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L'orso infanticida? Sì, ma non è da demonizzare

Uno studio dell'Ispra condotto con una tecnologia forense ha fatto luce sul primo caso di infanticidio geneticamente documentato in Italia negli orsi bruni. La ricerca ha permesso di risalire al responsabile della morte di una femmina e dei suoi due cuccioli in Trentino, dove una piccola popolazione di orsi è stata reintrodotta e geneticamente monitorata per 20 anni

  • di Loredana Matonti
  • Maggio 2018
  • Mercoledì, 16 Maggio 2018
Orso bruno in Trentino Foto Frapporti C., Archivio Servizio Foreste e Fauna della Provincia Autonoma di Trento Orso bruno in Trentino Foto Frapporti C., Archivio Servizio Foreste e Fauna della Provincia Autonoma di Trento

Dimenticate i furti di merende di Yogi e i teneri insegnamenti dell'orso Baloo del Libro della Giungla. Nonostante i nostri tentativi di antropizzare i coinquilini animali, la natura, nella sua duplice veste di madre e matrigna, ci riporta sempre alla cruda realtà, rivelandosi nel sui lati più "oscuri", anche se, dietro a un'azione che ai nostri occhi potrebbe ritenersi immorale, si cela sempre l'istinto e la logica della riproduzione della specie.

Ricostruiamo i fatti. Siamo sulla Costa Lugiangia, a Tuenno, dove un cittadino del posto ritrova i resti di un cucciolo d'orso. Al posto di una famosa squadra di detective, protagonisti gli scienziati dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che, attraverso l'utilizzo della tecnologia forense, riescono a far luce sul "caso".

Ricevuta la segnalazione, i responsabili della Provincia di Trento del settore Grandi Carnivori si sono recati sul posto e, con l'aiuto di cani da orso, hanno seguito una traccia olfattiva, individuando prima il corpo di un'orsa, la madre, e quindi quelli dei due cuccioli.
Attualmente sul territorio della provincia di Trento, sono tre i casi accertati di infanticidio di orsi. L'ultimo caso di infanticidio di orsi risale al 2017, ma quello oggetto di questo studio è l'unico caso in Italia in cui è stato identificato geneticamente il responsabile.
Lo studio, condotto da ricercatori dell'ISPRA di Bologna, è pubblicato su Nature Conservation.

"Grazie ai campioni che ci sono stati inviati – ci spiega Francesca Davoli (Ricercatrice ISPRA, BIO-CGE, genetica della conservazione) in un primo momento siamo riusciti a identificare la femmina che è BJ1 e i suoi figli, i due orsetti F22 e M33. Grazie poi ad altre analisi siamo riusciti a trovare la parentela e a identificare il padre in MJ4 ancora oggi vivo".

Come è stato possibile risolvere un caso tanto intricato?

Dopo aver esaminato i cadaveri, gli operatori del corpo forestale erano certi che gli animali non fossero stati uccisi da un essere umano, ma da un altro orso. Con la speranza di isolare il Dna del maschio responsabile dell'infanticidio, i forestali della Provincia Autonoma di Trento hanno raccolto campioni di peli dalle vittime ed eseguito tamponi delle ferite della femmina in cerca di saliva. All'inizio tutti gli orsi bruni maschi segnalati nell'area nel 2015 erano nella lista "indagati". Il Dna recuperato dai tamponi sulle ferite della femmina indicava la presenza di DNA maschile che, a una prima analisi, sembrava appartenere al padre dei cuccioli. Qualcosa però non tornava: non esistono infatti casi noti di orsi maschi che uccidono la propria prole.

Come fanno gli orsi maschi a riconoscere i propri piccoli e quindi a non ucciderli?

"Ci sono varie tesi sull'argomento, risponde la dottoressa Davoli. "In generale è probabile che i maschi riconoscano la femmina, non i propri cuccioli. In questo modo sanno che si sono accoppiati con lei e per non rischiare di uccidere i propri cuccioli cercano un'altra femmina con cui non si sono accoppiati durante la stagione riproduttiva precedente".

Il caso, a questo punto, risultava ancora più complicato. Continuando le indagini, gli scienziati hanno scoperto che invece il maschio doveva aver ferito i cuccioli e la madre alternativamente, contaminando con il sangue dei piccoli (contenente il materiale genetico ereditato dal padre) le ferite.

Per arrivare all'aggressore gli scienziati hanno dovuto utilizzare la piccolissima quantità di materiale genetico estratta dai campioni di saliva, per ottenere così quattro profili genetici in gran parte sovrapponibili. Un confronto con tutti i maschi 'nel mirino´ ha permesso di delimitare i sospetti a un solo individuo.
"Abbiamo fatto un confronto – spiega Francesca Davoli - con i dati presenti sul database di riferimento nazionale ISPRA, che include tutti gli orsi campionati nella popolazione trentina fino a oggi e l'individuo più probabile è M7". Si tratta, in questo caso, di un orso che si era allontanato dal Trentino per arrivare in Lombardia, per poi ritornare sul territorio dove era venuto a mancare l'orso dominante della zona, Gasper."

La risoluzione del 'giallo'

Così, grazie a un database contenente i genotipi di tutti gli orsi dell'area studiata e a un software open-source utilizzato per analizzare i profili genetici forensi umani, gli scienziati sono stati in grado di risolvere il giallo, un po' come accade nelle serie "crime" in tv. Secondo le ricostruzioni fatte sulle morti del 2015, l'orsa avrebbe cercato di difendere i propri figli, finendo purtroppo per ferirsi nella lotta e morire assieme a loroUn comportamento normale in natura.

Anche la ricercatrice dell'Ispra conferma: "Non bisogna demonizzare l'infanticidio, perchè è un atto che rientra appieno nel comportamento naturale di varie specie, in cui i maschi uccidono i cuccioli non propri per far tornare la femmina in estro nel giro di 1-2 giorni (in piena stagione riproduttiva) e quindi accoppiarsi. Ma nelle popolazioni isolate con un piccolo numero di adulti in età riproduttiva, l'infanticidio sessualmente selezionato può avere un impatto negativo sulla conservazione a lungo termine della specie, specialmente nel caso in cui la femmina venga uccisa mentre protegge i suoi cuccioli".

Quindi, anche se in natura è un comportamento abituale, tali perdite purtroppo si traducono alla fine in una minaccia per la sopravvivenza di gruppi ridotti e specie in via di estinzione. Per questo il monitoraggio delle cucciolate è fondamentale per il controllo delle popolazioni di orsi.

Gli autori dello studio sottolineano però come l'identificazione genetica dei maschi responsabili potrebbe dare indicazioni concrete per la gestione di ridotte piccole popolazioni isolate, ad esempio mettendo radio-collari ai maschi infanticidi per seguirli.

Tuttavia, finora, gli studi genetici per identificare i maschi infanticidi hanno ricevuto poca attenzione.

 

Sitografia

http://www.isprambiente.gov.it/it/news/ricercatori-ispra-studiano-primo-caso-di-infanticidio-geneticamente-documentato-negli-orsi-bruni

 

https://grandicarnivori.provincia.tn.it/

 

Bibliografia


Davoli F., Cozzo M, Angeli F, Groff C., Randi E. Infanticide in brown bear: a case-study in the Italian Alps – Genetic identification of perpetrator and implications in small populations Infanticide in brown bear: a case-study in the Italian Alps. Nature Conservation 25: 55–75 (2018). http://natureconservation.pensoft.net

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