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Bentornata tartaruga

E' attesa per Ferragosto la schiusa di tre nidi di Caretta caretta a Lampedusa. Questa tartaruga è tornata a deporre le uova in Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna ma anche in posti dove non era mai stata, forse perchè le aree protette sono luoghi oggi più disturbati di un tempo.
Dal nostro nostro archivio, pubblichiamo un reportage sulla deposizione delle uova di Caretta caretta sulle coste di Lampedusa.

  • Giulio Ielardi
  • Agosto 2016
  • Mercoledì, 10 Agosto 2016
Bentornata tartaruga

(Dal nostro archivio, Piemonte Parchi n. 125 del 2003)

Più Africa che Europa. Arida e quasi priva di vegetazione, Lampedusa avvolge di emozioni forti anche il più incallito dei viaggiatori. Pietre e sole nascondono la leggenda e accolgono la cronaca. Ieri, sul suo brullo tavolato, Ludovico Ariosto ambientò il duello tra cristiani e saraceni in cui Orlando smarrì il suo leggendario destriero (restano ancora i toponimi Contrada Cavallo Bianco e Torre di Orlando). Oggi, ad approdi mai facili per il mare e le coste alte, affi dano fardelli di speranze disperate i barconi carichi di immigrati.

Pur se estesa appena venti chilometri quadrati, un terzo del parco della Mandria, Lampedusa è la più grande delle Pelagie, misurando comunque al massimo undici chilometri di lunghezza e poco più di tre di larghezza. A terra, ben poco resta della sua originaria ricchezza naturale. Risalgono al XIX secolo i più massicci interventi di disboscamento, in particolare du-rante la colonizzazione borbonica, che hanno trasformato l'isola quasi in un deserto e in relitti del manto verde di un tempo i giganteschi carrubi del vallone di Cala Galera o i rari mirti e ginepri. Agli ultimi trenta-quarant'anni risale invece l'ultima mutazione del paesaggio isolano, con l'abbandono dell'agricoltura a favore di una nuova economia precariamente sbilanciata sul turismo. Quella africana non è solo una suggestione. Dal continente nero separano 138 km di fondali profondi non più di cento metri: dalla Sicilia i chilometri sono ben 215 (e i fondali sono abissi anche di 1600 m).

E ancora: i botanici che hanno censito la flora locale parlano di un 5% circa di specie "proprie dell'areale saharo-arabico". Per il resto qui s'incontrano rade piante pioniere, acacie spinose, capperi e cardi, gigli marittimi assieme ad endemismi preziosi come la Centaurea acaulis, la Caralluma europea, il delicato papavero giallo. Abbondante non è nemmeno la fauna, vista anche un'urbanizzazione incalzante e senza qualità che - lasciati i dammusi al ricordo degli anziani e alla pubblicistica di maniera - si va espandendo disordinatamente. Tra gli insetti, oltre 700 specie, va sottolineata una volta di più l'abbondanza di specie nordafricane (una su quattro, tra i coleotteri). Quanto ai vertebrati, a tutt'oggi sull'isola sono state osservate 162 specie di uccelli, alcune delle quali considerate d'interesse conservazionistico globale (e sono gabbiano corso, re di quaglie e grillaio). Vi si aggiungono sette specie di mammiferi, una sola specie di anfibio) il rospo smeraldino) e otto specie di rettili.

E, assieme a colubri e lucertole, tra questi ultimi è compresa la presenza più singolare di tutte, quella che fa di Lampedusa un'isola diversa da tutte le altre. Si chiama Caretta caretta, è la tartaruga marina più diffusa dei nostri mari ma negli ultimi decenni le sue popolazioni hanno subito un declino ancora non ben quantifi cato. Di distribuzione cosmopolita, sembra che nel Mediterraneo stia evolvendo una forma distinta come ipotizzato da uno studio recente del Dna mitocondriale. Dopo quelle di Oman e Stati Uniti, forse le nostre tartarughe sono ancora le più numerose dei mari del pianeta, vista l'importantissima colonia nidifi cante scoperta negli anni scorsi lungo le coste della Libia (9000 nidi stimati). In tutto il bacino occidentale del Mare Nostrum, ad ogni modo, l'unico sito dove oggi la Caretta si riproduce con regolarità è quello delle isole Pelagie (del tutto eccezionale, lo scorso settembre, la schiusa osservata su una spiaggia del casertano).
D'altronde questo è uno dei mari più belli e ricchi di risorse d'Italia, che non smette di offrire sorprese. Contando un'ottantina di individui, quella di tursiopi (Tursiops truncatus) sembra essere la popolazione più vitale e consistente delle nostre coste e garantisce avvistamenti ad ogni uscita in mare. E che dire dello straordinario passaggio di balenottere, più di cinquanta, avvenuto nella Pasqua scorsa?

