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Il caso delle nutrie metropolitane

C'è chi le apprezza per la pelliccia, chi le trova gustose, chi le nutre tutti i giorni dell'anno, chi semplicemente le ama e chi le vorrebbe eradicare. Fatto sta che dal Sudamerica, le nutrie sono arrivate in Italia e in Piemonte per mano dell'uomo che, adesso, è chiamato in causa a gestire un roditore assai prolifico, tra piani di contenimento più radicali e piani più rispettosi della specie. 

  • Laura Succi
  • Gennaio 2021
  • Martedì, 16 Febbraio 2021
 Foto A. Giusta Foto A. Giusta

Invidiabilmente adagiata su un ciliegio fiorito e quasi invisibile tra i suoi petali bianchi, la saggia gatta bianca dell'Assemblea degli animali di Filelfo (Casa editrice Einaudi) probabilmente direbbe, con aria indifferente, che il genere umano è ben capace di mettere a soqquadro tutto quello che tocca, molto meno a risistemare il guazzabuglio che crea.

L'uomo infatti ha creato disordine anche nel caso delle nutrie, portandole lontane dai luoghi natii per assecondare i propri desideri e adesso deve gestire gli sconquassi ambientali che provocano. Già, perché native del Sudamerica, l'Uomo le ha portate altrove per farne pellicce di "castorino". Quando le pellicce hanno perso interesse, gli animali sono fuggiti dagli allevamenti abbandonati, o sono stati liberati, e ora sono un grattacapo che bisogna governare; dagli Stati Uniti al Giappone, passando per l'Europa e per l'Italia, dove arrivarono nel 1929.

Roditori acquatici 

Questi roditori, da non confondere con i ratti che appartengono alla famiglia dei Muridae, fanno parte della famiglia dei Myocastoridae; vivono nei corsi d'acqua, negli acquitrini e negli stagni, nelle acque ferme o a lento scorrimento e si nutrono di vegetali: foglie, radici, rizomi, bulbi, sono tutti appetibili. Un erbivoro senza predatori naturali che ne limitino la proliferazione, in un ambiente che non è il suo, non può che avere un impatto negativo sull'ecosistema. Ne fanno le spese anche altri animali con cui condivide il territorio, in primis gli uccelli acquatici, ai quali involontariamente distrugge i nidi od occasionalmente preda le uova o che, ancora, disturba con la sua attività quotidiana. La nutria utilizza come rifugio le tane di altri animali, volpi, tassi e istrici, oppure scava intrecci di cunicoli che variano da semplici tunnel a sistemi complessi di camere e passaggi che si estendono anche per oltre 15 metri. Se pensiamo ai manufatti costruiti per contenere o spostare le acque, la nutria è un bel problema: rende friabili e fragili arginelli, fossi e canali – è in grado di trasformarli in una groviera – causando gravi danni ai raccolti ma anche potenziali rischi per persone e cose. Essendo un roditore poi, è davvero parecchio prolifica, basti dire che ogni femmina può arrivare ad allevare anche quattordici piccoli in un anno.

I piani di contenimento 

È quindi necessario intervenire e la risposta passa anche attraverso piani di contenimento: "L'obiettivo da conseguire sarebbe quello di eradicare la specie, ma visti i numeri in gioco e le limitate dotazioni d'organico e strumentali si lavora per ridurre i danni riconducibili alla nutria. Le azioni di contenimento si concentrano laddove è necessario tutelare le produzioni agricole e la corretta funzionalità dei manufatti idraulici. Si interviene altresì per prevenire/attenuare la compromissione di ambiti particolarmente pregiati per la biodiversità, quali risorgive e fontanili su cui il pascolamento della nutria ha un impatto non trascurabile sulla componente vegetazionale spontanea, spiega Francesco Campra della Città Metropolitana di Torino. Questi piani sono posti in essere, oltre che dal personale istituzionale, da volontari formati sia all'uso di dispositivi di cattura sia per interventi con sparo. Inoltre è stata condotta, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell'Università di Torino e al gruppo di lavoro del Centro Animali Non Convenzionali (CANC) di Grugliasco, una sperimentazione mirante a sterilizzare le femmine di due colonie presenti nella Città di Torino. Al momento attuale le conclusioni di tale studio sono in fase di elaborazione."

