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Sacro ed eremita, uno scontro tra ibis

Ci sono ibis e ibis. E grandi scombussolamenti e andirivieni: l'ibis eremita (Geronticus eremita) è una specie minacciata di scomparsa mentre l'ibis sacro, invece, ora vive e vegeta fin troppo beatamente alle nostre latitudini. Solo in Piemonte sono arrivati a essere più di 9000, con conseguenze pesanti sull'ecosistema. 

  • Laura Succi
  • Aprile 2020
  • Giovedì, 23 Aprile 2020
A sinistra, ibis eremita; a destra, ibis sacro  | Foto: Pixabay | Veszprémi Állatkert / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0) A sinistra, ibis eremita; a destra, ibis sacro | Foto: Pixabay | Veszprémi Állatkert / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)

 

L'ibis eremita (Geronticus eremita) è una specie migratrice europea e non solo, essendo diffusa anche in Medio Oriente e in Nord Africa, che era presente fino al XVII secolo, prima che si estinguesse del tutto a causa della pressione venatoria. Oggi è minacciata di scomparsa ed è infatti considerata Endangered dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).

Un altro ibis invece, l'ibis sacro, il suo nome scientifico è Threskiornis aethiopicus, ha avuto un destino inverso: è praticamente estinto in Egitto, sul Nilo dove anticamente viveva, pur mantenendo popolazioni stabili nell'Africa subsahariana e in Iraq, mentre ora vive e vegeta fin troppo beatamente alle nostre latitudini dove si è insediato dopo essere fuggito da alcuni parchi faunistici in giro per l'Europa, la prima nidificazione è avvenuta in Spagna nel 1974 in un parco pubblico vicino allo zoo di Barcellona.

In Italia è in espansione, solo in Piemonte sono arrivati a essere più di 9000, con conseguenze pesanti sull'ecosistema visto che è un formidabile competitore alimentare e che occupa siti di nidificazione altrui mandando in crisi aironi cenerini, garzette, e aironi guardabuoi.

Ibis sacro, una specie invasiva

"L'ibis si piazza in mezzo alla garzaia, e pian piano, nel giro di un anno o due, scaccia le altre specie". Il fatto è che gli ambienti per costruire garzaie sono sempre di meno, lo sa bene Alberto Tamietti, ornitologo e guardiaparco delle Aree protette del Po torinese: "C'è una grossa fame di habitat, troviamo garzaie nei quadrifogli delle autostrade alle volte, perché gli ardeidi non sanno più dove andare, trovano quattro o cinque piante e si sistemano lì: e se poi arrivano gli ibis dove altro possono trovare rifugio?".

Sono un bel problema anche per tante altre specie, questi uccelli cacciano in formazione, a falange, avanzano compatti fianco a fianco e mangiano tutto quello che trovano sul loro cammino compresi i pulcini, tutto. Procedono a rastrello, folaghe, pavoncelle, pittime reali (quelle poche rimaste), cavalieri d'italia, mignattai - che appartengono alla famiglia dei Threskiornithidae anche loro e il loro stato di conservazione in Italia non è buono - e piccoli animali di ogni sorta, coleotteri, gamberi, lumache, rane, lucertole, toporagni e topi campagnoli, anche carogne e pure vegetali. Sondano il terreno con il becco, in superficie e a varie profondità, tramite una particolare innervazione del becco flessibile e arrotondato. La loro fonte di alimentazione preferita si trova nelle zone umide, in Piemonte nelle aree di risaia, così sono concentrati in quel tipo di ambienti.

In ballo c'è il mantenimento dell'equilibrio dell'ambiente e la tutela della varietà delle forme di vita, e proprio per questo l'ibis sacro è inserito nella lista nera delle specie invasive: il Decreto Legislativo del 15 dicembre 2017, n. 230, lo definisce 'specie esotica invasiva di rilevanza unionale' e stabilisce tra le proprie finalità la messa in pratica di misure volte al contenimento delle popolazioni anche con l'eradicazione.

