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La montagna delle farfalle

Estremo avamposto delle Alpi Graie prima della pianura torinese, il Musinè è la montagna più vicina alla città e per questo molto frequentata. Difficile non incontrare qualcuno percorrendo il classico sentiero che dal campo sportivo di Caselette conduce alla cima in meno di due ore. ma...

  • Filippo Ceragioli
  • gennaio 2010
  • Giovedì, 28 Gennaio 2010

La fatica della salita è ricompensata dallo straordinario panorama sulla conurbazione torinese. Il Musinè in passato è stato molto chiacchierato e oggetto di interesse da parte di ufologi e studiosi del paranormale, molto meno tra gli ecologisti e gli amanti della natura. Tra le molte leggende e tradizioni che lo riguardano c'è quella per cui ai suoi piedi si sia svolta la battaglia tra il pagano Massenzio e l'imperatore Costantino, il quale, in quell'occasione, avrebbe avuto la celebre visione della Croce cristiana. La monumentale croce in cemento armato eretta all'inizio del Novecento sulla cima della montagna ricorda l'evento. Agli antichi romani la zona del Musinè piaceva comunque parecchio, tanto che decisero di costruirci intorno ville e cascine, e anche nelle epoche successive religiosi, nobili, borghesi e popolani si rivolsero alla montagna con vari obiettivi e motivazioni. Oggi però le vecchie attività produttive – pascolamento, viticoltura, taglio dei boschi, estrazione di minerali – hanno quasi ovunque ceduto il passo al naturale avvicendarsi degli ecosistemi e la zona è diventata un importantissimo serbatoio di biodiversità a due passi dal capoluogo piemontese. Le minacce però non sono poche: gli incendi, la possibile espansione di insediamenti residenziali e strade e, soprattutto, il progetto di bucare la montagna da parte a parte con una lunghissima galleria ferroviaria.
I molti volti del Musinè
Il Musinè possiede ben quattro creste: due convergono direttamente sulla cima mentre le altre due confluiscono tra loro al Truc dell'Eremita, che a sua volta è collegato alla cima principale da un tratto di crinale non troppo ripido. Le diverse esposizioni e uno sbalzo di 800 metri tra la base e la vetta della montagna creano una grande varietà di ambienti ognuno dei quali ospita specie animali e vegetali caratteristiche. Alla biodiversità vegetale contribuisce anche un terreno ricco di magnesio, un elemento che consente anche a piante legate ai suoli calcarei di prosperare nonostante l'acidità del suolo. Da un punto di vista naturalistico gli ambienti più interessanti sono le zone umide, i prati aridi e i boschi ma anche luoghi con minore biodiversità come pietraie, boscaglie, cave abbandonate o le residue aree agricole contribuiscono a creare un mosaico assai ricco e differenziato.
Le zone umide: sono aree ecologicamente preziose ma ormai rare a causa delle bonifiche e dell'urbanizzazione. Innanzitutto vanno ricordati il Lago di Caselette e le pozze semi-naturali nell'area del vecchio villaggio Primavalle. La scarsa profondità di questi bacini li rende adattissimi alle piante galleggianti come ninfee e nannuferi, dalla vistosa fioritura rispettivamente bianca e gialla. La loro rive fangose sono invece occupate da tife, canne e giunchi che, con l'accumulo di materia organica e terriccio, tendono ad estendersi verso il centro del bacino fino ad un suo totale interramento. È stato questo il destino dell'antico specchio d'acqua oggi occupato dalla palude di San Grato, nei pressi di Brione, la cui vegetazione dominata dal falasco (Cladium mariscum) è ormai rarissima in Piemonte. In alcuni di questi piccoli corpi idrici si possono trovare il gambero di fiume e la testuggine palustre, un tempo diffusi in tutta la regione e ora in rapida regressione a causa dell'espansione di specie concorrenti di origine esotica. Anche l'avifauna del lago di Caselette e del vicino Lago Borgarino è molto interessante: l'associazione naturalistica "Le Gru", che da anni porta avanti il monitoraggio ornitologico della zona, ha rilevato complessivamente più di 150 specie di uccelli. Tra queste però solo una minoranza riesce a svernare perché gli specchi d'acqua sono poco profondi e d'inverno spesso ghiacciano impedendo il soggiorno a specie quali il beccaccino o il martin pescatore.
