Una stazione di inanellamento: giro di controllo serale delle reti. Ecco cosa può generare piacevoli sorprese: dal crepuscolo, infatti, iniziano a volare i notturni, e con un po' di fortuna qualcuno può incappare in una rete, per la gioia degli inanellatori.
La prima volta che ho visto un succiacapre (Caprimulgus europeus) è stato proprio presso una stazione di inanellamento, sull'Isola di Palmaria, a primavera, periodo in cui la specie torna in Italia dopo aver trascorso i mesi invernali concentrandosi nella zona orientale dell'estremo sud dell'Africa: dal solito sacchetto di tela è spuntato fuori un uccello alquanto singolare, non più grosso di un merlo ma con una testa massiccia, quasi sproporzionata rispetto al resto del corpo, piuttosto affusolato e simile a quello di un rondone soprattutto per la forma e il notevole sviluppo delle ali.
La somiglianza con il rondone non si ferma qui: anche il succiacapre possiede zampe corte e quindi poco visibili, oltre a un becco scarsamente sviluppato, soprattutto in relazione alle grandi dimensioni del cranio, caratterizzato per contro da occhi enormi e scurissimi, leggermente sporgenti in posizione laterale e solitamente tenuti socchiusi, il che conferisce all'uccello un'espressione alquanto singolare. Lungo la rima del becco si notano delle specie di vibrisse, dette barbigli, che sono di fatto piume modificate in funzione della particolare alimentazione del succiacapre, che preda in volo falene, coleotteri e altri insetti notturni.
Ma a un'osservazione ravvicinata, ciò che colpisce maggiormente è il piumaggio: la base grigiastra è ravvivata da disegni finissimi, sottili screziature brune e macchie fulve o color crema che ricordano nel complesso la corteccia di un albero e suggeriscono un mimetismo perfetto quando il succiacapre è posato su un tronco oppure al suolo, su un tappeto di foglie secche.
La capacità di rimanere immobile all'avvicinarsi di un potenziale predatore, sfruttando il piumaggio criptico che lo contraddistingue, è infatti tipica di questa specie, che resta così nascosta durante le ore diurne, per involarsi al tramonto in cerca di prede: l'immobilismo del succiacapre e la sua abitudine a tenere gli occhi quasi chiusi in presenza di luce devono aver contribuito ad alimentare una delle tante antiche credenze che questo uccello si porta appresso, cioè quella di essere "privo di vista durante il giorno", come scriveva Plinio.
Sempre agli autori latini che produssero nei primi secoli dopo Cristo una sorta di divulgazione naturalistica ante litteram dobbiamo la testimonianza secondo la quale il succiacapre sarebbe solito alimentarsi attaccandosi nottetempo alle mammelle di pecore e capre, con l'eccezionale risultato di bloccare la produzione del latte e rendere addirittura cieche le malcapitate bestie: come in tutte le credenze popolari, anche questa (da cui deriva ovviamente il singolare nome della specie, in Italiano come in latino e in altre lingue europee) ha un suo fondamento di verità, che però si limita al fatto che non è improbabile che i succiacapre frequentassero gli armenti, in quanto attirati dai numerosi insetti.
L'idea che potessero poi succhiare il latte dalle mammelle di una pecora, invece, deriva presumibilmente da una particolare caratteristica fisica di questi uccelli, che si può notare quando inscenano il loro tipico comportamento terrifico: se spaventati, spalancano i grandi occhi e il becco, rivelando una bocca enorme (ideale per catturare numerose prede volanti in un solo colpo), con palato molle e palpitante, i cui movimenti non servono certo per mungere una capra ma semplicemente per spingere in gola le prede alate (falene, per l'80%) che il succiacapre ingoia durante le sue cacce crepuscolari, caratterizzate da un volo sfarfallante, silenzioso quanto quello dei rapaci notturni.
Proprio questi ultimi sono alcuni dei predatori tipici del succiacapre adulto, che però risulta più spesso vittima di incidenti stradali, che finiscono per incidere pesantemente su una popolazione dalla consistenza incerta, data la scarsa disponibilità di dati di presenza sul territorio nazionale: studi recenti hanno in realtà dimostrato come non sia poi così difficile contattare la specie, dal momento che i maschi presentano una territorialità molto spiccata e, una volta scelta una potenziale area di nidificazione, ne marcano i confini con canti notturni prolungati, insistenti e molto caratteristici soprattutto per il battito d'ali (definito "applauso") che regolarmente ne segna la conclusione. Questo comportamento territoriale favorisce lo studio tramite il playback, cioè l'emissione di un canto registrato che provoca la risposta di eventuali maschi presenti in zona: grazie a questo metodo, in Gran Bretagna è stato effettuato un censimento esaustivo della popolazione di succiacapre, con rilevazioni contemporanee in tutti i siti idonei. Questi sono rappresentati da ambienti aperti come brughiere e praterie, zone a gariga, prati a sfalcio, arbusteti o boschi con ampie radure, incolti: tutti habitat potenzialmente in regressione nell'Europa nord-occidentale, che infatti ha registrato un forte declino della specie a partire dagli anni '70 del Novecento.
Come tutte le specie insettivore, inoltre, il succiacapre è minacciato dall'uso dei pesticidi, che riducono la disponibilità di prede, con effetti negativi soprattutto a carico dei pulcini, già facilmente soggetti alla predazione da parte di mustelidi, ratti, volpi e cani vaganti, data l'abitudine della specie di nidificare al suolo.
I primi 15 giorni di vita dei nidiacei (non più di due per covata, solitamente) sono i più critici, anche se ce ne vogliono poi altrettanti perché i giovani involati raggiungano la totale indipendenza; a sviluppo completato potranno far fronte a un'eventuale carenza di cibo grazie all'ennesima caratteristica peculiare della specie, che è in grado di ridurre il proprio metabolismo cadendo in una sorta di "letargo da fame" e consumando le riserve corporee fino a ridurre della metà il proprio peso, con la temperatura basale che scende sotto i 15°. Una capacità, questa, che contribuisce ad accrescere il fascino di una specie elusiva ma dalle caratteristiche eco-etologiche assolutamente uniche.