Stampa questa pagina

Dalla Val Troncea all'Africa, e ritorno

Il culbianco è una specie comune nelle Alpi italiane ed è ideale per le ricerche in campo ecologico: facile da osservare, gli esemplari della specie sono sufficientemente grandi da 'indossare' dei piccoli geolocalizzatori in grado di monitorarne la posizione durante i loro lunghi viaggi. 

  • Dan Chamberlain, Maria Sander e Domenico Rosselli*
  • Settembre 2021
  • Mercoledì, 6 Ottobre 2021
Culbianco in volo | Foto p.g.c. BattiGai Culbianco in volo | Foto p.g.c. BattiGai

Come facciamo a sapere dove vanno gli uccelli in inverno? E' noto da tempo che alcune specie europee raggiungono l'Africa a fine estate, ma le stesse possono provenire da un'area molto vasta e, da un punto di vista scientifico, è interessante conoscere dove si dirigono gli individui di una determinata popolazione di una certa specie. Fin dall'inizio del XX secolo le indagini in questo campo si sono svolte tramite l'inanellamento: un uccello catturato e marcato con anello numerato in Europa può essere ricatturato o trovato morto nella sua area di svernamento o nei territori che attraversa durante la migrazione; questa tecnica è stata estremamente utile per lo studio delle migrazioni e per l'ornitologia in generale, e continua a fornire dati fondamentali. La nostra conoscenza delle migrazioni delle varie specie è aumentata in modo rilevante a seguito di recenti sviluppi nelle tecnologie per la localizzazione; una di esse riguarda l'applicazione sugli uccelli di un geolocalizzatore, cioè di un dispositivo elettronico di tracciamento che consente di conoscere la posizione dell'individuo a intervalli regolari nell'arco di lunghi periodi di tempo. 

L'albatros urlatore è stato il primo uccello monitorato tramite satellite, e la tecnologia utilizzata ha mostrato che questi uccelli compiono viaggi straordinariamente lunghi: si sono registrati percorsi di 15mila chilometri effettuati solo per consegnare una porzione di cibo al proprio pulcino! Da allora sono state fatte molte altre scoperte incredibili utilizzando la cosiddetta "tracking technology": ad esempio, le pittime minori compiono il volo non-stop più lungo che si conosca relativamente agli uccelli, 11mila chilometri dall'Alaska alla Nuova Zelanda; i cuculi volano per 7.500 chilometri a una velocità di 60 km/h per raggiungere l'Africa dalla Mongolia e il falaropo beccosottile lascia la Scozia dopo il periodo riproduttivo, attraversa l'Atlantico, scende lungo la costa americana e passa l'inverno al largo delle coste dell'Ecuador. Altre centinaia di specie sono state monitorate con la geolocalizzazione, tra cui alcune specie italiane come l'airone rosso, il capovaccaio, il grillaio, la ghiandaia marina e il rondone pallido, solo per citarne alcune.

Studiare il culbianco in Val Troncea

Il culbianco è invece una specie comune nelle Alpi italiane dove frequenta gli ambienti di prateria, specialmente a elevate altitudini, nidificando in fenditure rocciose in prossimità del suolo. E' una specie ideale per le ricerche in campo ecologico rispetto ad altre poichè è relativamente facile sia osservare gli adulti che individuare i nidi; aspetto importante inoltre è che la specie è sufficientemente grande per portare dei piccoli geolocalizzatori, quindi è possibile verificare quando gli individui marcati partono per i loro viaggi, la posizione della loro destinazione in Africa, dove si fermano durante il tragitto, e quando ritornano ai siti di nidificazione.

Un gruppo di ricerca composto da membri dell'Università di Torino e dell'Ente di Gestione delle Aree Protettte delle Alpi Cozie studia il Culbianco nel Parco Naturale della Val Troncea (TO) dal 2016. Collegando momenti chiave di tutto il ciclo annuale, si cerca di individuare i fattori ambientali che incidono sulla popolazione per prevedere nel modo più preciso possibile i potenziali impatti del cambiamento climatico.