Un'altra importante tipologia di zona umida è quella dei "prati igrofili", dove la falda idrica emerge in superficie nei mesi più piovosi. Alcune di queste aree sono per fortuna tuttora utilizzate dagli agricoltori locali per il pascolo o lo sfalcio; un loro abbandono causerebbe l'avanzata del bosco e metterebbe in pericolo la fauna specifica di questo ambiente ed in particolare le farfalle del genere Maculinea. Questi piccoli lepidotteri diurni hanno un complesso ciclo vitale legato sia al consumo di boccioli fiorali (antofagia) che alla frequentazione dei nidi delle formiche (mirmecofilia). Per le loro particolari esigenze ecologiche sono molto vulnerabili ai mutamenti ambientali e sono quindi state incluse nella lista delle specie a più alto rischio di estinzione. La popolazione del Musinè è unica in Italia per la compresenza di due specie di Maculinea (alcon e teleius), che vivono entrambe a spese dello stesso tipo di formica (Myrmica tulinae).
I prati aridi: occupano le zone libere dal bosco e dal pietrame sui versanti più assolati e battuti dal vento. Il suolo superficiale, le forti pendenze che impediscono il ristagno idrico e il notevole soleggiamento hanno selezionato una vegetazione xerofila (amante dell'aridità). Dove la falda idrica riesce saltuariamente ad arrivare in superficie si sviluppa la Molinia arundinacea, un'alta erba che sopporta sia il ristagno idrico sia lunghi periodi di siccità. Qua e là è pure presente il brugo, una specie acidofila che nelle particolari condizioni chimiche di questi suoli coesiste con altre normalmente legate a terreni basici. Nella bella stagione si possono godere splendide fioriture come quella delle orchidee, ben rappresentate sul Musinè, e della velenosissima dafne odorosa, abbondante a monte delle vecchie cave di magnesite. Dove il substrato roccioso emerge in superficie poche piante riescono a sopravvivere; spiccano tra queste alcune Crassulacee come i semprevivi e l'erba pignola. Tra le numerose farfalle che frequentano i versanti meglio esposti attira invece l'attenzione la vivace colorazione di Callimorpha quadripunctaria, una specie che ha reso celebre la "valle delle farfalle" dell'isola di Rodi. Ancora più importante da un punto di vista naturalistico è Saga pedo, una grossa cavalletta predatrice di altri insetti caratteristica perché non ne sono noti individui di sesso maschile. La sua riproduzione è infatti partenogenetica, ovvero avviene mediante uova non fecondate dal maschio. L'insetto necessita di un clima caldo e asciutto ed in Piemonte si ritrova solo nel Parco delle Capanne di Marcarolo, a più di duecento chilometri dal Musinè. La presenza della vipera, in alcuni luoghi addirittura segnalata da appositi cartelli stradali, negli anni è gradualmente diminuita per l'aumento delle popolazioni dei suoi predatori naturali. Le aree più assolate della montagna ospitano anche un'avifauna termofila e permettono lo svernamento di specie che in genere gravitano attorno all'area mediterranea come il biancone, l'assiolo o il succiacapre.
I boschi: i boschi del Musinè sono oggi un mosaico di formazioni vegetali spontanee e di altre dovute all'opera dell'uomo e in seguito trasformate da fenomeni come l'azione dei parassiti, gli incendi e la naturale espansione delle specie autoctone. Le aree più interessanti da un punto di vista botanico sono i querceti, diffusi sia ai piedi della montagna che sulle sue pendici. Data l'acidità del terreno il tipo di quercia che prevale è la rovere; a questa si accompagna spesso il castagno, introdotto in passato dai montanari nelle zone più vicine ai nuclei abitati. A partire dai 900 metri sui versanti più freschi compaiono il tiglio e il faggio; quest'ultimo diventa predominante in prossimità della vetta sul versante di Val della Torre. I boschi del Musinè sono particolarmente affascinanti per le fioriture primaverili. Il dente di cane (Erythronium dens-canis) è tra le piantine che approfittano del breve intervallo tra la fine dell'inverno e l'emissione delle nuove foglie da parte delle querce, quando cioè il sottobosco è più umido e soleggiato. Un'altra specie caratteristica è il cinquefoglio bianco, una parente stretta della fragola considerata così rilevante da aver portato i botanici a battezzare questo tipo di boschi "querceto di rovere a Potentilla alba". Tra la flora dei boschi e delle radure sono ancora da segnalare varie orchidee e la rara Campanula bertolae, endemica delle Alpi Cozie e Graie. Altre interessanti specie di sottobosco sono il pungitopo, che ama le posizioni di mezz'ombra dei boschi a bassa quota, e Leopoldia comosa, i cui bulbi amarognoli (lampascioni) sono consumati sott'olio nelle regioni dell'Italia meridionale.
