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Avvelenatori a otto (e più) zampe

Le otto zampe sottili, il corpo peloso e il contatto velenoso hanno garantito ai ragni una delle reputazioni più sinistre del regno animale. Ma delle oltre 35.000 specie di ragni solo qualche decina è pericolosa per l'uomo, e si trova in massima parte ai tropici. Esiste qualche eccezione, anche in Italia

  • Francesco Tommasinelli
  • Aprile 2014
  • Mercoledì, 23 Aprile 2014

Che cosa si intende per pericoloso? Di solito un ragno, come qualunque altro animale velenoso, è considerato pericoloso se il suo morso produce effetti che coinvolgono tutto l'organismo, oppure se fa così male da chiamare il medico. Gran parte della reputazione negativa dei ragni è dovuta alla vedova nera europea (Latrodectus tredegimguttatus), più conosciuta come malmignatta. Si tratta di un ragno nero, con zampe lunghe, glabre e l'addome macchiettato da caratteristici puntini rossi. Il corpo della femmina misura fino a 15 mm ed è molto più grande del maschio, lungo solo 5 mm, che non può neanche perforare la pelle umana. Fortunatamente questa specie non ama la vicinanza dell'uomo e si trova in ambienti aridi e assolati, nel Centro e Sud Italia, dove costruisce piccole ragnatele irregolari. Con la ragnatela cattura artropodi terrestri che passano nelle vicinanze, compresi altri ragni spesso più grandi, che uccide con il veleno. In effetti le tossine di Latrodectus sono tra le più potenti del regno animale, ma il veleno è introdotto in quantità così modeste da non portare a terribili conseguenze. Le tossine introdotte agiscono soprattutto sul sistema nervoso (veleno neurotossico) e possono produrre malessere generale nel giro di mezz'ora dal momento del morso, con nausea, febbre, sudorazione incontrollata, mal di testa. Nelle ore o nei giorni successivi possono emergere anche problemi cardiaci e forti contrazioni dei muscoli. Il completo recupero avviene nel giro di qualche giorno, anche se uno stato di generale debolezza può protrarsi ancora per più di una settimana. Il più piccolo ragno violino (Loxosceles rufescens) è molto meno conosciuto delle malamignatta, ma meriterebbe altrettanta attenzione. Il suo aspetto, certamente, non lo aiuta: corpo lungo meno di 10 mm, di colore bruno, con una sagoma simile a un violino disegnata sull'addome. I Loxosceles sono presenti alle basse quote in gran parte d'Italia, seppure con una distribuzione molto frammentata. Spesso vivono anche nei dintorni delle abitazioni, ma sono molto timidi e di abitudini notturne, quindi raramente vengono notati. Il loro morso all'inizio non è doloroso, ma rapidamente produce gonfiore e necrosi superficiale dei tessuti in 2-8 ore, seguito a volte da malessere più generale. La ferita è molto lenta a guarire e può richiedere settimane e addirittura mesi, lasciando una cicatrice ben visibile, grande quanto una piccola moneta. In rari casi tuttavia, l'inoculazione del veleno può portare ad effetti più gravi, con febbre alta, problemi al fegato e alla coagulazione del sangue che possono persistere per diversi giorni, portando alla morte. Sembra che a questa specie sia dovuto l'unico caso di decesso per avvelenamento da ragno accertato in Italia, che riguarda una donna di mezza età morsa due volte sul collo a Milano nel 2000. Il progressivo aggravarsi del quadro clinico l'ha condotta alla morte in tre giorni, ma sulla reale identità della specie rimangono ancora diversi dubbi. Pare infatti che il ragno incriminato possa essere il più pericoloso Loxosceles americano (L. laeta o L. reclusa), introdotto per errore assieme a qualche tipo di merce. Decisamente meno pericoloso è il ragno sacco giallo (Cheiracanthium punctorium), così chiamato per il vistoso addome di colore giallo e l'abitudine di costruire una tana a forma di sacco. Probabilmente è questo il ragno che infligge più morsi dolorosi nel nostro paese, a causa del veleno attivo, il temperamento combattivo e una grande diffusione. I Cheiracanthium, infatti, vivono in tutta Italia nei prati umidi, raggiungono i 15 mm di corpo e i maschi hanno denti veleniferi particolarmente grandi. Il loro morso è doloroso da subito e porta a un gonfiore rapido della parte colpita, che può persistere per più di un giorno. Spesso si osservano anche febbre e mal di testa, che tuttavia spariscono in poche ore. Come si è osservato per Loxosceles, anche questa specie tende a lasciare una cicatrice nella zona del morso, seppure di dimensione più ridotta (simile alla bruciatura di una sigaretta).
