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Gerbasso, un bosco in movimento

Sapevate che le api, note sentinelle della salute ambientale, sono in grado di intercettare il virus SARS-COV-2 durante la loro attività di volo? Questa è soltanto uno dei risultati d'eccellenza conseguite dalle numerose attività che coinvolgono l'area del Gerbasso: un bosco che non sta mai fermo!

  • di Laura Succi e Giovanni B. Delmastro*
  • Febbraio 2022
  • Martedì, 8 Febbraio 2022
Nelle foto, in senso orario: uno dei prati più piccoli, all’interno del bosco; taglio meccanico dell’erba nella radura più ampia del bosco;  Nel corso del 2021 la prima, ristretta produzione di miele millefiori del Bosco comunale del Gerbasso; una femmina della farfalla aurora attratta dai fiori di una alliaria del sottobosco  | Foto G. B. Delmastro Nelle foto, in senso orario: uno dei prati più piccoli, all’interno del bosco; taglio meccanico dell’erba nella radura più ampia del bosco; Nel corso del 2021 la prima, ristretta produzione di miele millefiori del Bosco comunale del Gerbasso; una femmina della farfalla aurora attratta dai fiori di una alliaria del sottobosco | Foto G. B. Delmastro

Il bosco comunale del Gerbasso prima del 1985 non esisteva. Al suo posto c'erano gerbidi, coltivazioni di mais e pioppeti. Poi il bosco prese vita, prima nelle menti dei naturalisti del Museo di Storia naturale di Carmagnola e poi - nel 1987, 1992, 1998 e 2009 - con la messa a dimora di alberi. L'intento era di realizzare un frammento di "querco-carpineto padano", quella tipologia di bosco che per molti secoli ricoprì le pianure del nord Italia: la lussureggiante foresta originaria percorsa da fiumi serpeggianti e invasa da paludi e lentamente ma inesorabilmente disboscata durante i secoli.

Lo scorso anno, con l'ultima recente acquisizione del Comune di Carmagnola, la superficie di "querco-carpineto" ha raggiunto i 20 ettari, mentre il bosco nella sua interezza, allargato cioè al saliceto che gli sta accanto, è oramai di quasi 30 ettari: una dimensione che ne farà uno strumento ancora più efficace per combattere l'erosione delle sponde da parte del Po, azione già in atto data la sua vicinanza, come d'altronde è nell'ordine naturale delle cose.

I prati, primo pensiero dei naturalisti

Oltre agli alberi, agli arbusti e alle erbe del sottobosco, il primo pensiero dei naturalisti furono i prati, aree aperte in grado di costituire superfici ricoperte in modo stabile da erbe, di varia ampiezza ed esposizione. Queste radure, come i piccoli stagni ai bordi del bosco, furono concepite con il duplice scopo di creare tanti ambienti diversi - per moltiplicare in questo modo il numero di specie vegetali e animali a gran beneficio della biodiversità - e per esaltare l'aspetto paesaggistico.

In una prima fase quelle superfici erano state seminate con alcune specie di piante foraggere, in particolare erba medica, ma col passare degli anni la loro qualità era progressivamente scaduta e tendevano a ridursi in ampiezza, soprattutto per l'arrivo di specie esotiche infestanti e l'avanzata di quelle arboree, pioppo bianco soprattutto.

Dunque che fare? La soluzione è stata una nuova semina di erbe, il più possibile differenziate, ma nel contempo tipiche della nostra pianura, allo scopo di ristabilire i confini delle radure da mantenere a prato stabile, aumentando quindi il numero di specie, rafforzando il valore biologico e commerciale del fieno prodotto e favorendo la presenza delle vistose fioriture che ingolosiscono gli insetti impollinatori e nutrono le api del Gerbasso. Sì, perché si fa anche il miele al Gerbasso.

Le api del Gerbasso

Api speciali quelle del Bosco del Gerbasso, operatrici del progetto di monitoraggio ambientale nazionale BeeNet! Guido Rolfo, della ditta Il fuco barbuto, vincendo un bando pubblico, ha collocato nel bosco la scorsa primavera i suoi apiari ed è entusiasta: "Cinque delle mie arnie fanno parte di BeeNet e facendo parte dell'Associazione Agripiemonte Miele - associazione che fornisce formazione e assistenza tecnica professionale agli apicoltori e si occupa anche di valorizzare il miele piemontese - ho avuto la possibilità di aderire a questo progetto insieme ad altri 50 operatori del territorio del Piemonte. L'ape in linea di massima ha un raggio d'azione di tre chilometri dal suo alveare, spazio che coincide con il bosco del Gerbasso, così, al termine dei tre anni di durata dello studio avremo il resoconto dello stato di salute del bosco e delle sue api: dati sull'inquinamento, sulle polveri sottili, sugli agenti chimici: è già assodato che certi tipi di diserbanti non uccidono subito le api ma danneggiano il loro sistema nervoso. Tutto quello che succederà sarà tracciato: un alveare che muore, quanto polline viene prelevato, quanto miele è prodotto, lo stato di salute delle stesse api. Faccio i prelievi secondo i protocolli e in più l'analisi melissopalinologica – cioè l'analisi dei pollini - che consente di stabilire la presenza delle specie vegetali dalle quali le api hanno prelevato il polline, anche se il miele può contenere pollini trasportati dall'aria, spore e polvere attirate elettrostaticamente dai loro stessi corpi". Api come cartina tornasole dell'ambiente, quindi.

