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La storia del tritone che trovò casa in Appennino

Tecnicamente si definisce "sito seminaturale per rettili e anfibi" ed è qui che ha proliferato una popolazione del raro tritone alpestre apuano o appenninico, grazie alle attività di recupero realizzate dal Centro di referenza regionale "Erpetofauna".

  • Lorenzo Vay
  • Giovedì, 16 Maggio 2019
Esemplare di tritone maschio  (Foto R. Cottalasso/arc CeDrap) Esemplare di tritone maschio (Foto R. Cottalasso/arc CeDrap)

 

Per raccontare la storia di come il tritone appenninico, nome scientifico Ichthyosaura alpestris apuana, sia riuscito a trovare il suo habitat ideale in antico lavatoio usato, un tempo, dalle donne residenti in quello che oggi è il territorio dell'Ecomuseo di Cascina Moglioni, occorre fare un balzo indietro nel tempo.

Correva, infatti, l'anno 2004 quando Cascina Moglioni - e le sue pertinenze – venivano recuperate per ospitare il centro visite dell'ecomuseo dedicato al mondo contadino di Capanne di Marcarolo, affidato in gestione alle Aree protette dell'Appennino piemontese. Lavori che hanno interessato anche l'antico "lavatoio" dove le donne della cascina lavavano i panni sopra a una grassa ciappa, utilizzando l'acqua di un piccolo ruscelletto che in quel punto si accumulava in una piccola conca naturale.
La pozza, che in dialetto locale viene chiamata möia e che ha dato il nome alla località, è stata ripristinata con un lavoro di pulizia del fondo naturale, ormai totalmente invaso dalla vegetazione, e con una semplice sistemazione delle sponde e una regimazione dell'acqua per avere un ruscellamento lento e continuo.
Negli anni successivi il "lavatoio delle donne" si è progressivamente ri-naturalizzato, diventando così un habitat idoneo al ritorno degli anfibi e, nel caso specifico, del tritone appenninico.

Successivamente, nel 2017, grazie a un finanziamento europeo, è stato realizzato un progetto più ampio di ripristino della funzionalità e connessione ecologica dei prati da sfalcio e prati pascolo nelle pertinenze di Cascina Moglioni, il che ha permesso il ripristino anche del prato umido a monte, habitat di interesse comunitario classificato come (prioritario), garantendo quindi anche la conservazione delle specie associate, in particolare di Cladium mariscus e Anacamptis laxiflora.

Ed eccoci arrivati ai lavori dell'estate 2018: è a Germano Ferrando - guardiaparco dell'ente con un passato da operaio, esperto e appassionato di tradizionali manufatti in pietra - che si deve il meraviglioso lavoro di consolidamento delle sponde del piccolo stagno con il ripristino di un muretto a secco: intervento che ha consentito di proteggere e conservare l'importante area umida. Questo recupero permette oggi di ospitare una discreta popolazione di tritone appennininico e di diventare rifugio e zona di caccia del Colubro liscio (Coronella austriaca), specie di rilievo conservazionistico, presente nell'allegato IV della Direttiva Habitat.

Il tritone appenninico, conosciamolo meglio

Il tritone alpestre apuano o appenninico è un piccolo anfibio della famiglia delle salamandre, endemico per l'Italia, con un areale prevalentemente appenninico. Vive infatti sull'Appennino ligure-piemontese e pavese, fino alla Toscana, nelle Langhe e sui rilievi tra Liguria e Piemonte, fino a toccare le Alpi Marittime. Restano isolate, invece, le popolazioni della Collina torinese e quella più meridionale dei Monti della Laga, nel Lazio.
L'IUCN - Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, considera la specie "quasi minacciata" in quanto in varie aree i trend sono negativi malgrado la popolazione sia al di sotto dei limiti dei criteri minimi per considerarla "vulnerabile".
Il piccolo tritone vive in piccoli bacini con acque ferme, sovente di origine antropica, utilizzati storicamente per l'abbeverata del bestiame e l'irrigazione delle colture.
La minaccia principale alla sua sopravvivenza è costituita dall'abbandono della pastorizia che provoca la scomparsa dei siti riproduttivi (pozze, abbeveratoi), ma anche l'introduzione incontrollata di pesci e le alterazioni antropiche in generale.

