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Sirfide, bioindicatore della salute degli habitat

Piemonte Parchi torna ad occuparsi dei Sirfidi e della loro preziosa funzione di misuratori della biodiversità dell'ambiente, a partire dalla nuova ricerca di Umberto Maritano, giovane ricercatore piemontese che si è recentemente aggiudicato il prestigioso premio Giovanni Binaghi, bandito dalla Società Entomologica Italiana, per un analogo studio condotto nel 2019 nel Bosco del Merlino, area protetta del Monviso.

  • Laura Succi
  • Giugno 2022
  • Giovedì, 13 Ottobre 2022
Temnostoma vespiforme  - Foto U. Maritano Temnostoma vespiforme - Foto U. Maritano

I Sirfidi (il nome scientifico è Syrphidae) vengono anche chiamati ditteri per la presenza di due ali ben sviluppate, mentre altre due sono state trasformate dall'evoluzione in una sorta di bilanciere, strumento utilissimo per il volo. Hanno antenne solitamente corte e suddivise in tre segmenti, una caratteristica che li colloca nel sottordine dei Brachycera.

L'attributo principale di questa famiglia di insetti è la presenza di una venula alare troncata, detta vena 'spuria', che non si congiunge con le altre. Un altro elemento rilevante per il riconoscimento, peraltro presente anche in altre famiglie come quella dei Bombyliidae, è l'hovering, cioè il volo stazionario in aria, come quello degli elicotteri e dei droni, soprattutto in prossimità delle infiorescenze: visto che il loro apparato boccale è succhiante e lambente, per rifornirsi di nettare e polline hanno la necessità di appoggiarsi su corolle piatte. Per  questo  motivo per cui non visitano fiori come quello della salvia, per esempio, all'interno del quale entrano invece insetti dotati di altri strumenti per raccogliere il loro succo.

All'interno di questo schema generale si possono riconoscere anche altri caratteri distintivi. Le antenne, ad esempio, generalmente corte, sono in alcuni casi più lunghe del capo in quanto i tre segmenti antennali risultano allungati; in altri casi l'arista, cioè il filamento posto sul terzo articolo antennale, può essere piumosa, aspetto che rende l'antenna molto voluminosa. Nel genere Ceriana è articolata grazie a un pedicello basale.

Anche le diverse forme del capo sono utilizzate per il riconoscimento. I Cheilosini sono una tribù caratterizzata da una protuberanza facciale evidente; i Pipizini hanno un capo completamente piatto, visto di profilo, mentre nel genere Rhingia a fare la differenza è il margine boccale molto allungato. I caratteri utili per l'individuazione includono anche la forma dell'addome, che può essere piezolata, ovvero ristretta come il vitino della vespa. oppure appiattita; le zampe possono presentare ispessimenti o speroni o anche lunghi peli, alle volte raggruppati a ciuffi, su femori e tibie. Nei generi più complessi per l'identificazione è necessario procedere all'estrazione dei genitali maschili, come per i generi Pipizella o Sphaerophoria. Dalla comparazione di tutti questi caratteri è possibile individuare gli appartenenti di quella che è una delle famiglie di insetti più diffuse sulla Terra.

Questi piccoli insetti, che a prima vista possono sembrarci insignificanti, se non fastidiosi, se conosciuti meglio sono in grado di stupirci. Anzitutto sono dei veri maestri nel mimetismo batesiano: replicano per morfologia o comportamento altri insetti velenosi o potenzialmente pericolosi per i predatori. Per esempio Temnostoma vespiforme, ha zampe anteriori più scure delle posteriori che agita sopra il capo, in modo da farle sembrare delle antenne di vespa. Milesia crabroniformis, il più grosso sirfide in Europa - misura fino ai 2,5 centimetri di lunghezza -, simula il calabrone: anche se dal punto di vista morfologico non è perfettamente identico, presenta le stesse dimensioni e ronzio. A volte le ali dei Sirfidi sono bicromatiche, più scure nella parte anteriore e più chiare nella porzione posteriore, per riprodurre la sovrapposizione del doppio paio di ali degli imenotteri.

