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Si fa presto a dire vipera

La "signora dei boschi" popola l'intero territorio nazionale. Due le specie presenti in Piemonte: l'aspide e il marasso. Il loro fascino è legato al veleno, ma le statistiche parlano di 30 morsi all'anno in tutta Italia

  • Nazzareno Polini Gabriele Achille
  • Gennaio febbraio 2011
  • Venerdì, 16 Maggio 2014

I primi raggi del sole irradiano il versante pietroso di una brughiera, due occhi dall'iride verticale scrutano la scena: le pazienti spire di una vipera sufficientemente riscaldate dal sole attendono quell'unico istante per cui sono state scolpite da secoli di evoluzione. Ogni muscolo è proteso a scattare in un unico armonioso gesto di predazione. Il gruppo dei viperidi è presente sulla Terra da almeno 13 milioni di anni. Questo taxon prende il nome dalla parola latina viviparus (vivus vivo e parere partorire: che partorisce figli vivi). I viperidi sono distribuiti su tutta la Terra ad eccezione dell'Australia e sono tristemente noti per la loro velenosità e presunta indole aggressiva. In Italia 4 serpenti su 18 appartengono alla famiglia dei viperidi (Viperidae), i rimanenti sono tutti colubridi (Colubridae): con questo riferimento statistico si può comprendere come mai spesso dei serpenti innocui vengano uccisi perché confusi con le vipere. La densità sempre minore, accoppiata alla loro elusività, ci dovrebbe offrire un nuovo punto di vista su questa "signora dei boschi". Infatti grazie alle loro abitudini comportamentali è più facile imbattersi per esempio in una natrice o in un biacco che in una vipera; il comportamento di quest'ultima è solitamente restare immobile confidando nelle sue doti mimetiche. L'intero territorio nazionale, eccetto la Sardegna, è più o meno popolato da questo gruppo di animali: dai masi delle Alpi, ai pascoli primari degli Appennini, alle pietraie assolate delle Murge, le nostre vipere si sono adattate a quasi tutti gli habitat presenti nel territorio italiano. In Piemonte è possibile rinvenire due specie di vipere: l'aspide (Vipera aspis sp., Linnaeus 1758) e il marasso (Vipera berus, Linnaeus 1758). L'aspide è il serpente con la sistematica più complessa nell'intera ofiofauna italiana ed è solo grazie al DNA che gli studiosi sono riusciti a isolare diverse sottospecie. In Piemonte ce ne sono tre: Vipera aspis aspis (occidentale), V.a. francisciredi (centrale, settentrionale e meridionale) e V.a. atra (settentrionale). La differenza tra queste in alcuni casi non è apprezzabile al primo colpo poiché sono presenti delle forme ibride. Si sta ancora lavorando su base molecolare per isolare correttamente le sequenze geniche. Da nord a sud, con l'areale maggiormente esteso sul territorio, troviamo l'aspide (Vipera aspis), conosciuta anche come vipera comune, capace di sopravvivere in tutti gli ambienti, entrando spesso in competizione con le altre cugine. Serpente relativamente lento e poco agile, caccia d'attesa nascosto nella vegetazione e nelle rocce; una volta morsa la preda (solitamente una lucertola o un micromammifero) e inoculatole il veleno, ne segue la scia odorosa con l'aiuto della lingua bifida. Una volta raggiunta, la vipera procede all'ingollamento che inizia sempre dalla testa. Quest'operazione avviene con l'utilizzo dell'organo di Jacobson che rivela la presenza di CO2: il gas indica al rettile se si trova o meno dalla parte della testa.
