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Orsi, quanti ne vogliamo?

Il plantigrado è un simbolo della natura selvaggia, che può essere orgogliosamente esibito dalle regioni che lo ospitano. In contesti molto antropizzati, però, l'interazione tra uomo e orso può essere problematica, per entrambi. Per questo è importante preservare l'ambiente naturale dell'orso in modo da proteggere anche gli altri animali e la cultura dei popoli che lì vivono.

Dal nostro archivio, Piemonte Parchi n. 152 | Gennaio 2006 (pdf)

  • Claudia Grisanti
  • Gennaio 2006
  • Martedì, 31 Gennaio 2006
Orsi, quanti ne vogliamo?

 

Ancora un'incursione lo scorso maggio a Vezzano, un paese a una decina di chilometri a est di Trento. A riportarla è il quotidiano locale L'Adige. Una notte un agricoltore sente i cani abbaiare e la mattina dopo, quando va nel recinto degli animali, si accorge che un cavallo è ferito. Una quindicina di punti di sutura e un verdetto chiarissimo: si tratta di un attacco di un orso. Negli ultimi anni anche altri centri vicino al Parco naturale Adamello Brenta sono stati visitati.
Obiettivo: pollai, apiari, greggi e cassonetti dell'immondizia. Da quando il numero di orsi è in aumento, anche gli attacchi sono cresciuti. In Trentino gli orsi erano quasi scomparsi, poi dal 1999, grazie a un programma dell'Unione europea, sono stati reintrodotti.

La Provincia autonoma di Trento ha fatto grandi sforzi per trasformare questa difficile operazione in un successo.
Lo scorso settembre ha organizzato a Riva del Garda il sedicesimo congresso dell'International Bear Association (IBA), richiamando oltre trecento esperti da una quarantina di paesi di tutto il mondo.
Tutti schierati in difesa di questo grande carnivoro. Perché anche se l'orso non è un vicino troppo amabile - fa paura e provoca anche qualche danno – rimane un animale affascinante, protetto dalla legge. Mantenere vitali le sue popolazioni significa conservare integro l'ambiente.
Il plantigrado è anche un simbolo della natura selvaggia, che può essere orgogliosamente esibito dalle regioni che lo ospitano.
In Europa l'Ursus arctos è protetto dalla Convenzione di Berna del Consiglio d'Europa e dalla direttiva Habitat dell'Unione europea. L'obiettivo è il mantenimento di una popolazione vitale, che sopravviva nel tempo senza l'intervento umano. Esistono tre tipi di popolazioni nel Continente: quelle grandi con oltre mille individui, distribuite dalla Polonia meridionale ai Balcani, e tra la Scandinavia e la Russia, due medie e sette piccole, con meno di cento individui. Tra queste ultime i nuclei suimonti Cantabrici in Spagna, sui Pirenei, in Austria, in Abruzzo e in Trentino. Tutto questo in un Continente molto antropizzato, in cui l'agricoltura, la pastorizia e lo sviluppo turistico hanno distrutto gran parte dell'ambiente originario e la rete di centri abitati, strade e ferrovie spesso interrompe le foreste. Il contatto tra orsi e persone è dunque inevitabile.

L'interazione può essere negativa per entrambi. Gli animali finiscono investiti quando attraversano le strade, vengono uccisi per errore dai cacciatori o intenzionalmente dai bracconieri, oppure muoiono dopo aver mangiato i bocconi avvelenati destinati alle volpi. Se diventano molesti possono essere catturati e rinchiusi. Da parte loro gli orsi possono devastare gli alveari degli apicoltori, danneggiare i frutteti e i campi di mais, cacciare galline o altri animali domestici (pecore soprattutto, ma anche vitelli e capre). Per difendersi si ricorre alla tradizione, come gli apiari posti su alberi o rocce della Turchia, o a invenzioni, come i doppi recinti elettrificati o gli "spaventapasseri" sonori. All'inizio di ottobre nel Parco nazionale di Abruzzo Lazio e Molise il Wwf ha regalato cinque recinti elettrificati agli apicoltori locali, una tecnica che negli anni scorsi, senza far del male agli orsi, ha quasi dimezzato i danni.

E poi c'è la paura. Potenzialmente gli orsi sono pericolosi, soprattutto quando si abituano alle città e imparano a rovistare nelle pattumiere. Dove questo accade, gli esiti possono essere drammatici. A Brasov, in Romania, l'anno scorso è stata uccisa una persona. L'atteggiamento delle persone è quindi ambivalente, e può passare dall'entusiasmo dei cacciatori e degli ambientalisti all'avversione degli allevatori, dei residenti e degli apicoltori.
Per tutti questi motivi, per la sopravvivenza dell'orso "oltre agli elementi demografici, genetici ed ecologici, in Europa è cruciale la componente sociale: l'accettazione a lungo termine" sottolinea John Linnell, del Norwegian Institute for Nature Research.
Alla domanda su quanti orsi siano necessari per una popolazione vitale, Linnell risponde: "La domanda non è di quanti orsi abbiamo bisogno, ma quanti ne vogliamo".