Andando nel concreto, Laura Gola, responsabile faunistico delle Aree Protette del Po vercellese-alessandrino, Ente capofila del Centro di referenza "Avifauna planiziale" della Regione Piemonte, spiega qual è lo stato dell'arte "L'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), interpellando i tecnici e i ricercatori di vari enti e organizzazioni, tra i quali il nostro Ente parco, ha già redatto il piano di gestione nazionale degli ibis che ora è in dirittura d'arrivo, è sui tavoli del Ministero dell'Ambiente e ci si aspetta che vengapubblicato a breve".

"Dal canto nostro, aggiunge Gola, stiamo progettando un insieme di azioni di salvaguardia degli ardeidi che dovrebbe contenere anche la mitigazione della pressione dell'Ibis. In questa prospettiva ci stiamo orientando verso azioni a basso impatto come la loro cattura con le reti 'mist nets' o con i gabbioni ma di certo ci muoveremo coi piedi di piombo per non dare disturbo alle altre specie".

La reintroduzuone dell'ibis eremita

Va nella stessa direzione di conservazione della biodiversità il progetto dell'Unione Europea (LIFE+Biodiversità) Waldrapp di reintroduzione dell'ibis eremita nei luoghi di origine, con partner in Austria, Italia e Germania.

La bella notizia è che due Ibis eremita hanno raggiunto lo scorso marzo il loro sito riproduttivo a Burghausen, in Baviera. Sono partiti, come si apprende dai partner del progetto, dal loro sito di svernamento presso la Laguna di Orbetello nel sud della Toscana e hanno coperto la distanza di circa 1.000 km in pochi giorni.

Dietro a questo risultato ci sono umani e uccelli in volo, i primi su un ultraleggero e i secondi al seguito; sì perché bisogna letteralmente insegnare ai piccoli la rotta migratoria e il luogo di svernamento, visto che da 400 anni in Europa non ci sono più ibis capaci di migrare da soli. I loro genitori adottivi assumono in questo modo il ruolo degli adulti esperti e mostrano ai giovani uccelli la rotta verso il quartiere di svernamento, da quel momento in poi la tradizione sarà trasmessa da ibis a ibis e nel tempo saranno in grado di cavarsela da soli.

Ma ritornando 'Laggiù sul Nilo Blu, dove si sposano le gru insieme ai marabù' - come cantava negli anni venti la soubrette torinese Isa Bluette al secolo Marisa Ferrero - e precisamente nell'antico Egitto dei faraoni, gli ibis sacri erano dedicati a Thot, dio della magia e della saggezza (anche se su questo ci sarebbe da ridire visto l'eccidio), e così venivano uccisi e mummificati a milioni. Il solo sito di Tuna el-Gebel custodisce all'incirca quattro milioni di mummie risalenti al periodo stimato del 480 a. C. Tra il VI e il IV secolo a.C. Di questi solo pochissimi erano allevati vicino ai templi, tutti gli altri erano prelevati in natura. La conferma arriva da una recente ricerca condotta dal paleogenetista Sally Wasef Australian Research Centre for Human Evolution at Griffith University e pubblicata su PLOS ONE che attraverso il campionamento e il confronto del DNA prelevato dalle mummie e da quello preso da esemplari che vivono oggi in Africa giunge alla conclusione che gli animali venivano raccolti in giro, probabilmente ancora vivi, confutando quella che era l'ipotesi prevalente.

"Dell'estinzione in Egitto si può dire che avvenne nella seconda metà dell'Ottocento" spiega Gianfranco Alessandria, ornitologo. Gli esperti dicono che è difficile isolare una sola causa di sparizione, c'entrano la crescita della popolazione, l'espansione urbana, la caccia, il disturbo durante la nidificazione e la distruzione degli habitat hanno contribuito alla loro perdita, perché non è una specie che vive dappertutto, ha bisogno di acquitrini, di grandi aree di acque basse e ferme".

Su Marisa bisogna ancora aggiungere che dopo aver abbandonato il modesto impiego alla Manifattura Tabacchi di Corso Regio Parco a Torino, divenne molto famosa, e mise su lo spettacolo di rivista La Valigia delle Indie; Valigia delle Indie (in inglese: Indian Mail) che fu anche un percorso postale e di viaggiatori internazionale attivo fino al 1914 sul tragitto Londra a Bombay e Calcutta, che passava proprio dall'Egitto.

 

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