L'aggressività di questo serpente è spesso legata al sesso e al periodo dell'anno, infatti i maschi nella stagione riproduttiva (aprile-maggio) risultano più nervosi del solito, ma mantenendo le dovute distanze non si va incontro a nessun pericolo. Per quanto riguarda le femmine, in condizioni normali e agendo con la dovuta cautela, si potrebbero addirittura accarezzare senza correre alcun rischio, ma è consigliabile non provare. Solo sulle Alpi, e con più probabilità in un intervallo altitudinale che va da 1400 a 1800 metri è possibile imbattersi anche nel marasso (Vipera berus). Questa vipera, generalmente più piccola dell'aspide, non supera i 70 cm e predilige i versanti assolati dove già nel mese di maggio può uscire dal suo rifugio. Sia per motivi latitudinali che altitudinali il periodo di attività del rettile è di sei mesi circa e le femmine si riproducono una volta ogni due anni, dando alla luce dai 6 agli 8 piccoli. Una particolarità di questa specie è il suo variegato dimorfismo cromatico: è infatti possibile rinvenire in spazi contenuti animali apparentemente molto diversi come quelli melanici. Nel territorio piemontese la presenza di questo rettile è limitata alle Prealpi biellesi e alla alta Valsesia, con una popolazione che appare isolata dalle altre. La vipera dell'Orsini (Vipera ursinii) prende il nome dal suo scopritore Antonio Orsini, un farmacista naturalista di Ascoli Piceno che conduceva le sue ricerche sui Monti Sibillini. Questa specie predilige infatti aree solitamente fredde e steppiche, ambiente comune nelle praterie di alta quota del nostro Appennino. Il luogo d'origine di questa specie è molto lontano: si tratta della catena himalayana, da dove la specie si è diffusa sfruttando i periodi relativamente stabili con temperature miti che hanno intervallato le glaciazioni. Per questa ragione la specie viene considerata un "relitto glaciale". Ultima ma non meno importante è la vipera dal corno (Vipera ammodytes). Il corno la caratterizza e la differenzia dalle altre vipere italiane: si possono anche trovare delle aspidi con un leggero muso all'insù, ma non un vero corno. Questa vipera italiana raggiunge dimensioni maggiori rispetto alle altre: in casi eccezionali i 110 cm. L'areale di quest'animale è concentrato nei Balcani, di conseguenza la sua distribuzione in Italia è limitata nelle regioni nord-orientali (Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Trentino-Alto Adige). Distinguere una vipera da un serpente innocuo è abbastanza semplice: la pupilla è verticale; solo nella vipera inoltre le squame della testa sono piccole e distribuite disordinatamente, nell'innocuo invece le squame sono grandi e simmetriche. Un'altra caratteristica più immediata sono l'aspetto tozzo e le movenze lente. L'inevitabile fascino delle vipere forse è proprio legato alla loro caratteristica più temuta: il veleno. Questi animali secernono tale sostanza grazie a ghiandole velenigere situate posteriormente rispetto l'occhio. I denti dei viperidi sono estroflessi al momento del morso e muniti di un foro per inoculare il veleno (dentatura solenoglifa) nei tessuti della preda. Talvolta se disturbate o maneggiate in maniera maldestra le vipere possono mordere anche l'uomo da una distanza di circa 20 cm. Le statistiche che si riferiscono al territorio nazionale si aggirano sui 30 morsi l'anno con circa un terzo di morsi secchi, ovvero quei casi in cui gli animali mordono ma non riescono ad inoculare il veleno, la cui composizione è di natura proteica con azione emotossica e neurotossica.
Nonostante questo, il morso delle nostre vipere non è considerato mortale, salvo in rare eccezioni. Ma cosa fare in caso di morso? Innanzi tutto bisogna sapere se quello che ci ha morso è veramente una vipera o meno: il morso di vipera presenta una sintomatologia caratteristica ed inconfondibile con i serpenti innocui. La zona del morso si gonfia vistosamente nel giro di alcuni minuti, generando infiammazione e dolore acuto.

Nazzareno Polini e Gabriele Achille
Sono due naturalisti che non abbandonano mai le macchine fotografiche nelle loro esplorazioni attorno il mondo, che spesso organizzano insime. Scoprendo e documentandosi, sensibilizzano alla cultura ambientale attraverso ricerche, seminari, mostre fotografiche, guide naturalistiche e pubblicazioni.

 

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