Il Culbianco preferisce nidificare nelle praterie rupicole a una quota da 2000 a 2700 metri; i nidi sono tipicamente a livello del suolo o di poco interrati, negli anfratti sotto i massi o anche a volte nelle tane abbandonate delle marmotte. Secondo i nostri studi, questo habitat offre una buona disponibilità di prede rappresentate quasi sempre da invertebrati; sembra infatti che nei pulcini di culbianco la morte per inedia sia poco comune rispetto ad altre specie, vista proprio l'abbondanza degli invertebrati nelle praterie alto-alpine. Vi sono comunque altri problemi che limitano il successo riproduttivo di questa specie in questi ambienti: le predazioni a carico dei pulli sono frequenti, arrivando a interessare in una stagione quasi un terzo dei nidi. Non sappiamo con certezza quali siano i predatori principali, ma sembra probabile che l'ermellino sia tra i più rilevanti, insieme alle vipere e, per i nidi più facilmente accessibili, le volpi.

Lo scorso anno, sono stati ricatturati 9 culbianchi con geolocalizzatori che erano stati applicati l'anno precedente per studiare i loro movimenti migratori. Scaricando i dati, è stato possibile conoscere le rotte che avevano seguito dopo aver lasciato la Val Troncea nell'autunno dell'anno precedente, dove avevano passato l'inverno, e quali itinerari avessero seguito per tornare ai loro siti di nidificazione sulla Alpi: si crea sempre una grande suspense quando si analizzano per la prima volta questi dati per capire dove i "nostri" culbianchi sono andati dopo aver lasciato l'area di studio!

Analizzando i dati registrati dai geolocalizzatori è emerso che gli uccelli hanno lasciato la Val Troncea con direzione Africa tra la prima e la terza settimana di settembre, effettuando delle pause piuttosto prolungate (approssimativamente 20-30 giorni) nella maggior parte dei casi in Sardegna, in Algeria del nord o in Tunisia, prima di attraversare il Sahara, e raggiungere i siti di svernamento sub-Sahariani in Mauritania, Mali, Burkina Faso, Togo, Benin, Nigeria e Niger entro ottobre. La variazione tra le date di partenza dai siti di svernamento è stata elevata; gli individui marcati sono partiti tra la prima settimana di marzo e la seconda di aprile, e sono ritornati nei siti di riproduzione alpini tra la seconda settimana di aprile e la prima settimana di maggio.

Dopo due anni di studio, abbiamo raccolto molte informazioni sulle migrazioni del culbianco e sulle sue strategie riproduttive, in particolare su cosa determini la buona riuscita di una nidificazione. Il nostro obiettivo a lungo termine è di collegare i due aspetti, migrazione e successo riproduttivo, per trovare una risposta ad alcuni importanti quesiti di carattere ecologico. Per esempio, quali siano le conseguenze delle primavere anticipate sulla data di arrivo e il successo riproduttivo del culbianco? Questo aspetto è importante, poiché le primavere anticipate sono esattamente quello che ci si attende in uno scenario futuro di cambiamento climatico. Inoltre, lo studio continuativo delle migrazioni aiuterà a capire fino a che punto il culbianco è in grado di modificare il suo calendario in relazione al cambiamento delle condizioni, e gli effetti che questo può avere sul successo riproduttivo e in definitiva sulla popolazione di questa specie. Nel 2021, abbiamo recuperato altri 13 geolocalizzatori e il nostro gruppo sta attualmente analizzando i dati per scoprire di più sulla migrazione di questo uccello che ogni anno dall'Africa torna a nidificare sulle nostre Alpi.