Nelle Aree protette del Po torinese, da questo mese Aree protette del Po piemontese in seguito all'unione con le Aree protette del Po vercellese-alessandrino, si è deciso di provare a contenere localmente questa specie invasiva. "Il nostro piano di contenimento – racconta Fabrizio Nobili, guardiaparco delle Aree protette del Po torinese – prevede l'utilizzo di apposite gabbie-trappola, che possono essere gestite direttamente dal personale del parco o affidate in gestione a collaboratori esterni (agricoltori e proprietari di fondi) appositamente formati. Occasionalmente gli stessi guardiaparco possono effettuare abbattimenti a vista. Le operazioni di controllo rispettano le linee guida dell'Ispra (Istituto Superiore per la Ricerca e Protezione Ambientale) e viene ovviamente prestata molta attenzione a non arrecare inutili sofferenze agli animali oggetto di contenimento. Infatti le gabbie foraggiate e innescate vengono controllate più volte nel corso della giornata. In un sito (un lago di cava ubicato in una delle riserve naturali affidate in gestione all'Ente-Parco) dopo solo un paio di mesi di catture, le nutrie risultano assenti da più di un anno. In altri siti l'eradicazione totale è impossibile ma si cerca auspicabilmente di contenerne il più possibile il numero al fine di limitare i danni che questi animali causano alla vagetazione acquatica e palustre. Speriamo di rivedere localmente ricomparire ninfee bianche e nannuffari, specie vegetali che in alcune aree umide sono scomparse da decenni."

Le nutrie 'torinesi' 

La gestione della fauna nella Città di Torino è un caso a sé, in questo caso, in capo alla Città Metropolitana di Torino: i metodi ordinari evidentemente non sono adatti a un ambiente urbano dove peraltro ci sono persone affezionate a questi animali e sono proprio tanti quelli che le coccolano portando loro cibo.

Così è nato un progetto sperimentale, non invasivo e non cruento, affidato al Dipartimento di Scienze Veterinarie dell'Università di Torino e al CANC di Grugliasco, che è di fatto un reparto di veterinaria.

Il professor Giuseppe Quaranta e il suo gruppo di lavoro, dopo aver censito l'intero territorio fluviale di Torino, hanno individuato due grandi colonie di nutrie sul Po, una all'interno del Parco del Valentino e l'altra in corrispondenza della passerella pedonale di Piazza Chiaves sul lungo Po Antonelli e tra il mese di novembre 2018 e il febbraio 2019 hanno fatto quattro interventi: "Noi veterinari non abbiamo fatto tutto da soli, ci siamo anche avvalsi della collaborazione della Consulta delle Associazioni Animaliste della Città di Torino, voluta dall'Amministrazione comunale, che raggruppa Oipa, Lav, SOS Gaia e altre cinque o sei associazioni, che ha fatto un lavoro egregio sensibilizzando la popolazione e che ci ha aiutati nella logistica e anche materialmente come forza lavoro".

Anche per questo progetto particolare sono state utilizzate le stesse gabbie trappola utilizzate dalla Città Metropolitana di Torino, che catturano gli animali grazie a un meccanismo che fa abbassare la saracinesca: quando premuto, gli animali vi entrano attirati da un'esca. Se il metodo di cattura è lo stesso utilizzato negli altri piani, è il destino degli animali che è radicalmente differente: i soggetti, invece di essere eliminati, sono sottoposti a intervento di chirurgico di infertilizzazione mediante l'interruzione della continuità delle vie genitali (i deferenti del maschio e le salpingi nelle femmine), e quindi reimmessi sul territorio. Spiega Quaranta: "Prendo una popolazione e la sterilizzo così faccio in modo che gli animali mantengano tutti i comportamenti gerarchici e sociali di gruppo. Con la castrazione, sia il maschio che la femmina perderebbero gli ormoni e tutti i caratteri sessuali secondari, il che significherebbe nella femmina la perdita dell'istinto di creare la gerarchia e nel maschio l'istinto di accoppiamento. Invece, con la sterilizzazione questi animali continuano a vivere come se nulla fosse successo, si accoppiano senza riprodursi e per il resto della loro vita continuano a gestire il territorio e non rischiano di essere sopraffatti da altre comunità vicine. Tutte le volte che c'è un evento di piena, qualcuna delle nutrie che si trovano a monte finisce lì, lo sappiamo bene - aggiunge - ma normalmente vivono nella nuova comunità per un paio di giorni e poi se ne vanno via, perché sono animali ospitali... ma non troppo. Tra l'altro quella è una zona molto ambita perché c'è tutta la gente del quartiere che dà loro da mangiare".