In Italia si rinvengono altre specie ritenute pericolose. Una di queste è la famosa Lycosa tarantula e la simile L. narbonensis. Si tratta di grandi ragni lupo, che possono anche raggiungere i 25 mm di corpo. Non sono mai state segnalate serie complicazioni sull'uomo in seguito a un loro morso. Anzi, nel Sud Italia, molti degli avvelenamenti più gravi attribuiti in passato a questa specie erano da ascrivere alla più piccola e pericolosa malmignatta. Gli scorpioni italiani (varie specie del genere Euscorpius), non meriterebbero di essere menzionati in questa rassegna. Alcuni raggiungono i 4 cm di corpo, ma il loro piccolo pungiglione, che ha difficoltà a bucare l'epidermide umana, produce solo un modesto arrossamento locale. In caso di morso, allora, sono peggio la scolopendra (Scolopendra cingulata) e la scutigera (Scutigera coleoptrata), centopiedi cacciatori dotati di veleno moderatamente attivo e un temperamento nervoso. Le prime misurano fino a 12 cm e hanno un apparato boccale costituito da forcipule (zampe modificate simili a zanne velenifere), in grado di infliggere un morso doloroso, ma gli effetti solo locali. La più piccola e molto più comune scutigera, detto centopiedi dalle zampe lunghe, è ancora meno pericolosa. Tralasciando zanzare, zecche e tafani, che pungono per succhiare il sangue e non hanno veri e propri veleni, si arriva alle cimici, tra le quali si contano emitteri come il reduvio Rinhocoris iracundus e le cimici d'acqua Notonecta glauca e Nepa cinerea, in grado di infliggere punture dolorose. Ci riescono grazie a un particolare rostro che usano per pugnalare le prede, e grazie al quale iniettano un veleno che contribuisce a digerirle. Le conseguenze sull'uomo sono trascurabili e hanno soltanto effetto locale. Se si guarda alle statistiche, api, vespe, bombi e calabroni dovrebbero essere molto più temuti delle specie sopra citate, visto che ogni anno producono centinaia di ricoveri in ospedale e una decina di decessi (in questo caso le statistiche non sono molto chiare e forniscono numeri molto diversi; 10 è una approssimazione).
Bisogna infatti ammettere che i calabroni (Vespa crabro) possono diventare piuttosto aggressivi se disturbati, per esempio quando si cerca di rimuovere o colpire il nido. Si dice che 7 punture di calabrone portino alla morte. È difficile essere così categorici, ma è vero che questa specie va trattata con rispetto. Calabroni e vespe sono infatti cacciatori, che impiegano il proprio pungiglione velenifero con disinvoltura e possono pungere a più riprese. Le più mansuete api (Apis mellifera), invece, lasciano il pungiglione nella pelle assieme a un pezzo di intestino, condannandosi quindi a morte certa. In presenza di uno sciame, tuttavia, anche le api possono diventare un pericolo, perché il pungiglione infisso nella vittima diffonde un feromone di avvertimento che induce gli altri insetti nelle immediate vicinanze a pungere. Si tratta di un sistema sviluppato dalla colonia per esaltare gli effetti di un attacco combinato. Come già detto, se si escludono i ragni Latrodectus e, in casi particolari, Cheiracanthium e Loxosceles, tutte queste punture o morsi hanno effetti in massima parte locali, che svaniscono nel giro di poche ore. Esiste però il problema dell'ipersensibilità ai veleni, che normalmente interessa un numero molto ristretto di persone. Nel caso delle api si calcola che di media una persona su cento abbia una sensibilità più accentuata alla puntura, e una su mille sia particolarmente vulnerabile al veleno. In quest'ultimo caso si possono manifestare reazioni allergiche con la comparsa di chiazze sul corpo, prurito, gonfiore esagerato della parte colpita e spesso anche del viso e, nei casi più gravi, anche difficoltà respiratorie. Tutti i decessi per punture da imenottero riguardano casi di questo tipo. In questi frangenti, così come per avvelenamenti più gravi, è bene raggiungere un ospedale dove l'avvelenamento è affrontato in modo sintomatico: si combattono cioè i singoli problemi a mano a mano che questi emergono e si fa in modo che il veleno faccia il suo corso rapidamente. Nella stragrande maggioranza dei casi anche gli avvelenamenti più seri si risolvono in 2-3 giorni. Nei casi più lievi, invece, in mancanza d'altro, è consigliato un impacco con ghiaccio o acqua fredda per lenire il dolore e ridurre il gonfiore. Ma è meglio applicare un antinfiammatorio locale e ricorrere a pomate antistaminiche se si manifestano i sintomi tipici dell'allergia.

