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Ululone appenninico, un attore di classe

Quando si sente minacciato questo piccolo rospo appenninico dal ventre giallo, oggi a rischio d'estinzione, si capovolge restando immobile e mostrando l'addome colorato che avverte della sua tossicità. 

  • Claudia Fachinetti
  • Marzo 2021
  • Mercoledì, 7 Aprile 2021
Ululone appenninico dal ventre giallo  Ululone appenninico dal ventre giallo

 

L'ululone appenninico dal ventre giallo (Bombina pachypus) è un piccolo rospo (non supera i 5 cm) esclusivo della penisola italiana dove ha subito un rapido declino, tuttora in corso, a causa della trasformazione dell'habitat. Questa specie, infatti, è tipica di ambienti montani o collinari strettamente legata alla presenza di pozze d'acqua anche temporanee o di piccoli bacini artificiali come vecchi lavatoi in pietra usati in pastorizia. La distruzione degli ambienti adatti alla riproduzione, l'abbandono delle tradizioni agricole di un tempo, e l'eccessivo sfruttamento dell'acqua hanno portato la specie in pericolo di estinzione.

L'ululone è un animale diurno amante degli ambienti soleggiati e ha l'aspetto di piccolo rospo dal dorso fortemente verrucoso, per le numerose ghiandole, e il ventre con colorazione giallo brillante con marcature blu-grigie o nerastre che variano per forma, numero e dimensioni che rendono ogni individuo unico. Assomiglia all'ululone dal ventre giallo, Bombina variegata, specie centro-europea che in Italia si trova nelle Alpi centrali e orientali.

Si va in scena

Tra le curiosità di questo rospo ci sono le sue doti "di attore" in quanto, in caso di pericolo, manifesta un particolare comportamento chiamato tanatosi: in pratica si finge morto. Nel farlo si mette a pancia in su mostrando la sua colorazione addominale criptica giallo-blu che rappresenta un chiaro messaggio per i predatori (colorazione aposematica): non mangiatemi non sono commestibile! I colori giallo, arancione e rosso sono spesso colori di avvertimento associati alla produzione di sostanza tossiche e gli ululoni, come tutti gli anfibi, possiedono sulla cute molte ghiandole che producono secrezioni cutanee urticanti.

Altre caratteristiche che rendono unico questo anfibio sono la pupilla a forma di cuore con bordi dorati e i canti emessi la sera dai maschi tra aprile a ottobre, durante il periodo dell'accoppiamento, per richiamare, appunto, le femmine. È proprio da questo canto ripetuto a intervalli che l'ululone prende il suo nome.

Una specie longeva

Essendo una specie che trascorre la maggior parte del tempo in acqua, anche la riproduzione avviene in piccole pozze poco profonde, spezzo temporanee, come pozzanghere, anse morte di torrenti, vasche e abbeveratoi per il bestiame lungo i corsi d'acqua. I maschi si distinguono dalle femmine per degli ispessimenti cornei sulle zampe anteriori presenti nel periodo riproduttivo. Le femmine depongono alcune decine di uova all'interno di pozze d'acqua dove si attaccano alla vegetazione acquatica, alle rocce oppure restano sul fondo. Le larve si sviluppano rapidamente, in poche settimane. I girini sono onnivori e si cibano sia di vegetali che di piccoli organismi acquatici mentre da adulti, al contrario, diventeranno voraci predatori di artropodi che cattureranno sia in acqua che sulle sponde delle pozze. La metamorfosi da girino a rospo avviene dopo circa 45-90 giorni, a seconda delle condizioni esterne, ma la maturità sessuale viene raggiunta solo a due o tre anni d'età quando gli esemplari raggiungono i 3 cm. L'ululone appenninico è uno degli anfibi italiani più longevi, e sono stati ritrovati esemplari che, nel loro ambiente naturale superano, hanno raggiunto i 16 anni di vita.

Durante il tardo autunno e l'inverno questo anfibio sverna nel terreno o sotto le pietre ricoperte di vegetazione, solitamente a breve distanza dall'ambiente acquatico frequentato.

Minacciato anche dai cinghiali

Durante il periodo di attività l'ululone appenninico predilige i corpi idrici, naturali o artificiali, ben esposti al sole. In ognuno di questi siti, a seconda dell'ampiezza e disponibilità di cibo, vivono più individui. È proprio l'alterazione e la frammentazione dell'habitat con l'eliminazione degli abbeveratoi in pietra e l'essicazione delle pozze e dei corpi idrici ridotti, che ha determinato il declino della specie, fino al 50%, tanto da essere classificata dal 2009 come "in pericolo" nella Lista Rossa dell'Unione Mondiale per la Conservazione della Natura e nel 2013 come specie "in pericolo" anche nella Lista Rossa dei Vertebrati italiani. Attualmente le popolazioni in miglior salute e a più alta variabilità genetica si trovano in Calabria ma anche qui, negli ultimi anni, è stato registrato un calo degli individui e dei siti frequentati dalla specie.

Al degrado ambientale si è unita la diffusa infezione causata dal fungo Batrachochytrium dendrobatidis, una micosi che di recente colpisce numerose specie di anfibi in tutto il mondo e che può determinare l'estinzione a livello locale.

Secondo alcuni studi anche i cinghiali potrebbero avere una responsabilità in alcune aree nel declino dell'ululone appenninico sia perché questi mammiferi si rotolano nelle bozze usate da questi anfibi interrandole o comunque alterandole, sia perché non disdegnano di cibarsene.

Gli ultimi progetti

A seguito del declino della specie sono stati attivati diversi progetti locali di conservazione, come quello del Parco Naturale Regionale di Montemarcello Magra-Vara, quello del Parco Nazionale dell'Aspromonte, quello della Fondazione Bioparco di Roma con la Riserva Naturale Monti Navegna e Cervia (Rieti), in partnership con l'Università Roma Tre, e il Progetto LIFE WetFlyAmphibia del Parco delle Foreste Casentinesi. Lo stesso Ministero della Transizione ecologica ha affidato all'Università degli Studi della Tuscia un programma di monitoraggio e di valutazione delle minacce con la formulazione di proposte gestionali concrete, soprattutto nei Parchi e nei Siti di Importanza Comunitaria. Interventi di reintroduzione, contestualmente alla rinaturalizzazione degli ambienti idonei all'interno delle aree protette, potrebbero garantire la salvezza della specie e una maggiore variabilità genetica. A queste azioni potrebbe essere aggiunto l'allestimento di una o più strutture di allevamento in cattività a lungo termine.

 

 

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