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Madame Butterfly a Coniolo

A Coniolo, nel Po piemontese, vive un'incredibile varietà di farfalle. Andando alla scoperta dei fattori che ne favoriscono la vita e di quelli che - invece - ne causano la scomparsa, scopriremo che l'uomo con i suoi comportamenti molto può fare per la conservazione di questi (e altri) animali, che sono fondamentali per la nostra stessa sopravvivenza.

  • Laura Succi
  • Ottobre 2021
  • Mercoledì, 13 Ottobre 2021
Vanessa del cardo - Foto Pixabay Vanessa del cardo - Foto Pixabay

Coniolo, comune del Parco naturale del Po piemontese, è il paese che visse due volte, dal nome di quel piccolo gioiellino che è il suo museo etnografico, in cui si racconta un pezzo di storia risalente a poco più di un secolo fa. Dieci chilometri da Casale Monferrato, una collina che scende pian piano verso il fiume, Coniolo Basso Antico fu abbandonato dai suoi abitanti a inizio Novecento a causa dei crolli dovuti alle escavazioni sconsiderate fatte per estrarre la marna, materia prima preziosa destinata alle industrie del cemento. Oggi l'abitato ricostruito è su un altro rilievo di questo movimentato paesaggio collinare e, nel frattempo, è emersa un'altra particolarità che ha portato a definirla la "collina delle farfalle".

Sì perché a Coniolo vive una gran bella comunità di farfalle in una zona umida vicino al Po adiacente alla Strada del Porto Nuovo..

Le specie censite sono addirittura 42: una così elevata biodiversità è dovuta a una serie composita di appezzamenti, un mosaico di prati, incolti, siepi e filari, coltivazioni di erba medica e di meliga, radure e ciuffi di pioppi in mezzo ai boschi misti di quercia, ciliegio, robinia. Un'alternanza di alberi e arbusti, aree fresche e umide, dove ci sono alcuni salici e un bel prato in cui cresce anche la cannuccia di palude. Matassa di erbe selvatiche e di piante ordinate, quella di Coniolo è la collina come veniva tenuta una volta, contraddistinta dalla convivenza di tanti ambienti e tante specie.

In un ambiente meno diversificato la licena delle paludi e tante altre farfalle sarebbero sparite, azzerate con un colpo di spugna. Il numero di specie diurne più alto è legato ai prati e ai pascoli. Anche la cosmopolita Vanessa del cardo, il cui bruco si nutre di alcune Asteraceae, è legata all'habitat dove le sue piante nutrici vegetano.

La nota dolente è che non solo le aree umide, ma anche i prati e i pascoli, sono in contrazione e - come riportato dall'Agenzia Europea dell'Ambiente - nell'ultimo trentennio in Europa ciò ha causato un marcato declino delle specie di farfalle legate agli ambienti aperti e alle zone di pianura. Le principali cause sono l'agricoltura intensiva – con l'uso ancora importante di prodotti chimici – e la trasformazione dei prati in seminativi.

Le 42 specie di farfalle presenti a Coniolo sono un numero assai rilevante, se comparato con le circa 290 presenti in Italia, che fra i Paesi mediterranei è superata solo dalla Turchia (357 specie). Poche specie, come Maculinea alcon, Maculinea teleius, Euphydryas aurinia, Coenonympha oedippus, abitano esclusivamente nella Pianura Padana, mentre Heteropterus morpheus e Lycaena dispar, pure stanziali in pianura, sono presenti anche in alcune località sull'Appennino. A buon diritto quindi Coniolo è considerato il paese delle farfalle.

A Coniolo si riproduce anche la licena delle paludi (Lycaena dispar) che non è rara in senso assoluto, visto che è distribuita su una vastissima area che va dall'Europa occidentale fino alla Corea passando per le zone temperate dell'Asia, ma è sottoposta a particolare tutela perché sono sempre più rari gli ambienti in cui si riproduce. In Italia sopravvive a fatica nelle zone umide della Pianura Padana e della Toscana settentrionale.

Si è infatti adattata a vivere nelle zone di risaia dove gli agricoltori non hanno la mano pesante con pesticidi e diserbanti chimici, trovandovi un habitat sostitutivo di quello naturale; è questo il motivo per cui le più alte concentrazioni di licena delle paludi presenti in territorio italiano si trovano attualmente proprio in questi ambienti.

Le risaie hanno infatti un'alta disponibilità di acqua alternata a periodi in cui vengono prosciugate, una dinamica che simula le variazioni del livello idrico nelle paludi dove affonda le radici la pianta nutrice dei suoi bruchi, il Rumex hydrolapathum, anche questa una specie rara. La licena si è adattata anche in questo caso: mancando la sua pianta ideale si è avvicinata ad altri rumex molto comuni che si trovano un po' in tutti i prati sfalciati come l'obtusifolius e il crispus, le piante più fresche e zeppe d'acqua che vivono in prossimità di rii e canali.

Tuttavia l'ambiente surrogato delle risaie non può sostituire del tutto le aree naturali: con il mutare delle tecniche di coltivazione del riso, che oggi privilegiano ambienti più asciutti, la farfalla rischia infatti di scomparire.