Il dibattito è aperto. È quasi impossibile decidere il numero minimo di orsi per una popolazione autonoma. Eppure è un fattore fondamentale prima di considerare una reintroduzione. Ancora prima, bisogna stabilire quanti animali sono presenti in una regione, operazione difficile e costosa.
Per fortuna dalla genetica sta aiutando. Si può infatti dare a ogni individuo un profilo genetico, un po' come fa la polizia con i criminali. Basta prelevare il Dna dalle tracce lasciate, ciuffi di peli ed escrementi.
Sui monti Cantabrici esistono due popolazioni, una di 25-30 orsi e l'altra di 80-100, separati da qualche centinaio di chilometri. Dopo un periodo di declino, i due nuclei sono in ripresa. Potrebbe però essere necessaria una reintroduzione per unificare i due gruppi.

La reintroduzione avverrà invece certamente nei Pirenei, in Francia. L'ultima orsa originaria di quelle montagne è stata uccisa il primo novembre di un anno fa. Sono rimasti circa 15 animali reintrodotti nell'ultimo decennio. Il ministero francese dell'Ambiente ha quindi varato un piano triennale che nella primavera del 2006 porterà all'immissione di cinque orsi provenienti dalla Slovenia. Finora sono state avviate consultazioni con i residenti e con i governi interessati, cioè i confinanti Spagna e Andorra, e con la Slovenia. Grande attenzione è stata data al monitoraggio degli animali rilasciati, un passo cruciale nel processo. Proprio la scarsa informazione sugli animali reintrodotti è stato uno dei motivi di successo limitato in Austria centrale. Qui molti orsi sono scomparsi, forse uccisi dai bracconieri, o forse tornati a casa, in Slovenia. In Abruzzo la situazione è incerta. "È una storia deprimente e complessa" spiega Luigi Boitani, dell'Università La Sapienza di Roma. Dai profili genetici e dalla diminuzione dei danni si stima che siano rimasti 30-50 animali dei 70-100 ancora presenti nel periodo 1970-1999. I pareri su una possibile reintroduzione sonodiscordanti: se l'orso del Parco nazionale d'Abruzzo è davvero una sottospecie, come suggeriscono alcune analisi del Dna, allora la reintroduzione non è consigliabile.

Secondo Boitani "siamo all'anno zero della ricerca scientifica" e prima di qualsiasi iniziativa si dovrebbero raccogliere dati attendibili sulla situazione attuale. In Trentino, vicino al Lago di Tovel, nel Parco naturale Adamello Brenta, è stata reintrodotta nel 1999 una decina di orsi provenienti dalla Slovenia. Per ora nessuno si sbilancia, ma l'operazione appare come un successo.
"Ci siamo dati l'obiettivo dei cinquanta orsi. Potrebbero volerci dai 20 ai 90 anni" dice Piero Genovesi, dell'Istituto nazionale della fauna selvatica, partner dell'iniziativa. "Le reintroduzioni sono state uno strumento tutt'altro che facile, di cui si è abusato nel passato. Devono essere poche e fatte bene, valutando anche gli aspetti negativi. Altrimenti è facile provocare danni. Si tratta comunque di progetti costosi: in Trentino dal '99 a oggi si supera il centinaio di milioni di euro.

Un aspetto positivo del progetto è stata "la creazione di un modello di gestione dell'animale che potrebbe essere trasferito al Veneto e al Friuli Venezia Giulia, dove la vicinanza con la Slovenia permette qualche sconfinamento naturale". Uno dei possibili problemi è la scarsa variabilità genetica. "Tutti i cuccioli nati finora sono figli di un unico maschio. Potremmo quindi avere problemi demografici e genetici a causa del numero troppo basso di animali immessi, tre maschi e sei femmine, che tuttavia era il numero più alto mai tentato
in Europa".

Un altro problema è rappresentato da Jurka, una femmina che ama frugare nei cassonetti dell'immondizia e passeggiare nei paesi del fondovalle. È soprattutto colpa sua se quest'anno i danni sono cresciuti a circa 25mila euro. Secondo Claudio Groff, del Servizio provinciale foreste e fauna, Jurka ha rischiato la ricattura e solo perché la popolazione è così piccola è stata tollerata. Anche se non ci sono state aggressioni e la Provincia risarcisce i danneggiati e contribuisce alle opere di prevenzione, un animale problematico come Jurka può creare conflitti.

"Nei Paesi dove ci sono stati danni, sono convinto che la maggioranza dei cittadini sono avversi alla reintroduzione, dice Groff, ma sono anche convinto che questa percentuale di contrari diminuirà quando dimostreremo che il pericolo non è reale, e che se l'orso sbaglia può venire rimosso, perché non è più importante degli abitanti".
Insomma, reintroduzioni sì, ma con giudizio. "Dobbiamo fare uno sforzo per preservare l'ambiente naturale dell'orso in modo da proteggere anche gli altri animali e la cultura dei popoli che lì vivono. Anche se abbiamo forse superato il momento critico per la sopravvivenza di questo carnivoro, dobbiamo continuare a essere attenti: è meglio agire in anticipo per evitare il rischio di estinzione, commenta Harry Reynolds, presidente dell'Iba, ma quando ormai è troppo tardi, la reintroduzione non è una cattiva scelta".

 

 

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