita nel recupero e ripristino dei sentieri, nella risistemazione delle aiuole e nella ricerca e identificazione delle specie coltivate ancora esistenti, che risultarono essere poco più di un centinaio.
Nel 1988 è stata completata anche la ricostruzione del piccolo edificio un tempo adibito a ricovero e a laboratorio fotografico, e che ora ospita a piano terra un piccolo museo di ricordi dell'abate Chanoux, del giardino nei suoi primi anni di vita e dell'Ospizio, mentre al primo piano si trova una foresteria per ospitare studiosi che desiderino compiere ricerche sull'ambiente alpino.

Il giardino
Lungo i sentieri di Chanousia si possono ammirare alcuni ambienti di alta quota, come le rupi silicee, in cui spiccano la Primula hirsuta e la Saxifraga biflora; il macereto siliceo con le sue caratteristiche piante a cuscinetto che sviluppano apparati radicali molto estesi, in grado di fissare la pianta al substrato e di esplorare un grande volume di terreno alla ricerca di acqua in profondità. Questo fenomeno, detto "nanismo", si può osservare nel cosiddetto muschio fiorito (Silene acaulis), o nella Saxifraga oppositifolia.

Poi si osservano le rupi calcaree con le sue rare piante come la Silene elisabethae, la rarissima Aethionema thomasianum (endemica della Val di Cogne) e la Saxifraga retusa subsp. Augustana (endemica delle Alpi occidentali).
Ampie zone sono state lasciate a prateria naturale e dopo il disgelo di luglio si ricopre di splendide piante erbacee basse e fitte, come la Viola calcarata, il trifoglio alpino, la genziana di Koch, la genziana purpurea, l'arnica.

Non mancano poi le zone umide con l'ambiente di greto, che cede il passo alla torbiera (caratterizzata da giunchi ed equiseti) e in cui fa capolino una specie carnivora, la Pinguicola comune, a cui segue il prato umido, un ecosistema su suoli pianeggianti, in parte impermeabili, sui quali l'acqua scorre lentamente; infine è presente un piccolo laghetto nel quale si possono osservare Ranunculus aquatilis, galleggiante, con piccoli fiori bianchi, la Caltha palustris e il Ranunculus aconitifolius.
Il pendio, sotto la casa-laboratorio di Chanousia, è denominato da un frammento di megaforbieto (associazione vegetale di alte erbe che vivono in aree umide e fresche), le cui specie più caratteristiche sono l'Epilobium angustifolium, il Cavolaccio alpino (Adenostyles alliariae) e la cicerbita violetta (Lactuca alpina).

Simbolo del giardino, vista la sua abbondanza nei valloni vicini, è la Campanula thyrsoides, splendida specie dall'infiorescenza giallo pallido.

I semi delle varie specie sono raccolti in natura o provengono da altri giardini; vengono poi fatti germinare in apposite aiuole, o semenzai. Da anni, è stata ripresa la tradizione dello scambio semi, che consiste nel redigere ogni anno un catalogo dei semi raccolti nell'ambiente naturale e nel giardino (Jndex seminum), inviandolo poi a giardini alpini di tutto il mondo e ricevendo in cambio i loro cataloghi, in modo da poter fare richieste ed esaudire quelle altrui.
Oggi purtroppo, a causa di tagli e restrizioni, le casse del giardino languono e di conseguenza anche le aiuole, bisognose invece di un'attenzione e manodopera costanti.
ll valore ecologico e la storia del sito sono tali da meritare un occhio di riguardo in più da parte degli amministratori pubblici, per non sperare in nuovo mecenate privato che, come il De Marchi all'epoca, possa dare nuovo ossigeno a questo museo vivente di "bellezze alpine". Collezionate e adattate con tanta fatica nel corso di più di un secolo, sono riuscite a sfidare la furia degli Elementi così come quella degli uomini, arrivando fino ai giorni nostri.

 

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