BeeNet, coordinato da CREA Agricoltura e Ambiente e finanziato dal Mipaaf in collaborazione con altre istituzioni, enti di ricerca e università - tra i quali CRA-API, Università di Bologna, SIAN (Servizio Informativo Agricolo Nazionale), IZSVE e altri - monitora la salute e i fenomeni di mortalità e spopolamento degli alveari, valuta la salubrità dell'ambiente, mette in rete istituzioni, realtà operative e produttive del settore apistico a ogni livello e gestisce SPIA: la squadra pronto intervento apistico.
Un risultato d'eccellenza conseguito dal progetto è stato accertare che le api, ormai sentinelle riconosciute della salute ambientale, sono in grado di intercettare il virus SARS-COV-2, agente della COVID-19, durante la loro attività di volo, come emerso dallo studio pubblicato sulla rivista "Science of the Total Environment": Covid-19: le api bioindicatori con BeeNet - Covid-19: le api bioindicatori con BeeNet – CREA.

Un bosco in movimento

Al Gerbasso, tutte le attività fervono anche col freddo e con il gelo e in questo bosco, situato nel Parco naturale del Po piemontese, l'azione sperimentale di incremento delle specie erbacee è in pieno svolgimento. Lo scorso novembre il contadino che si occupa del mantenimento dei prati con il regolare taglio dell'erba ha provveduto alla semina utilizzando 37 sacchi da 10 kg ciascuno. Tra qualche settimana, con i primi tepori di primavera, le nuove erbe spunteranno dalla terra e l'esito sarà sotto gli occhi di tutti. Sarà interessante seguire l'evoluzione della vegetazione erbacea nei prossimi anni, anche per apportare eventuali modifiche alla miscela iniziale, la "Carmagnola Bees".

Si chiama così "Carmagnola Bees", un mix scelto ad hoc per il Gerbasso e messo a disposizione dall'Ente di gestione delle Aree protette del Po piemontese, in cui compaiono 14 specie di erbe nella percentuale indicata: loietto perenne (Lolium perenne) 10%, festuca rossa (Festuca rubra rubra) 20% e (Festuca rubra commutata) 13% e festuca falascona (Festuca arundinacea) 20%, erba mazzolina (Dactylis glomerata) 10%, trifoglio bianco (Trifolium repens) 3%, trifoglio violetto (Trifolium pratense) 3%, trifoglio squarroso (Trifolium squarrosum) 4% e trifoglio incarnato (Trifolium incarnatum) 2%, meliloto (Melilotus officinalis) 1%, lupinella comune (Onobrychis viciifolia) 5%, veccia comune (Vicia sativa) 5% e grano saraceno (Fagopyrum esculentum) 2%, tutte piante tipiche dei prati tradizionali. Unica eccezione, specie di origine nordamericana assolutamente non invasiva, la facelia a foglie di tanaceto (Facelia tanacetifolia) 2%, di cui le api sono estremamente ghiotte. Graminacee come le festuche, il loietto e l'erba mazzolina sono particolarmente utili da un punto di vista foraggero; mentre le varie specie di trifogli sono state inserite anche per i loro fiori (meliloto e veccia sono la migliore scelta per quanto riguarda la fioritura). Si tratta di una miscela di semi a composizione foraggera e floristico-mellifera, quindi volta a ottenere sia un fieno di ottima qualità che erbe con fiori appariscenti e molto graditi a svariati insetti pronubi, in particolare gli imenotteri apoidei.

La tecnica utilizzata è quella della trasemina è cioè la semina sulla cotica erbosa già presente dopo aver prima smosso e poi rullato il terreno, in modo che le nuove piantine possano crescere in mezzo alle altre e vadano a contrastare varietà esotiche che stanno occupando i prati. Le indicazioni prevedono che per lasciare spazio alle fioriture lo sfalcio sia fatto più tardi del consueto mese di maggio e che macchie irregolari di erbe vengano falciate solo a fine anno, affinché le api e gli altri impollinatori non siano mai lasciati senza fiori.

La trasemina è stata fatta su una superficie di quasi 6 ettari, circa 15 giornate piemontesi, e sarà messa in opera dall'agricoltore che gestisce i terreni in convenzione con il Comune di Carmagnola con una dose variabile di semente a seconda delle condizioni dei prati delle radure, calcolata tra 20-25 Kg per giornata piemontese. "Carmagnola Bees" è fornito dalla ditta Bottos srl di San Vito al Tagliamento (PN), sede di Piobesi (TO).
Un intervento, quest'ultimo, in favore della Zona Speciale di Conservazione e Zona di Protezione Speciale IT1110024 "Lanca di San Michele" e del progetto della "Foresta condivisa del Po piemontese" e della biodiversità.

Le nuove erbe in primavera creeranno un ricco tappeto fiorito, un esempio gestionale che potrà essere replicato in tanti altri luoghi.

*(Museo Civico di Storia Naturale di Carmagnola)

 

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