I querceti del Musinè ospitano due specie di coleotteri che sono tra le più vistose e altrove si sono estinte per la scomparsa del proprio habitat: il cervo volante e il cerambice della quercia. Le loro larve hanno bisogno di parecchi anni per svilupparsi e scavano lunghe gallerie all'interno delle vecchie querce nutrendosi del loro legno. Una presenza meno gradita è quella della processionaria del pino, un lepidottero notturno dannoso alle conifere e caratteristico per i suoi vistosi nidi bianchi composti di peli urticanti.
Tra i mammiferi, alle specie tipiche della bassa montagna, nel periodo invernale, si aggiunge il camoscio, segnalato sul crinale che scende verso Brione.
I paesi
Sulla vetta del Musinè convergono i confini di tre comuni: Almese, Caselette e Val della Torre. In passato però le cose erano un po' diverse, almeno per quanto riguarda il versante meridionale. Fino alla fusione con Almese, avvenuta il 26 gennaio 1928, Rivera era infatti un comune autonomo che comprendeva tutta la porzione del Musinè oggi in territorio di Almese. Andando più indietro nel tempo il Comune di Rivoli possedeva una buona parte del versante meridionale e, in particolare, gli abitati di Milanere, Grangiotto e Camerletto. Si trattava però di una zona molto lontana dal centro comunale e ciò creava gravi disagi alla popolazione. Le frazioni di Grangiotto e Camerletto, che già facevano riferimento da un punto di vista religioso alla parrocchia di Caselette, ottennero il 29 novembre 1870 di essere unite a questo comune grazie a una petizione presentata dai loro abitanti al Consiglio Provinciale di Torino, l'organo allora competente in materia. Ancora più antico è il provvedimento che svincola Milanere dall'autorità di Rivoli per sottoporla a quella di Rivera, le Regie Patenti del 21 maggio 1816. Questo atto ebbe però tra le sue conseguenze quella di provocare uno stato di tensione cronica tra gli abitanti di Milanere e quelli di Rivera in merito ai diritti sui pascoli e i boschi della frazione. Il conflitto rischiò più volte di sfociare in veri e propri scontri armati e si risolse gradualmente solo verso la fine dell'Ottocento.
Il Sito d'Interesse Comunitario (SIC)
Il monte Musinè è stato individuato dalla L.R. n.19 del 2009 come SIC (Sito di Interesse Comunitario) con denominatzione "Monte Musinè e Laghi di Caselette". I SIC sono parte della rete ''Natura 2000'', una rete ecologica continentale che al di là della tutela di singole specie o aree vuole difendere la vitalità delle popolazioni isolate permettendo lo scambio di individui tra i vari siti. Il codice assegnato al nostro SIC è IT1110081; l'area protetta si estende per 1.524 ettari e comprende, oltre al Musinè, anche i rilievi morenici che lo incorniciano e i piccoli laghi intramorenici di Caselette e di San Gillio (Lago Borgarino). L'inclusione di un area in un SIC deve, per legge, essere tenuta in debito conto nelle Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) e Valutazioni Ambientali Strategiche (VAS) prescritte per la realizzazione di grandi opere (quali le infrastrutture di trasporto). Per ogni SIC la Regione deve adottare un Piano di Gestione che fornisca indicazioni per una sua gestione in grado di evitare "alterazioni che ne pregiudichino lo stato di conservazione". Tra gli obiettivi più importanti per l'area del Musinè ci saranno senza dubbio l'accompagnamento delle aree di rimboschimento verso una progressiva ricolonizzazione da parte di specie autoctone più resistenti al fuoco, la salvaguardia dei laghetti e delle aree umide e una qualche forma di intervento che favorisca una fruizione rispettosa dell'area (escursionismo, mtb etc.) e impedisca invece attività incompatibili con la sua tutela e conservazione.

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