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Piemonte Parchi

Osservare gli animali in natura

Leggere attentamente le avvertenze

  • Luca Giunti, guardiaparco Alpi Cozie
  • settembre 2013
  • Giovedì, 6 Marzo 2014
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Ciuffolotto. Foto: L. Giunti Ciuffolotto. Foto: L. Giunti
Gruccioni
Foto: M. Perello
Ciuffolotto - Ascalaphus
Foto: L. Giunti
Aquila
Foto: L. Giunti
Camoscio
Foto: L. Giunti
Volpe
Foto: L. Giunti
Marmotta e fiori
Foto: L. Giunti

Come guardiaparco accompagno molte persone in montagna. Nella comune percezione gli “animali” sono molto pochi, e solo mammiferi grandi. Chi mi chiede quali animali vivano nel Parco Alpi Cozie vuole sentirsi rispondere cervi, camosci e stambecchi, accetta stupito che gli parli di uccelli, ma solo dei più famosi, storce il naso se elenco rettili e anfibi, e si allontana scuotendo la testa se discorro di insetti. Quando, tanto per buttar giù qualche cifra, identifichiamo nel mondo appena 4000 mammiferi, a fronte di 9000 uccelli, 10000 tra rettili e anfibi, 20000 pesci e 1000000 di insetti (ma si ritiene che almeno un altro milione non sia ancora stato scoperto). Non saremo un po’ parziali?

Le aspettative di osservazione degli animali sono spesso influenzate dai documentari televisivi. Questo provoca in chi visita i Parchi alcune incomprensioni che è sempre bene risolvere prima di incamminarsi, pena forti delusioni.

Innanzitutto un problema di dimensione: lo schermo rende tutto uguale, un elefante “sta” in 17 pollici tanto quanto una rana. Così, dal vivo gli animali ci stupiscono per le loro misure, sempre un po’ più grandi o un po’ più piccole di quelle che prevediamo.
Poi un problema di osservazione: gli animali in natura sono quasi tutti poco visibili, anche i più grandi, mentre lo schermo si concentra su una piccola porzione di paesaggio, nella quale è facile notare il soggetto che ci interessa. Così il color camoscio del camoscio in estate lo rende difficile da scorgere anche in campo aperto, e ci sentiamo frustrati e un po’ ridicoli a non centrarlo nemmeno con il binocolo.
Poi un problema di tempo: un documentario di venti minuti richiede magari un mese di spossanti appostamenti quotidiani, ciascuno lungo una decina di ore, e, soprattutto, spesso infruttuoso! In seguito, nella fase di montaggio ogni immagine sfocata o disturbata viene tagliata, e si concentrano in una mezzora tecnicamente perfetta giorni e giorni di riprese. Così, in natura essendo gli incontri di solito brevi, restiamo delusi: non abbiamo visto bene, c’era un albero in mezzo, eravamo distratti o cercavamo la macchina fotografica, e quel cervo è scappato così in fretta!

E qui arriviamo al problema più evidente, quello dei rapporti osservatore/osservato: l’animale ripreso in televisione non fugge, non è allarmato dai nostri odori, né spaventato dalla nostra presenza e dai nostri suoni. Così quando abbiamo la fortuna di avvistare diciamo un capriolo, siamo incapaci di accucciarci, di rimanere veramente fermi, e, soprattutto, zitti. La tentazione di sussurrare a quelli dietro “SSSH! C’é un capriolo!” è semplicemente irresistibile, con l’inevitabile risultato che il capriolo scappa, veduto solo dai primi della fila. Se Heisenberg nel 1927 avesse avuto la televisione non avrebbe mai potuto formulare il suo celebre principio di indeterminazione...

Infine un problema di conoscenza: questi bellissimi filmati raccontano fascinose faune esotiche, le quali vanno a occupare nella nostra mente lo spazio che, credo, dovremmo riservare ai più comuni animali nostrani. Cosicché conosciamo tutto delle tecniche di caccia dei leoni e del comportamento riproduttivo degli ippopotami, ma dei ghiri sappiamo solo che vanno in letargo, e delle volpi che mangiano le galline. E non ricaviamo queste informazioni da osservazioni dirette, ma dai libri o dai racconti dei nonni. Eppure è più probabile che uno qualunque di noi incontri proprio ghiri e volpi, insieme a tassi, faine, pipistrelli, e a tutti i “topoidi” (una dozzina di specie solo in Piemonte), piuttosto che scimmie ed elefanti. Per limitarci solo al campo dei mammiferi, beninteso!

Finisco con un aspetto più etico. Alcuni filmati mostrano esperti ricercatori che maneggiano con grande confidenza gli animali oggetto del loro studio o del loro lavoro. In questo caso le avvertenze dovrebbero essere maiuscole. Infatti trasmettono inconsapevolmente due messaggi che ritengo fuorvianti e pericolosi. Il primo è che gli animali siano poco o nulla disturbati dai nostri interventi, e il secondo è che si possano sempre e comunque avvicinare o toccare, basta farlo senza cattive intenzioni. Entrambi sono falsi. In realtà tutti gli animali selvatici patiscono la nostra presenza, e nessuno di loro ha piacere di essere manipolato (tanto è vero che i veterinari prima di particolari interventi li anestetizzano con una siringa sparata da lontano). Ignorare le reazioni di un selvatico senza vie di uscita o la sua distanza di fuga rappresenta quindi una vera e propria mancanza di rispetto, e una potenziale situazione di rischio. Poiché non sappiamo interpretare i loro segnali, dovremmo comportarci con la prudenza e la sottomissione del turista straniero in un paese del quale non conosce lingua e costumi.

In conclusione voglio forse dire che non bisogna più guardare Superquark? No di certo. Solo, prima di sedersi in poltrona, bisogna leggere attentamente le avvertenze.

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