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Un sogno di ghiaccio

Appartengo a quella categoria di lettori e di spettatori attirati irresistibilmente dal tema dei disastri climatici prossimi venturi. La nostra grande famiglia di catastrofisti si divide in due schieramenti: gli amanti del caldo e gli amanti del freddo, quelli che auspicano un avanzamento dei tropici e quelli che sognano una nuova era glaciale. Pur senza avere mai calpestato un ghiacciaio, sono sicuro che starei meglio al freddo. Alle elementari la maestra Bussone Culasso (la vera maestra ha sempre due cognomi) ci spiegava che le valli a V erano state scavate nei millenni da un corso d'acqua mentre quelle a U erano il risultato dell'avanzamento di un ghiacciaio che poi si era ritirato. Sembrava che il ghiacciaio fosse un essere dotato di una volontà propria, che, dopo essersi spinto fino al bordo delle pianure, avesse deciso di tornarsene in montagna. Da allora, ogni volta che in viaggio incrocio l'imboccatura di una valle, per prima cosa la classifico e poi, se per caso decido che si tratta di una valle a U, m'immagino la massa di ghiaccio dai riflessi blu e verdi dalla quale esce il torrente glaciale. Un'acqua bianca, tumultuosa, che sembra latte e rotola a valle inciampando nei ciottoli. La realtà è ben diversa, i bollettini meteo parlano solo di ritirata, un anno dopo l'altro. “I ghiacciai risalgono in disordine quelle valli da cui discesero nei secoli passati con orgogliosa sicurezza...” (firmato Diaz: per colpa del bollettino della vittoria molti veneti nati nel 1918 si ritrovarono Firmato come nome di battesimo). Che invidia quando si legge nelle cronache dell'assedio di Torino del 1706 che l'inverno precedente e quello successivo il Po era così ghiacciato da reggere il passaggio dei carri e delle carrozze! In tempi molto più recenti, agli inizi del '900, le fotografie ci mostrano coppie che sul laghetto ghiacciato del Valentino volteggiano affiancate sui pattini. La mia generazione ha fatto in tempo a vivere le stagioni del grande freddo, l'ultimo inverno della guerra e il primo della pace. Con l'acqua ghiacciata nei tubi, le lenzuola stese all'aperto e ritirate rigide come stoccafissi, serrature e infissi bloccati dal ghiaccio. Abitavo in una via in discesa e alla sera, prima di ritirarci in casa, noi ragazzi gettavamo sul marciapiede secchiate d'acqua che nella notte diventava ghiaccio e ci permetteva il giorno dopo di compiere meravigliose scivolate. E pazienza se qualche adulto incosciente e distratto scivolava e batteva una culata per terra. Nelle mie fantasticherie di ragazzo mi vedevo a bordo di una nave rompighiaccio in viaggio in Antardide, ospitato in una confortevole e calda cabina, quando l'arrivo inaspettato e precoce dell'inverno ci bloccava e ci costringeva a stare fermi fino al ritorno della bella stagione, impedendomi di tornare a scuola. Le storie delle esplorazioni polari esercitavano un fascino irresistibile. Gli scrittori non vanno esenti da questa fascinazione. Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe, scritte nel 1838 quando ancora si fantasticava su che cosa gli uomini avrebbero trovato in Antartide, s'interrompe quando mancano tre capitoli alla fine. Al punto in cui Artur Gordon Pym e Dick Peters, il quartiermastro della baleniera Grampus, scampati su un canotto alla strage dei selvaggi, avanzando verso il Polo Sud, giungono all'84° di latitudine e dalla barriera delle nebbie vedono sollevarsi una figura enorme, la cui pelle ha il candore perfetto della neve. Gordon Pym si conclude al Polo Sud mentre Frankenstein, di Mary Shelley, del 1818, inizia al Polo Nord; qui si trova l'esploratore Walton, su una nave imprigionata dai ghiacci, che racconta in una serie di lettere alla sorella Margaret la sua avventura: ha visto passare, diretto al Polo, su una slitta trainata dai cani, una creatura gigantesca che altro non è che il mostro senza nome creato dal dottor Frankenstein, che comparirà il giorno dopo mentre sta inseguendo la sua creatura. Quanto a me, il desiderio di vivere in un mondo fatto di ghiaccio è soddisfatto dal fatto di passare accanto al grande Igloo di Mertz che decora l'inizio di corso Mediterraneo a Torino.