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Cinghiali: il difficile controllo di una specie

L'emergenza cinghiali è presente sul territorio piemontese. Questi animali rappresentano un problema per gli agricoltori che ne subiscono i danni ma anche per l'ambiente naturale che soffre per il loro passaggio. Eppure il cinghiale è un animale autoctono e appartiene all'ambiente in cui vive: la questione è che ce ne sono troppi, e non per cause naturali.

  • Emanuela Celona
  • Marzo 2016
  • Martedì, 1 Marzo 2016
Cinghiali: il difficile controllo di una specie

Abbiamo intervistato Laura Gola, referente scientifica del Piano di gestione e controllo demografico della popolazione del cinghiale nel Parco del Po vercellese alessandrino, per farci illustrare la situazione del territorio in cui è insiste il parco e per capire il ruolo dell'ente. 

Perché il cinghiale rappresenta un problema?

Il cinghiale, di per sé, non è un problema. È una specie autoctona che vive nelle zone di pianura e di montagna che era localmente scomparsa per poi ritornare, in anni recenti, con densità delle popolazioni molto elevate. Alcuni esemplari sono arrivati naturalmente, provenendo soprattutto dalla Francia ma, il vero problema, è cominciato nel territorio gestito dall'Ente Parco dagli Anni '90 con le immissioni avvenute, a scopo venatorio: sono stati cioè introdotti per poterli cacciare. Basti pensare che, sebbene in Italia il declino del numero di cacciatori sia molto marcato, sono aumentati, in proporzione, i cacciatori di cinghiali. Peraltro, questo ungulato ha un alto potenziale riproduttivo: le femmine possono infatti arrivare a partorire dagli otto ai dodici piccoli, più volte, nel ciclo della propria vita e le loro vincenti strategie riproduttive si basano sia sul numero dei piccoli che sulla cura della prole: non è infatti un caso raro incontrare delle femmine con 'asili' di cuccioli al seguito. Non per niente, l'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, ndr) definisce la sua biologia riproduttiva 'sfidante': una femmina è in grado di riprodursi già in età giovanile, non appena superati i 30 chilogrammi di peso.

Dato l'alto indice prolifico del cinghiale, le immissioni di capi complicano la situazione...

Esattamente, per questo la legislazione regionale, attualmente, vieta l'immissione di cinghiali nel territorio e il loro foraggiamento è ora vietato anche a livello nazionale, escluse le operazioni di controllo. Se questo ultimo divieto fosse rispettato, l'impatto ambientale del cinghiale potrebbe essere ridotto. La carenza naturale di cibo rappresenta infatti un fattore limitante per la specie e potrebbe anche essere importante, in alcune situazioni, per mantenerla sotto controllo ma con i continui foraggiamenti diventa impossibile poiché il potenziale riproduttivo e la sopravvivenza degli stessi animali aumenta notevolmente. Bisogna poi considerare che l'adozione delle sole misure tecniche di gestione spesso non sono sufficienti a redimere i conflitti sociali che la presenza del cinghiale, solitamente, genera.

I piani di gestione che gli enti parco attuano, non aiutano a contenere il fenomeno?

Il prelievo, purtroppo, sembrerebbe non limitare le popolazioni che continuano a crescere per la biologia 'sfidante' della specie, per cambiamenti ambientali e climatici generali e anche per approcci gestionali inadeguati.
Nel territorio del Parco del Po alessandrino-vercellese pratichiamo abbattimenti selettivi dal 2001, in collaborazione con una settantina di operatori selezionati e attivando una rete di collaborazione con gli agricoltori locali che sono i primi a subire i danni per le alte densità raggiunte dalle popolazioni di questa specie. Le problematiche maggiori sono inerenti il conflitto sociale, anche a seguito degli incidenti stradali dovuti all'impatto con cinghiali. A risentirne è anche la biodiversità ambientale che subisce le abitudini alimentari di questa specie onnivora: ad esempio, la riproduzione della rara testuggine palustre europea - che deposita le uova nel terreno presso zone umide - è messa a rischio dagli atti predatori del cinghiale.

Qual è il ruolo degli enti parco nella gestione dei cinghiali?

I parchi fanno continui interventi di controllo e prevenzione, con personale dedicato. Nel Parco del Po vercellese alessandrino - oltre alla sottoscritta – lavorano nella gestione anche i guardiaparco Alessandro Molinari e Valeria Genovese che si occupano di tutta la parte operativa. Naturalmente è fondamentale la collaborazione di tutta la struttura e, in particolare, del servizio di vigilanza.
I parchi possono utilizzare accorgimenti per tentare di mitigare il problema, mettendo in pratica una gestione attenta del territorio. Negli abbattimenti il nostro ente utilizza le metodologie previste per le aree protette: queste escludono la braccata, cioè l'utilizzo di mute composte da molti cani che effettuano un'attività di notevole disturbo alle comunità animali nel loro complesso. In particolare, il metodo più utilizzato è quello dell'appostamento da altana. Grazie a tutti gli strumenti messi in pratica capita anche di avere riscontri positivi, ma quasi mai risolutivi.

Quale può essere una soluzione al problema?

L'ISPRA indica che sarebbero efficaci prelievi mirati a un maggiore controllo delle femmine riproduttive. Sarebbe importante l'incremento dell'utilizzo di tecniche più selettive anche nel territorio non protetto, efficaci e meno impattanti sull'ambiente, lasciando la braccata soltanto a situazioni particolari. E' importante, infatti, non alterare il comportamento spaziale di questo ungulato, per non aumentare il rischio danni all'agricoltura e provocare concentrazioni notevoli in aree di divieto di caccia. A seguito delle braccate, peraltro, capita spesso di trovare cinghiali feriti: un'inutile tortura per l'animale nonché un potenziale pericolo per l'uomo.
Gestire il problema vuole dire mettere in campo tutte le possibili azioni di prevenzione. Tra esse l'Ente parco ha anche acquistato e rinaturalizzato alcune aree di scarso valore agricolo che venivano pesantemente danneggiate dalla specie. La gestione del cinghiale sarà problematica sino a che ci sarà un forte interesse venatorio non adeguatamente gestito da strategie gestionali che comprendano anche una corretta raccolta dei dati di campo.
E' importante dire che la collaborazione tra mondo venatorio e aree protette esiste e si realizza con la presenza degli operatori selezionati che partecipano alle attività di gestione. Esistono poi molti punti critici che riguardano, soprattutto, le attività di vandalismo e danneggiamento mirato all'attività che il parco conduce. Solo nel 2015 abbiamo avuto 28 episodi piuttosto rilevanti, dalla distruzione delle altane, al danneggiamento delle attrezzature e, purtroppo, anche al sabotaggio degli automezzi degli operatori selezionati.
La situazione è quindi complessa e per questo sarebbe necessario un maggiore coordinamento delle attività, almeno a livello regionale attraverso la raccolta dati e una maggiore condivisione di obiettivi e di strategie per attenuare le problematiche e le confluttualità sul territorio. L'identificazione di unità di gestione che coincidano il più possibile con l'ambito geografico occupato da un'unità di popolazione potrebbe perseguire l'obiettivo di un'effettiva mitigazione del problema. In sostanza non un approccio straordinario, dettato da facili allarmismi, ma bensì un'efficace gestione ordinaria.

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