C'è da dire che tutte queste premure hanno completamente sovvertito le loro abitudini e queste cittadine belle e grasse ormai vivono solo più in funzione degli umani. In condizioni naturali la nutria come tutti gli erbivori per motivi predatori esce dalla tana nelle prime ore del giorno o verso il tramonto, mentre le 'madamin' del Valentino si attardano fino alle undici perché prima lì non c'è nessuno in giro.

L'intervento di sterilizzazione, realizzato sul posto dai veterinari che dispongono di un camper attrezzato è molto raffinato perché svolto in endoscopia: cinque minuti al massimo, tre piccoli fori nella pancia, che corrispondono a iniezioni fatte con un ago un po' grosso (da 2 mm) così già la sera gli animali possono essere liberati per tornare immediatamente in acqua. Questo ha permesso ai veterinari di rispettare la normativa sulle specie esotiche invasive che vieta sia il prelievo che l'introduzione di animali, essendo le nutrie rimaste sempre nel loro luogo. In questo modo sono stati eseguiti una cinquantina di interventi e in particolare la colonia della passerella si è ridotta da 35/36 animali a otto nei mesi successivi. "A tutto questo discorso si aggiunge però una variabile indipendente che scombina le carte, spiega Quaranta. Gli africani sono ghiotti della carne di nutria perché hanno un piatto tradizionale molto ambito, denominato 'aguti' dalle popolazioni locali, che si prepara con il Ratto gigante del Gambia (Cricetomys gambianus) la cui carne ha un sapore simile. Questo fattore, data la predazione che ne è conseguita, ha portato quella popolazione di nutria sotto la soglia critica per molti mesi e questo ha consentito l'insediamento di altre nutrie arrivate dalle vicinanze, cosicché in quest'ultimo anno le nutrie presenti erano ancora meno di quelle individuate in sede di pianificazione dell'intervento."

Il quadro si completa dando conto che la nutria in natura vive in media tre o quattro anni e che logicamente non si può prescindere da una pianificazione di lunga durata: quindi, pandemia permettendo – dieci o dodici persone devono collaborare insieme sul campo ma di questi tempi è improponibile.  Per questo, a febbraio o marzo verrà fatto un altro intervento di sterilizzazione sugli animali presenti in loco, per riportare equilibrio nella loro popolazione.

"È tuttavia evidente – chiude Quaranta – che questo metodo non può essere proposto come alternativo a sistemi di controllo tradizionali e consolidati, ma può rappresentare un'utile alternativa in situazioni critiche come i contesti urbani in cui la popolazione, soprattutto quella più attenta al rapporto uomo-animale, poco tollera e comprende sistemi più aggressivi di controllo."

Per concludere, la questione è complessa e la verità non ce l'ha in tasca nessuno. C'è chi apprezza la pelliccia delle nutrie, chi le trova gustose, chi le nutre tutti i giorni dell'anno, chi semplicemente le ama e chi per il sacrosanto principio di conservare la biodiversità autoctona le vorrebbe eradicare dalle aree lontane dalle loro terre di origine. Una soluzione definitiva non si intravede, almeno nel breve periodo: certo è però che gli esseri umani hanno fatto l'ennesimo pasticcio e ora chi ci rimette di più sono gli incolpevoli animali.

PS. Per opportuna memoria, nelle campagne piemontesi di un tempo si usava mangiare i porcellini d'India, i porcet (la "o" si pronuncia "u"), anch'essi roditori sudamericani che venivano allevati nelle stalle.

 

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