Migrazioni e cambiamento climatico

La migrazione è chiaramente una strategia di successo che permette di godere di condizioni climatiche più favorevoli, ma costituisce anche una sfida poichè un migratore deve saper tornare ai siti di riproduzione quando le condizioni sono ottimali per la nidificazione, in particolare in termini di disponibilità di cibo. La sfida è particolarmente impegnativa per i migratori a lungo raggio. Prendiamo un uccello che passa l'inverno in Nigeria, e chiediamoci: come potrà sapere se sulle Alpi italiane si verificherà una primavera precoce o tardiva? E' stato ampiamente dimostrato che non azzeccare i tempi, e in particolare arrivare troppo tardi, può avere un impatto significativo sul successo nella nidificazione di molte specie migratorie. La difficoltà è anche maggiore per le specie che si riproducono montagna poichè le condizioni climatiche primaverili sono altamente variabili: in alcuni anni la neve può scomparire completamente entro la metà di aprile, mentre in altri può persistere sopra il limite degli alberi fino a giugno inoltrato. E' stato dimostrato che il cambiamento climatico sta rendendo più difficile per le specie migratorie indovinare il momento giusto per la partenza: le primavere stanno anticipando e gli uccelli non sono in grado di modificare le loro migrazioni di conseguenza. Sembra probabile che questo effetto possa spiegare il declino registrato per i migratori a lungo raggio in gran parte d'Europa.

Considerata la probabile maggior sensibilità al cambiamento climatico degli uccelli che frequentano gli ambienti alpini, è indispensabile capire non solo come questi possono essere influenzati da primavere più precoci e temperature più elevate, ma soprattutto se possiamo fare qualcosa in relazione alla gestione degli habitat per aiutare i migratori ad adattarsi alle nuove condizioni. Le priorità di ricerca devono quindi focalizzarsi non solo sulle rotte che gli uccelli migratori seguono, ma anche su come questo si collega al loro successo riproduttivo e in ultima analisi alle dimensioni della popolazione: in altre parole, sono necessari studi che coprano l'intero ciclo annuale.

C'è migratore e migratore

Gli uccelli che vivono negli ambienti temperati si vedono costretti a compiere una scelta quando le condizioni ambientali delle zone in cui si riproducono diventano più difficili, e in particolare all'approssimarsi del periodo invernale quando il cibo scarseggia. Possono decidere di rimanere, sfruttando le risorse residue, o di partire verso zone a clima più mite, dove le condizioni sono meno estreme e le prospettive di sopravvivenza maggiori.
Solo alcune specie (es. pernice bianca, gallo forcello, aquila reale, fringuello alpino) sono in grado di sopravvivere in montagna d'inverno alle quote più elevate. Molte specie alpine invece lasciano le montagne nella stagione più fredda.

Gli uccelli mostrano tre strategie principali di migrazione. I migratori altitudinali rimangono relativamente vicini ai siti di riproduzione ma si trasferiscono ad altitudini inferiori in inverno. Il picchio muraiolo, ad esempio. viene spesso avvistato in paesi e villaggi durante il periodo invernale, e a volte si vede anche a Torino. I migratori a corto raggio volano più lontano, ma non raggiungono i tropici, arrivando al massimo in nord Africa per passare l'inverno. Il merlo dal collare, per citare una specie, nidifica sulle Alpi e passa l'inverno nella Spagna meridionale o nel nord del Marocco. Infine, i migratori a lungo raggio che volano per migliaia di chilometri per svernare ai tropici; appartengono a questa categoria alcuni uccelli come la bigiarella, il codirossone e il culbianco che partono dalle Alpi, e trascorrono l'inverno nell'Africa sub-sahariana.

*Dan Chamberlain e Maria Sander, Dipartimento di Scienze della Vita a Biologia dei Sistemi, Università di Torino

  Domenico Rosselli, Ente di Gestione delle Aree Protette delle Alpi Cozie, Salbertrand


Per saperne di più

Sander, M.M., Chamberlain, D.E., Mermillon, C., Alba, R., Jähnig, S. Rosselli, D., Meier, C. & Lisovski, S. (in press). Early breeding conditions followed by reduced breeding success despite timely arrival in an alpine migratory songbird. Frontiers in Ecology & Evolution.

 

 

Potrebbe interessarti anche...

Fortemente sensibili all'innalzamento delle temperature, al prolungarsi dei periodi di siccità e ...
Mentre nella maggior parte d'Italia iniziavano i preparativi per il cenone di San Silvestro, a Ve ...
I quattrozampe saranno presto arruolati nel difficile compito di ricercare i siti di nidificazion ...