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Dalla parte degli invasori

  • Bruno Gambarotta
  • novembre 2009
  • Martedì, 10 Novembre 2009

Dal caos primitivo Quetzalcoatl crea gli uomini e la Terra e si consuma in un incendio, ma tornerà a redimere gli uomini sotto forma di "nuvola bianca". Questo credono gli Aztechi durante il regno di Montezuma II. Fino all'anno 1519 della nostra era, fino al giorno in cui all'orizzonte non compare uno sparuto drappello di cavalieri spagnoli capitanati da Hernàn Cortez. Sono protetti dalle corazze e hanno fucili e pistole. E' naturale che gli Aztechi, che non hanno mai visto né cavalli né corazze né armi da fuoco, pensino che il Serpente Piumato sia ritornato secondo le scritture e si sottomettano agli spagnoli. Leggendo di specie alloctone, di invasori vegetali o animali, è all'imperatore Montezuma che penso, alla faccia che avrà fatto. Mi ricordo del film Alla ricerca dell'Arca Perduta, della sequenza nella quale Harrison Ford è sfidato da uno spadaccino che fa precedere l'affondo da un'esibizione coreografica mulinando la spada da maestro; Ford aspetta che lo sfidante concluda il suo numero poi tira fuori la pistola e con un colpo solo lo fa secco. Alle medie, quando ancora si studiavano i poemi omerici, la classe si divideva in due fazioni: i partigiani di Achille e quelli di Ettore. Non avevo dubbi, mi schieravo dalla parte di Achille. Perciò sono dalla parte degli invasori. Anche del pesce siluro, un mostro di cento chili che inghiotte tutti gli altri pesci del Po e del lago

Vittoria? Sì, anche per lui. Sì, perché è un modo per movimentare un po' i regni animale e vegetale, per vedere la faccia che fanno gli autoctoni, perché è una pia illusione il proposito di innalzare barriere. L'animale o la pianta che invadono l'habitat altrui dispongono di strumenti più sofisticati e più progrediti sulla linea evolutiva, ammesso che sia lecito parlare di progresso. L'aspetto più intrigante di questo perenne movimento consiste nella constatazione che sono gli uomini a introdurre le nuove specie. Lo fanno ovviamente a fin di bene, per arricchire e migliorare la nostra dieta, per combattere animali o insetti nocivi. Nei secoli passati lo facevano senza porsi troppi problemi e qui il pensiero va ai conigli diventati una piaga in Australia. Ma anche ora, pur avendo a disposizione molte più informazioni genetiche e biologiche, non è che la specie umana si astenga dal tentare esperimenti, pur sapendo che è impossibile governare le infinite variabili.

Il paradigma dell'apprendista stregone è duro a morire. Lo prova il rifiorire delle leggende metropolitane che tornano a circolare all'affacciarsi di una nuova epidemia, prima con l'AIDS e ora con la suina, con il racconto del virus creato in laboratorio e sfuggito di mano agli scienziati. Per risolvere alla radice il problema dell'inquinamento marino, i biologi sono a buon punto nella sperimentazione di un batterio che si nutre di petrolio e dei suoi derivati, ed è ghiottissimo di materie plastiche. Il mio augurio disinteressato è che funzioni così bene da divorare anche gli scafi delle imbarcazioni da diporto che infestano le rive dei nostri mari.
Il bilancio costi/ricavi della lotta fra specie alloctone e specie autoctone forse è in attivo, almeno per le specie vegetali. Facendo un rapido e incompleto elenco abbiamo: la pianta del cacao dall'America in Africa e Asia, la canna da zucchero dall'India al Centro America, quella del caffè dall'Arabia al Brasile, il mais e la patata dall'America all'Europa.

D'altra parte quella di sperimentare è una tentazione irresistibile: avessi un orto non farei altro che piantare semi di piante esotiche e stare a vedere quello che succede.
Con il mondo animale andrei un tantino più cauto, non mi attrae l'idea di passare alla storia come quello che ha introdotto l'alce assassina o l'oritteropo carnivoro.