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Gipeto e Gran Paradiso, un amore senza fine

Il gipeto continua a scegliere il Parco Nazionale Gran Paradiso per nidificare; alcune coppie del grande avvoltoio che si era estinto nel 1912 e che è tornato recentemente a popolare le valli dell'area protetta, sono state avvistate in Valsavarenche, Valle di Rhêmes e Valle di Cogne

  • Redazione
  • Gennaio 2017
  • Mercoledì, 4 Gennaio 2017
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Gipeto e Gran Paradiso, un amore senza fine
Gipeto in volo
Foto di R. Permunian

La scelta del Parco nazionale del Gran Paradiso come luogo di nidificazione da parte del gipeto non è casuale: il parco infatti è territorio ideale per il rapace per diversi motivi: la facilità di reperire cibo, grazie all'abbondanza di fauna selvatica, la possibilità di trovare spazi idonei alla nidificazione, grazie alla conformazione delle pareti rocciose, ma soprattutto per la tranquillità che può trovare solo in un'area protetta, in cui sono vietati i sorvoli con elicottero o altri mezzi, e in cui il disturbo antropico è ridotto.

In particolare in Valle di Cogne, la coppia di gipeti che lo scorso anno ha dato alla luce "Vera" ha nuovamente scelto le pareti rocciose della Valnontey per realizzare il proprio nido. E' stata quindi istituita una zona di protezione, per non disturbare il sito di nidificazione, in corrispondenza della cascata di ghiaccio denominata "fallo di Plutone". Importante per questo motivo anche le attività di divulgazione e di sensibilizzazione svolte in collaborazione con la Società delle Guide Alpine e degli operatori turistici di Cogne, che già lo scorso anno si sono dimostrati attenti all'evento e hanno ribadito il proprio impegno nell'aiutare a far comprendere l'importanza della zona di protezione ai tanti arrampicatori che frequentano la Valnontey in inverno.

Oltre alle attività di prevenzione in essere, il monitoraggio del gipeto da parte del corpo di sorveglianza è quotidiano in tutte le valli interessate. Il controllo dei siti di nidificazione, in particolare durante la cova e la schiusa dell'uovo, e prima dell'involo del pullo (il piccolo di gipeto) viene fatto dai guardaparco, insieme ai tradizionali strumenti, con mezzi tecnologici particolarmente avanzati, al fine di assicurare un'adeguata protezione ai "tesori" del vero e proprio scrigno della biodiversità che è il parco.

E per celebrare questo felice connubio che ripubblichiamo, dal nostro archivio, l'articolo di Roberto Marcon intitolato 'Il mangiatore di ossa' che descrive le abitudini di questo singolare rapace.

 

Il mangiatore di ossa (da Piemonte parchi n. 176)

di Roberto Marcon

Parco nazionale del Gran Paradiso, tira vento e forte anche. Nuvole di neve si sollevano dalle rocce e dagli alberi innevati. Questo non sembra infastidire i due camosci che si rincorrono lungo il pendio. Uno di essi sulla sommità di uno spuntone è pronto a rituffarsi giù quando, poco più in alto, la sagoma di un grosso uccello fa la sua apparizione.
Non è un'aquila perché le ali sono strette e appuntite e la coda ha la forma di un cuneo. Stento a crederlo, ma è proprio un magnifico esemplare di Gipeto adulto. Con innegabile maestria, sorvola il costone per poi scomparire alla mia vista.
Lo ritroverò nella stessa zona in una giornata di forte vento,due settimane dopo. Questa volta incuriosito mi sorvola compiendo due giri nel cielo, lasciandomi letteralmente di sasso.

In Europa il Gipeto è un avvoltoio presente, in numero non considerevole, sull'arco alpino, nei Pirenei, in Grecia, Corsica e Turchia. L'habitat è tipicamente montano con vette e picchi fra i 1.000 e 3.000 metri con praterie, e pascoli, dove vi è bestiame all'alpeggio e ungulati selvatici. Devo confessare che ho sempre avuto una particolare preferenza per il Gipeto, per un insieme di fattori. Iniziando dal suo nome, in latino Gypaetus deriva dal greco gyps (avvoltoio) e da aetos (aquila), passando alla sua difficile reintroduzione nell'arco alpino, oggi brillantemente riuscita (fino a non molti anni fa risultava praticamente estinto), arrivando al particolare aspetto che ha ben pochi eguali negli uccelli di grandi dimensioni.