Grandi impollinatori, prediligono i fiori delle composite, per via della loro corolla piatta, ma anche arbusti come Prunus e Crataegus, edere o erbe come l'euforbia.

Le loro larve non sono meno formidabili degli adulti per la loro capacità di adattarsi a vari tipi di habitat e microhabitat. Le saproxiliche dipendono, almeno in uno stadio del loro ciclo vitale, dal legno deperiente o morto e si trovano all'interno di grossi tronchi, a terra oppure in piedi. Possono nutrirsi anche delle colature della linfa. Le larve saprofaghe si nutrono di sostanze organiche in decomposizione; quelle acquatiche fanno una specie di snorkeling, visto che sono dotate di un sifone respiratorio- detto 'a coda di topo' – che le collega al mondo esterno. Ci sono poi le larve predatrici di afidi e lepidotteri Tortricidi (farfalle), estremamente utili nella lotta biologica; larve fitofaghe, che si possono sviluppare all'interno della lamina fogliare o più spesso di bulbi; larve mirmecofile, che vivono nei nidi delle formiche e - ancora - coprofile, che si nutrono di escrementi. e micetofile che si cibano di funghi.

Il fatto che in corrispondenza di specifici habitat si trovino larve di specie differenti offre la possibilità di utilizzarle come bioindicatori dell'integrità ecologica. Proprio per questo è stato sviluppato, su finanziamento dell'Unione Europea, il database Syrph the Net (StN), strumento indispensabile per le nuove ricerche, in quanto custodisce i dati di tutte le specie europee e delle loro caratteristiche ecologiche: tipo di habitat e microhabitat, indicazioni dulle migrazioni, periodo dell'anno in cui vivono gli adulti e tante altre informazioni ancora. La base di partenza sono le specie attualmente note, circa 970 a livello europeo, delle quali circa 520 in Italia e poco più di 300 in Piemonte.

Termometri della salute dell'ambiente

A partire dall'elenco delle specie note nella regione in cui ricade il sito da indagare, si associa l'habitat-specie, ovvero quanto risulta dal database StN, con l'habitat rilevato nell'area di studio. Il risultato offre la lista delle specie attese, cioè delle specie che ci si aspetta di trovare nell'area di ricerca. L'ultimo passaggio è il confronto tra le specie attese e quelle realmente osservate nel monitoraggio, abbinamento che porta a ottenere una percentuale sorprendente: la Funzione di mantenimento della biodiversità (BDMF), tanto più alta quanto più l'habitat è ricco e complesso.

Un esempio pratico è rappresentato dall'area di ricerca del Bosco della Partecipanza di Trino (che si trova all'interno del Parco naturale del Bosco della Partecipanza e delle Grange vercellesi), un residuo di bosco planiziale simile alla foresta primaria che ricopriva la Pianura Padana in un antico passato e composto per l'86% da querce e carpini e - per la restante parte - da macchie di ontani. Il Bosco, che ha subito infiniti tagli ma che è stato mantenuto nella sua interezza grazie alla gestione continuativa operata nel corso dei secoli, oggi è completamente isolato da qualsiasi altra area ricoperta da vegetazione arborea e da coltivazioni intensive, in particolare di riso, caratteristica questa che l'ha reso un ottimo caso di studio.

Per il monitoraggio sono stati utilizzati trapezi di tulle alti 1,80 x 1,80 metri, chiamati trappole Malaise. L'insetto che entra nella tenda viene attratto dal sole e vola verso l'alto, entrando in una boccetta contenente alcool. Per rendere particolarmente efficace il lavoro sono stati fatti anche transetti, ogni 10 giorni circa e della durata di sei ore. Ogni transetto è un percorso nel bosco, lungo cui vengono individuati e indagati con attenzione alcuni tratti particolarmente significativi per lo studio, per la presenza di particolari infiorescenze, o per l'esposizione al sole o l'esistenza di presenza di corsi d'acqua o materiale legnoso a terra. Il giro è circolare e dura nel complesso 6 ore: vengono catturate a retino le specie presenti a densità molto basse nell'area di studio e quindi non facilmente rilevabili dalle trappole fisse come le Malaise. Oltre a queste sono state impiegate anche alcune esche 'a emergenza', in tessuto e dotate di botticino, posizionate sopra all'area da indagare, da cui "sfarfallano" le specie che si sono sviluppate in quel preciso substrato.