A terra, è comunque grazie alle tartarughe che la fama delle spiagge dei Conigli e la Pozzolana di Ponente, rispettivamente a Lampedusa e Linosa, è andata crescendo nel tempo. In realtà, quando va bene, le tartarughe vi si fanno vedere solo un giorno all'anno. In una notte d'inizio estate, riconoscendo il luogo probabilmente grazie a chemiorecettori che percepiscono particolari proprietà di quell'acqua, le femmine escono dal mare e strisciando sul ventre guadagnano la battigia. Quest'anno solo a Lampedusa è accaduto cinque volte, quasi un record. Dopo aver scavato una buca viene deposto un centinaio di uova, morbide e del diametro di una pallina da ping pong, che si schiuderanno soltanto due mesi dopo.
Quello del legame della temperatura della sabbia al sesso dei nascituri è solo uno degli straordinari record di questi animali, antichi come il mondo. Se è tra i 26 e i 28° nasceranno maschi, mentre se il calore sarà ancora maggiore (a Linosa è quasi sempre così) vedranno la luce femmine. Ma le tartarughe marine stupiscono anche per la variabilità delle dimensioni (fino ai due metri della tartaruga liuto), l'apparato respiratorio composto tanto da polmoni che da sacche aerifere e anali, l'accoppiamento (le uniche poche ore all'anno in cui due individui si incontrano). E che dire dei tempi di digestione, fi no a 176 ore nella tartaruga verde?

Delle otto specie di tartarughe marine esistenti, cinque frequentano il Mediterraneo, pur se due in maniera solo occasionale. Già monete d'argento dell'antica Grecia, datate al I secolo a.C., raffi guravano questi rettili, che il mito voleva addirittura a sorreggere sul guscio corazzato il mondo stesso. Tanto la Caretta caretta che la tartaru-
ga verde (Chelonia mydas) e la liuto (Dermochelys coriacea) temono oggi due cose, la pesca e il turismo. La prima, rivolta al pescespada e praticata coi palamiti, è responsabile di catture accidentali a ripetizione. A Lampedusa e Linosa sono presenti centri di recupero organizzati da associazioni ambientaliste come il Cts, Hydrosphera e Wwf, dove i rettili vengono curati per essere rilasciati in mare. Quanto al turismo, concentra naturalmente le sue presenze nella stagione estiva e cioè proprio in coincidenza con la stagione riproduttiva
delle tartarughe. L'affollamento delle spiagge, il generale inquinamento e il disturbo anche nelle ore notturne sono fattori che condizionano senz'altro la presenza delle tartarughe, pur se in maniera non ancora del tutto chiarita. Come difendere la Caretta e il suo mondo bifronte di mare e terraferma?

A Lampedusa esiste dal '95 una riserva naturale di 367 ettari, che comprende la Spiaggia dei Conigli, il prospiciente omonimo
isolotto e i tratti di costa adiacenti. E' affi data in gestione a Legambiente (tel.0922971611), che si occupa anche della sorveglianza dei nidi di Caretta e della sensibilizzazione di bagnanti ed escursionisti. Sic proposti e Zps fanno parte integrante della rete europea
Natura 2000, a testimonianza tanto di un valore naturalistico ormai riconosciuto a livello internazionale che della possibilità di benefi ciare dei fi nanziamenti comunitari volti alla conservazione dell'ambiente. Nel gennaio scorso, poi, dopo una lunga attesa è stata fi nalmente istituita la riserva marina delle isole Pelagie, che comprende appunto i tratti di mare circostanti Lampedusa, Linosa e Lampione.

Per l'affidamento in gestione, purtroppo, occorrerà attendere un successivo decreto ma si tratta di una novità importantissima per la complessiva tutela di questi ambienti.
Quanto alle tartarughe, oltre che alle leggi e all'utilissimo lavoro di veterinari e volontari, il loro futuro appare legato al progresso della ricerca scientifica e alla stesura di piani complessivi di conservazione. L'inquinamento del Mediterraneo, lo sforzo eccessivo di
pesca, la cementifi cazione delle coste sono nodi ormai giunti al pettine per la sopravvivenza di interi ecosistemi.
E qui si saldano ai non pochi punti interrogativi cui resta da rispondere sulla biologia di queste affascinanti creature marine.

Sapremo farlo in tempo?

Sfoglia qui l'articolo in formato cartaceo (Piemonte Parchi n. 125/2003)

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