Non ho mai avuto l'occasione di vederne uno da vicino fino al febbraio di quest'anno, quando ricevo la notizia che un esemplare è ricoverato presso la Clinica veterinaria dell'Università di Torino, per una ferita sul petto presumibilmente prodotta da un attacco di un'aquila: purtroppo, pur avendo esigenze alimentari diverse (il gipeto si alimenta quasi esclusivamente di animali morti, comprese le ossa di cui è particolarmente ghiotto), non è raro che le due specie entrino in conflitto per la sovrapposizione dei territori e la vicinanze ai nidi. Dopo una serie di contatti vengo ricevuto da chi lo ha in cura, rimanendo stupito dalla sua morfologia. È un uccello realmente grosso, l'adulto può raggiungere una lunghezza di 110 - 115 centimetri (la sola coda a forma di cuneo raggiunge i 42 - 44 cm).
L'apertura alare varia da 260 a 280 cm, il peso oscilla fra i 5 e 7 chilogrammi. Non vi è disformismo sessuale tant'è che maschio e femmina hanno praticamente uguali dimensioni, e l'identificazione del sesso avviene tramite l'analisi del Dna. Ma è la varietà di colori del suo aspetto che lo rendono unico.

Negli adulti la testa è totalmente ricoperta da piume bianche (laddove altri avvoltoi, come i grifoni, ne sono sprovvisti).
Gli occhi hanno l'iride gialla circondata da un anello perioculare di colore rosso vivo, particolarmente evidente in momenti di forte eccitazione. Una sorta di mascherina nera li circonda, scendendo sul becco e terminando sotto di esso con lunghe e sottili penne nere che danno l'impressione di una "barba" (barbatus è l'epiteto specifico latino dato appunto da questa sua particolarità).
Biancastro è anche il colore della parte ventrale del corpo, anche se il petto negli adulti assume un colore rossastro  dovuto a veri e propi "bagni" in terreni sabbiosi o ricchi di minerali. Le cause di questo comportamento sono attualmente ignote. Le piume scendono fino alle zampe, come una sorta di calzoni, quasi a coprirle. La parte dorsale e le ali sono grigio scuro, le penne più grosse presentano rachide (la parte centrale) biancastro; le piccole hanno rachide biancastro che termina con una macchia dello stesso colore, dando così un vivace contrasto di bianco e nero. Questo variegato piumaggio è tipico del Gipeto nella fase adulta (6-7 anni), quando raggiungono la maturità sessuale. I giovani infatti hanno un colore scuro con capo quasi nero. Il loro periodo riproduttivo inizia in autunno con la preparazione del nido (di siti vene sono più d'uno), fatto di rami secchi e sterpaglia, posto in cengie su pareti rocciose. Le coppie sono monogame, l'ovodeposizione avviene in gennaio e febbraio (di solito 2 uova).

La cova dura 55-60 giorni ed è la femmina che se ne occupa prevalentemente, anche se il maschio provvede a darle il cambio. La prole al momento della nascita (verso marzo, con lo scioglimento delle nevi e la conseguente venuta alla luce degli animali morti nel periodo invernale) risulta inetta e coperta di piumino. Il più debole dei piccoli, nella maggioranza dei casi, è destinato a morire di stenti dopo 24 ore. Gli adulti accudiscono il nidiaceo nelle prime 3 settimane di vita.
Può già inghiottire grosse quantità di cibo, compresi alcuni frammenti di ossa. L'involo avviene dopo circa 110 giorni. Il giovane rimane per un certo periodo in zone vicine al nido, allontanandosene sempre più ed effettuando lunghi spostamenti. Come accennato, una particolarità del Gipeto è quella di nutrirsi di ossa. Non avendo gozzo riesce a ingerirne anche di notevole lunghezza (20 - 30 cm), per poi essere sciolte da succhi gastrici molto acidi. Le ossa più lunghe vengono rotte lasciandole cadere su delle rocce "rompitoi", scelte con cura per permettere un agevole recupero.
Sembra che questa sia una caratteristica innata già presente nei giovani. Un'alimentazione così specifica richiede l'esplorazione di ampi territori e il gipeto è un volatore di grande abilità, in grado di levarsi in volo fin dal primo mattino, riuscendo a sfruttare non solo le grandi masse d'aria calda in ascesa, le termiche, ma anche le lievi brezze che lambiscono i pendii. La sua abilità è costante sia a pochi metri dal terreno che ad alta quota. Nell'arco alpino sono presenti circa 120-130 gipeti.

Grazie a un programma di reintroduzione nato nei primi anni '90, la popolazione ha raggiunto un numero che fino a pochi anni fa era difficile auspicare. Dunque le probabilità di avvistarne uno, durante una passeggiata in montagna, sono sempre più numerose. A questo proposito invitiamo chiunque vedesse un gipeto a segnalarne l'avvistamento presso gli indirizzi sotto riportati. La famosa foto in bianco e nero che ritrae l'ultimo Gipeto ucciso nell'arco alpino, avvenuta nel 1913 in Valle di Rhèmes (Val d'Aosta), rimane un'icona di un passato senza rimpianti.

Sfoglia qui l'articolo nella versione cartacea (Piemonte Parchi n. 176 - giugno 2008 - pag 26)

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