Umberto Maritano, il ricercatore indipendente che ha curato lo studio (e che Piemonte Parchi aveva già intervistato un anno fa in occasione del premio ricevuto per un analogo lavoro al Bosco del Merlino) tra i mesi di marzo e ottobre 2022 ha raccolto nel Bosco della Partecipanza di Trino ben 67 specie di Sirfidi. "Per quanto riguarda il Piemonte su 300 specie ne risultano minacciate circa 30 e una di queste è nota solo grazie a questo studio all'interno del Bosco della Partecipanza di Trino" ci spiega. "Ben sei sono risultate segnalate per la prima volta nella nostra Regione, 19 sono in decremento in relazione ai dati StN e una in pericolo per la lista rossa europea IUCN".

"E' la Callicera fagesii la specie considerata da IUCN in pericolo di estinzione in Europa. Tipica delle foreste ben conservate, vive nella cavità degli alberi vetusti, soprattutto querce, che contengono materiale liquescente stabile nel tempo, interstizi come quelli possono offrire casa a questo insetto anche per 100 lunghi anni, generazione dopo generazione" prosegue Maritano. "Anche Temnostoma vespiforme è un ritrovamento particolarmente prezioso, si tratta del primo avvistamento in Piemonte: è legata ai grossi tronchi marcescenti collassati in acqua tra gli ontani ed è segnalata in Italia esclusivamente in alcune località nel Nord-Est. Ben due specie del genere Brachyopa sono invece legate alle colature di linfa. Anche Milesia cabroniformis, è un sirfide tipico del querceto maturo. Tra le specie caratteristiche degli ambienti di alneto troviamo invece Chrysogaster sostitialis, piccola, corpo nero e occhi rossi. Un'altra nuova segnalazione per il Piemonte, in questo caso non solo di specie ma anche di genere, e legata agli ambienti umidi, è la Mesembrius peregrinus. Questa è una specie legata in particolare alle acque stagnanti in cui marcisce la vegetazione, la sua presenza in questo bosco rappresenta una specie osservata ma non attesa e quindi arricchisce l'unicità del luogo a livello regionale ed è quindi anche un arricchimento della biodiversità a livello locale".

I risultati della ricerca sono cautamente confortanti: se l'integrità ecologica del Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino è moderatamente negativa, probabilmente per i prelievi massicci di legno fatti nei secoli, le specie di saprofaghe acquatiche e saproxiliche sono ben rappresentate e contano diverse specie rare, rendendo così questo relitto di foresta alluvionale di grande interesse per la conservazione.

"La ricerca ha anche fornito dati utili per la gestione del Bosco. In primo luogo la presenza dell'acqua è un fattore determinante per molte larve di sirfidi: sono molto più presenti sia in termini di quantità che di specie nelle ceppaie poste nelle immediate vicinanze di pozze e ruscelli rispetto a quelle più isolate, ma anche la presenza di piante vive vetuste è necessaria per la biodiversità. In questo senso l'alneto, che affonda le sue radici in acqua, deve aver svolto il ruolo fondamentale di riserva di biodiversità durante i periodi avversi per l'integrità del Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino in tempi storici" conclude Maritano.

Dalla ricerca risulta dunque rafforzato il concetto che l'ecosistema forestale, di cui anche gli insetti fanno parte, rappresenta un'immensa fonte di biodiversità e gli insetti che lo popolano non sono affatto marginali, sono una parte del tutto indispensabile.

Per approfondimenti:

Lista rossa europea IUCN

Ricerca effettuata Parco naturale del Bosco della Partecipanza e delle Grange vercellesi

 

Sull'argomento:

Sirfidi ovvero i termometri degli ecosistemi

"L'arte di collezionare mosche", di Fredrik Sjöberg (crittore, entomologo, collezionista e giornalista culturale che si è trasferito su un'isola svedese per collezionare sirfidi).

 

 

 

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