Il suo aspetto

Minuto e slanciato, con la testa piccola e una lunghezza che non supera i 10 centimetri. Gli arti sono robusti, con i posteriori relativamente lunghi. Ha quattro dita negli anteriori, cinque nei posteriori. La coda è sottile, a sezione ellittica ed appiattita in senso laterale, di lunghezza pari o leggermente minore rispetto al resto del corpo. Gli occhi sono grandi e poco sporgenti.
La forma e la colorazione della livrea variano nel maschio e nella femmina a seconda se si trovano nella fase acquatica o nella fase terrestre.
Nella fase acquatica i maschi hanno una colorazione di fondo grigio bluastra sulle parti dorsali, scura superiormente e più chiara sulla parte inferiore dei fianchi, con macchie più chiare disposte irregolarmente su tutta la superficie. Tra la zona dorsale ed il ventre si osserva una fascia bianca a macchie nere. Le zone ventrali si presentano di colore arancio, più o meno giallastro o rossastro, molto brillante. Durante le fase acquatica i maschi hanno una cresta caudale biancastra ornata da macchie e punti neri. Nella fase terrestre la cresta dorsale si riduce e resta solo un abbozzo appena accennato. La coda è bluastra con grandi macchie scure e nere. Le femmine sono prive di cresta in entrambe le fasi. Le femmine sono più chiare, meno brillanti, più uniformi e prive della colorazione bianca e nera sui fianchi.
La livrea di entrambi i sessi durante la fase terrestre appare scura e priva di ornamentazioni brillanti, le macchie diventano indistinte, e nel complesso viene assunta una colorazione scura, marrone, marrone verdastro o nero. Le femmine mantengono una linea dorsale mediana arancio o giallastra. In entrambi la parte ventrale è color giallo arancio, ma di tono spento.

Una fama da seduttore

La fase riproduttiva è piuttosto curiosa. In primavera il maschio si colora di azzurro per attirare l'attenzione della femmina. La lunga fase di corteggiamento inizia con il maschio che si dispone davanti alla femmina inarcando il dorso e facendo vibrare la coda per creare una corrente d'acqua in direzione della compagna. Se disponibile la femmina risponde sollevando la coda ed esponendo la regione cloacale. Il maschio si sposta lentamente facendosi seguire dalla femmina. Quando la femmina tocca la parte terminale della coda del maschio, questo depone una capsula contenente lo sperma (spermatofora) davanti alla femmina che la raccoglie per fecondare le uova.
Ogni femmina depone fino a circa 250 uova per stagione riproduttiva. Le uova sono di colore marrone chiaro, misurano da 1.3 a 1.8 millimetri di diametro, e con l'involucro gelatinoso raggiungono 3 - 4 millimetri.
Altra curiosità che può verificarsi nelle popolazioni di tritone appenninico è la pedomorfosi un fenomeno dello sviluppo ontogenetico che può portare ad avere popolazioni neoteniche cioè con individui adulti che hanno mantenuto alcune caratteristiche giovanili come per esempio la presenza di branchie esterne. La spiegazione scientifica è dubbia ma pare che questa strana manifestazione sia dovuta a fattori ambientali quali per esempio la bassa densità di popolazione o la permanenza di acqua o la scarsa alimentazione.

Habitat e abitudini

Lo sviluppo larvale e la riproduzione si svolgono in acqua stagnante, come stagni di bassa profondità, stagni, pozze provvisorie, fossi, abbeveratoi, e talvolta ruscelli a debole corrente. I tritoni adulti sono attivi principalmente di notte, sia in fase terrestre che in fase acquatica. Di giorno gli adulti in fase terrestre sono attivi soltanto durante e dopo le precipitazioni. Nella fase acquatica, sia le larve che gli adulti, possono essere attivi sia di giorno che nelle ore notturne. Durante la stagione fredda i tritoni alpini entrano in letargo.

Di cosa si nutre

La dieta degli adulti in fase terrestre comprende lombrichi, lumache, artropodi, insetti e loro larve. Nella fase acquatica predano piccoli bivalvi, insetti acquatici, anellidi, irudinei ed altri invertebrati. Il consumo di uova e larve di altri altri anfibi è molto comune. Anche gli episodi di cannibalismo sono frequenti, specialmente a danno di larve e di immaturi.

Bibliografia

• Bernini, F., Bonini, L., Ferri, V., Gentilli, A., Razzetti, E., Scali, S. (a cura di) (2004), Atlante degli Anfibi e dei Rettili della Lombardia "Monografie di Pianura" n. 5, Provincia di Cremona, Cremona pp. 255
• Lanza, B., Andreone, F., Bologna, M.A., Corti, C., Razzetti, E. (2007), Fauna d'Italia, Amphibia Calderini, Bologna
• Sindaco, R., Doria, G., Razzetti, E. & Bernini, F. (2006), Atlante degli anfibi e rettili d'Italia Societas Herpetologica Italica, Edizioni Polistampa, Firenze

 

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