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La Valle dei Twergi



Strona, ci sono diverse valli a portare questo nome il cui etimo significa forse rumoroso per lo scrosciare delle acque, ma quella più nota è incuneata tra la Val Sesia e la Val Toce che scende al Lago d'Orta.



  • Mino Lodola
  • marzo 2012
  • Domenica, 18 Marzo 2012
Per saperne di più:

Le notizie relative al SIC sono tratte dallo studio dell'IPLA: Sindaco, Savoldelli, Selvaggi La rete natura 2000 in Piemonte-i Siti di Importanza Comunitaria-Regione Piemonte Comunità di Cultura Walser Valstrona, Campello Monti, Ornavasso 1991


Una valle aspra e dirupata ma per molti versi magica. Non solo per la presenza dei misteriosi Twergi o delle streghe che escono di notte dalle caverne di Sambughetto ma anche per l'alto tasso di ingegnosità dei suoi abitanti. I Twergi erano (sono?) piccoli esseri vestiti di foglie e di stracci; creature furbe ma non cattive con un rapporto con gli umani fatto di favori e di dispetti. Lavoravano il legno e i metalli e insegnavano ai montanari a trattare il latte e a fare il bucato con la cenere. Abitavano nei boschi, negli anfratti e nelle grotte sulla montagna. che la fantasia popolare dei walser di Ornavasso ha collocato sul monte Massone. In quanto all'ingegno giova ricordare come a Cusinallo Emilio Lagostina pose le basi per la produzione delle innovative pentole a pressione, e un Guglielminetti, Ernest svizzero ma figlio di italiani emigrati dalla Val Strona, medico coloniale, cento anni fa propose al principe Alberto I di Monaco di "asfaltare" 40 metri di strada sul lungomare del Principato con una miscela di bitume caldo, ghiaia e sabbia lì per lì preso in giro e soprannominato "Dottor Asfaltò"; un altro Guglielminetti nel 1851 brevettò una rivoluzionaria borraccia militare in legno di pioppo. A Carlo Zamponi di Forno va invece ascritto il tipico cucchiaio di legno prodotto in milioni di esemplari e a Giuseppe Piana il brevetto di un pinocchietto snodabile di grande successo. Le modeste risorse che si potevano ricavare dall'agricoltura e la ricchezza di acque aguzzarono l'ingegno e con l'introduzione di un modello innovativo di tornio e lo sviluppo di piccole fucine impiantate lungo gli impetuosi ed energici torrenti, i valstronesi sono diventati maestri nella lavorazione del legno e del peltro. Non oggetti di grandi dimensioni ma produzioni artigianali di massa molto definite. Ecco allora manici di ombrelli, macinapepe, calci di pistola e anche oggetti in peltro e stampini da cucina. Centinaia di piccole aziende che in molti casi nel tempo sono scese in pianura per proseguire il successo imprenditoriale. Dove i boschi lasciano il posto ai pascoli e i mulini idraulici alle casere è il "luogo di campello". Campello è Campello Monti, ora frazione di Valstrona, ma sino al 1929 comune autonomo. Monti ovviamente non ha nulla a che vedere col Mario Presidente del Consiglio ma è un'aggiunta per distinguere il nostro paese da altri "campelli" (Campello sul Clitumno, Campello in val Levantina). Le origini di Campello risalgono al XIII secolo quando coloni walser, le genti di origine tedesca chiamate dai feudatari locali al di qua delle montagne per colonizzare e valorizzare le alte terre dove la presenza romanza era temporanea, varcarono il colle e da Rimella in Val Mastallone discesero in Valle Strona. Per alcuni secoli i rapporti con il fondovalle restarono piuttosto labili e sino al 1569, quando fu istituita la parrocchia, i campellesi dipesero per le funzioni religiose da Rimella. Tant'è che i morti venivano trasferiti con grande disagio in quel cimitero e d'inverno erano provvisoriamente conservati nella neve in attesa di tempi migliori. La comunità non fu mai molto numerosa e anche nei periodi di maggior incremento demografico arrivò a superare di poco i 200 abitanti. La presenza dei walser è tradita non tanto dall'architettura di cui nel capoluogo non restano che poche tracce ma dai costumi e dai toponimi di alcune località. Alluvioni, valanghe e incendi hanno ripetutamente modificato l'ambiente costruito, sempre più influenzato dalle tendenze cusiane. Nel 1880 i residenti erano ormai solamente più 86, e nel secolo successivo si è consumata inesorabilmente l'agonia di questo piccolo insediamento. Soppresso il comune, chiusa la scuola, l'ultimo abitante stabile fu l'indimenticato Augusto Riolo, custode di Campello tutto l'anno, che se ne è andato definitivamente nel 1980. A Campello Monti fa capo l'omonimo SIC, Sito di importanza comunitaria, che si estende per circa 550 ettari ed è parte integrante del Parco naturale dell'Alta Val Sesia e Strona, di cui rappresenta l'estensione sul versante cuciano. Il sito tutela il settore di testata della valle a monte dell'abitato, un'area compresa tra i 1300 e 2400 metri di quota e delimitata, approssimativamente, dalla linea di cresta che va dal Monte