Un altro aspetto delicato è che i prati devono essere sfalciati regolarmente: il rumex è una specie pioniera che se non viene tagliata si perde, la vegetazione evolve e a quella pianta se ne sostituiscono altre, come olmi, salici, pioppi: nasce il bosco dove non c'è più spazio né per i romici né per le farfalle. In questo contesto entra in gioco l'Istituto Diocesano per il sostentamento del clero di Casale, proprietario di circa due ettari di prati, che si impegna a gestire gli sfalci in modo da favorire la presenza e la riproduzione della licena e di tante altre farfalle.

La licena femmina depone le uova - singolarmente o in piccoli gruppi - sia sulla faccia superiore che su quella inferiore delle foglie della pianta nutrice. Le uova si schiudono circa dieci giorni dopo essere state deposte e la larva (il bruco) sverna alla base del Rumex e si impupa (cioè si prepara a diventare farfalla) nella primavera successiva.

Lo sfavillìo della biodiversità si manifesta in mille modi e ogni specie ha le sue esigenze e i suoi comportamenti caratteristici. Se la licena è in grado di modificare le proprie abitudini e di spostarsi, anche se di poco con piccoli voli, una specie come il morfeo (Heteropterus morpheus) è legata a un territorio ristretto e, se si modifica anche minimamente l'habitat, se ne perde l'intera popolazione. Si tratta infatti di una specie il cui bruco si nutre di pochissime piante di palude. Dal bruco si origina un'esperide, farfalla diurna che assomiglia molto alle notturne falene, che possiede un battito d'ali ad alta frequenza, è molto rapida e vola anche quando piove e nelle ore del crepuscolo, a differenza delle altre farfalle diurne che si spostano solo se il sole splende e non tira vento.

Alcune specie hanno una sola generazione all'anno, come lo stesso morfeo, e questo contribuisce a renderle vulnerabili. La licena, invece, è "trivoltina", si riproduce cioè a maggio, a luglio e a settembre e - grazie a questo - ha maggiori probabilità di non soccombere.

Ma è un fitto groviglio di legami quello che che tiene in piedi il sistema: i bruchi di altre farfalle, ad esempio l'icaro (Polyommatus icarus), sono nutriti e difesi da alcune specie di formica in cambio delle sostanze che emettono e che sono una leccornia per loro. Purtroppo sono proprio le specie così dipendenti l'una dall'altra quelle che scompaiono più facilmente: basta un crollo temporaneo nella popolazione di formica che la farfalla non riesce più a riprodursi ed è spacciata.

Ma perché mai dovremmo interessarci a questi minuti esseri alati, effettuare monitoraggi e ricerche, disegnare adeguati piani di azione e intervenire sul modo di gestire il territorio? Le ragioni prioritarie sono due: la maggior parte delle farfalle allo stato adulto si nutre di nettare, contribuisce all'impollinazione e svolge quindi un ruolo determinante nella riproduzione delle piante - il nostro cibo e la nostra fonte di ossigeno. Le farfalle inoltre sono dei formidabili bioindicatori: il loro ciclo di vita rapido fa sì che rispondano prima di altri esseri viventi ai guasti ambientali e ce li svelino.

Per rendere l'idea, l'intossicazione da pesticidi sui bruchi si manifesta in tempi brevissimi: il veleno entra in circolo e i bruchi possono morire subito dopo. La reazione si fa più complessa salendo nella catena alimentare: gli uccelli mangiano una piccola parte dei bruchi intossicati e il loro avvelenamento è dunque più lento. I lepidotteri sono inoltre indicatori preziosi anche di altri gruppi di specie: se scompaiono le farfalle scompaiono anche tanti altri insetti fitofagi, se non ci sono più farfalle si ha la certezza che è stata danneggiata una certa nicchia ecologica.

C'è qualcosa che possiamo fare per loro (e a favore dell'intera biodiversità)? Certo! Moltissimo dipende dalle azioni dell'uomo e innanzitutto occorrrerebbe recuperare le tecniche agricole che sono state utilizzate nei secoli scorsi. 

A questo proposito può essere utile la consultazione della "Guida tecnica operativa – La fasce tampone riparie vegetate erbacee" redatto dal Settore tutela delle acque della Regione Piemonte.

Un altro suggerimento riguarda la gestione delle sponde dei piccoli corsi d'acqua artificiali: è bene sfalciarle in modo alternato, per lasciarne sempre una con fiori (quindi fonti di nettare) e piante nutrici (dei bruchi) a disposizione delle farfalle.

Non ultimo per importanza è intervenire sulla gestione dei tagli dell'erba. La licena, ad esempio, depone volentieri le uova solo sulle foglie fresche della pianta nutrice e mai su quelle secche. Un primo taglio va fatto nella prima decade di aprile, in modo da far trovare sufficienti fonti di cibo alle larve svernanti (dalle quali dipende la numerosità della prima generazione di volo) che riprendono l'attività tra la fine del mese di aprile e i primi giorni di maggio. I tagli successivi andranno poi fatti da metà di giugno fino a fine mese per favorire la seconda generazione e - ancora -  dal 10 al 20 agosto, a favore della terza generazione della farfalla.

Non disperare ma agire, questa è la ricetta, seguendo il motto "Né con la speranza, né con la paura" che fece suo Isabella d'Este Gonzaga, una delle figure più rilucenti del Rinascimento.

 

Per approfondimenti

Rapporti dell'European Environment Agency:

The European Grassland Butterfly Indicator, 1990-2011 

Grassland butterflies — population index, 1991-2018 

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