La potenza del veleno

La letalità dei veleni è un argomento su cui si è molto dibattuto, ma è difficile arrivare a considerazioni definitive. I veleni sono sostanze molto complesse, basati su combinazione di proteine ed enzimi che degradano il funzionamento di parti dell'organismo dove sono introdotti. Semplificando al massimo, in base agli effetti sulla vittima, i veleni vengono classificati ad azione neurotossica, emotossica e citotossica. Nel primo caso la sostanza inoculata va a colpire il sistema nervoso, determinando sintomi gravi estesi a tutto il corpo, nel secondo altera la coagulazione del sangue inducendo emorragie interne, nel terzo caso il veleno ha un effetto soprattutto locale e aggredisce i tessuti, determinando necrosi di una certa entità Non mancano casi in cui questa distinzione non ha senso, perché le diverse componenti si trovano nella stessa sostanza variamente miscelate. Nelle vipere nostrane, comunque, si può affermare che la componente emotossitca sia dominante sulle altre. Per definire la "potenza" di un veleno si impiega un termine, definito LD50 (lethal dose - 50%) che si riferisce alla quantità di sostanza in mg in grado di uccidere il 50% di una popolazione di ratti adulti, misurata in kg. La vipera comune ha un LD50 attorno a 6 (mg di veleno per kg di topi), mentre il famoso e classico cobra dagli occhiali (Naja naja) ha un valore di soli 0,29. Il suo veleno è quindi molto più "potente" di quello della nostra aspide, circa 18 volte più efficace. Ma, come si può intuire, molti altri fattori intervengono a rendere più o meno grave un morso. Per esempio la quantità di veleno iniettato, che varia moltissimo tra individui della stessa specie, anche in funzione dell'umore e della taglia, il tipo di attacco e la zona colpita. Tutto il quadro, inoltre, può essere anche alterato dalle condizioni del soggetto colpito, l'età, il peso, lo stato di salute, la presenza di allergie e il trattamento medico ricevuto.

Scheda della potenza del veleno (LD50) per alcune specie italiane

Specie Nome comune LD50 (mg/kg su topi)
Vipera aspis Vipera comune 6
Vipera ammodytes Vipera dal corno 8
Latrodectus tredecimguttatus Malmignatta 0,9
Apis mellifera Ape 6
Vespa crabro Calabrone 3

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