Ronda (2416 m) alla Cima Capezzone (2421 m) e termina alla Punta del Pizzo (2233 m). Il territorio è caratterizzato da versanti a profilo irregolare, con elevata acclività e affioramenti rocciosi alla cui base si trovano accumuli detritici e depositi morenici a testimoniare antiche glaciazioni. Il paesaggio è quello degli ambienti alpini erbosi e rupestri; la forte riduzione del pascolo ha permesso la colonizzazione delle zone a vegetazione erbacea da parte delle formazioni arboree ed arbustive. Queste ultime occupano ormai intere pendici e sono costituite in prevalenza da ontano verde (Alnus viridis) e rododendro (Rhododendron ferrugineum), ma anche da maggiociondolo (Laburnum anagyroides), sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia) e della rara ginestra stellata (Genista radiata). Nella parte superiore dei versanti, ove aumenta la pendenza, dominano invece le praterie rupicole discontinue e la vegetazione che colonizza detriti e rocce. Infine, ai margini inferiori, sopra l'abitato di Campello Monti, si trova un piccolo boscodi larice. Il valore naturalistico del SIC è legato alle peculiarità della flora e della vegetazione che vi sono presenti e che originano numerosi ambienti di importanza comunitaria. Tra quelli erbacei sono da segnalare le praterie basifile, quelle acidofile a Nardus stricta, ricche di specie, le praterie montane da fieno e, nelle zone più fresche, i megaforbieti igrofili. In stretto contatto con i precedenti, come già accennato, sono localizzati gli habitat forestali dei lariceti, degli arbusteti a rododendro e mirtilli e quelli dei ghiaioni e delle pareti rocciose silicee. Infine, nei pressi delle zone più umide poste nelle depressioni, si trovano comunità di transizione tra torbiere a sfagni e cariceti. Le conoscenze floristiche sul sito sono ampie anche se non esaustive. Tra le specie presenti è da mettere in rilievo la presenza di alcuni endemismi nord-ovest alpici (Phyteuma humile, Sempervivum grandiflorum, Seneciohalleri, Campanula excisa) e di alcune specie inserite nella Lista Rossa italiana o regionale (Androsace vandellii, Thlaspi sylvium, Galiumtendae, Polystichum braunii). Tra le specie tutelate a livello europeo è presente Asplenium adulternium. La fauna è quella tipica alpina ma gli studi approfonditi, essendo l'area soltanto da poco oggetto di tutela, sono scarsi. Per quanto riguarda gli uccelli, sono finora segnalate 37 specie, quasi tutte nidificanti e prevalentemente stanziali. Si tratta di specie tipicamente alpine: il sordone (Prunella collaris), il gracchio (Pyrrhocorax graculus), il codirossone (Monticola saxatilis), il picchio muraiolo (Tichodroma muraria, l'aquila reale (Aquila chrysaëtos), la pernice bianca (Lagopus mutus helveticus), il fagiano di monte (Tetrao tetrix tetrix) e la coturnice (Alectoris greca saxatilis). Tra le specie sensibili sono presenti la lucertola muraiola (Podarcis muralis), e il lepidottero (Parnassius apollo), entrambi comunque piuttosto diffusi in Piemonte. Inoltre sono segnalate 13 specie di coleotteri carabidi, tra i quali Trechus salassus, endemico delle Alpi Lepontine, Pterostichus parnassius, endemico di Piemonte e Valle d'Aosta, Reicheiodes fontanae, stenoendemico di questa zona, e Carabus concolor, la cui distribuzione regionale comprende le Prealpi Biellesi, le Alpi Pennine e la parte più occidentale delle Alpi Lepontine. Se con la realizzazione del parco, l'area è oggi tutelata da minacce di manomissione territoriale, bisogna ricordare che questo paesaggio, come quelli della maggior parte delle Alpi, è frutto della secolare interazione dell'uomo con l'ambiente. Alcuni habitat come quelli delle praterie si sono instaurati conseguentemente con la pratica della pastorizia. Con l'abbandono della montagna e delle attività zootecniche tradizionali, i pascoli sono progressivamente invasi da formazioni arbustive con conseguente perdita di biodiversità e scomparsa di alcuni habitat. La strada carrozzabile che sale da Orta, strettissima nell'ultima parte, termina a Campello a 1305 m. D'inverno (valanghe permettendo), il luogo è deserto, d'estate si anima e si può trovare ospitalità nell'unica osteria o nel Posto Tappa GTA realizzato nella vecchia e ormai dismessa scuola. Le escursioni più classiche sono quella che conduce alla Bocchetta di Campello e poi discende a San Gottardo nella Valle di Ribella. Solitaria è la gita che conduce al Lago del Capezzone, da cui nasce il torrente che dà nome alla valle sulle cui sponde si trova il bivacco Adele Troglio dove è possibile all'occorrenza trovare rifugio. Al limitare dell'area protetta è l'escursione che porta al Colle di Ravinella e al sottostante lago da dove si può scorgere il gruppo del monte Rosa e il ghiacciaio del Sempione. A poca distanza dal paese si possono anche vedere gli antichi lavori minerari.

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