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Pesci esotici, l'invasione silenziosa

Parlare di conservazione dei nostri pesci vuol dire affrontare sia gli aspetti quali-quantitativi dei prelievi, sia il problema delle immissioni di specie estranee ai nostri ambienti, definite alloctone o aliene o esotiche: in particolare, di quelle invasive, le IAS  - dall'acronimo inglese Invasive Alien Species -, ovvero quelle specie che, a causa dell'azione dell'uomo, si trovano in aree diverse da quelle in cui si sono originate.

  • Paola Viviana Trovò
  • Aprile 2020
  • Giovedì, 1 Aprile 2021
Esox spp.  | Foto M. Nocciola Esox spp. | Foto M. Nocciola

I pesci, animali ai nostri sensi silenziosi, poco espressivi e invisibili, sono i "sovrani" indiscussi delle acque che, altrimenti, sarebbero più povere di vita e storia. I pesci sono infatti vertebrati "antichi", dai quali si sono sviluppati nel tempo tutti i tetrapodi che hanno occupato le terre emerse.

A fronte dell'evidente ruolo fondamentale che occupano negli ecosistemi, dando un contributo essenziale alla biodiversità, i pesci sono una classe di animali a volte trascurata, tanto da rappresentare spesso il fanalino di coda nei programmi di conservazione e di educazione ambientale.

Parlare di conservazione dei nostri pesci vuole quindi dire affrontare sia gli aspetti quali-quantitativi dei prelievi, sia il problema delle immissioni di specie estranee ai nostri ambienti, definite alloctone o aliene o esotiche, in particolare di quelle invasive le IAS (dall'acronimo inglese Invasive Alien Species), ovvero quelle specie che, a causa dell'azione dell'uomo, si trovano in aree diverse da quelle in cui si sono originate, entrando in competizione con quelle "nostrane", definite "autoctone".

Un po' di numeri

In Italia abbiamo almeno 60 specie di pesci alloctoni che si sono adattati ai nostri ecosistemi di acqua dolce e altre 24 che, pur senza riuscire a riprodursi, sono una minaccia per la fauna autoctona.

L'introduzione di specie alloctone, di qualsiasi regno (animale o vegetale) è, insieme alla distruzione e frammentazione degli habitat, ai cambiamenti climatici e all'inquinamento, una delle principali cause di perdita della biodiversità.

Altri numeri ci possono aiutare a chiarire la situazione: in Italia abbiamo 64 specie autoctone (di cui almeno 23 endemiche o sub-endemiche). Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani, i pesci ossei e le lamprede delle acque interne rappresentano la categoria a maggior rischio di estinzione, con il 52% dei pesci nelle 4 categorie di rischio di estinzione più elevate. 11 specie sono a livello di rischio critico, ovvero alla soglia dell'estinzione, e lo storione comune (Acipenser sturio) risulta già estinto.

Anche i pesci si estinguono

In generale le estinzioni possono essere "locali" o "totali". Le estinzioni locali, sebbene lascino speranze per una reintroduzione (rimosse le minacce), sono una pesante perdita perché talvolta gli animali, per selezione naturale, assumono caratteristiche peculiari, acquisendo una morfologia o comportamenti diversi in rapporto alle "circostanze". In questi casi, un'estinzione locale equivale a perdere un segmento importante di quella diversità su cui si basa l'elasticità genetica. Ad esempio, in aree di compresenza con il luccio (Esox spp.), i carassi (Carassius carassius) - pesci d'acqua dolce appartenente alla famiglia Cyprinidae - si sono evoluti in un adattamento morfologico che li ha portati a essere più grandi, forse per evitare di diventare facili prede del luccio. A conferma di questa ipotesi, dove il luccio è assente, le popolazioni di carassi sono più ricche in termini numerici ma gli individui si accrescono più lentamente e rimangono più piccoli.

Ancor più drammatico è il concetto di "estinzione totale" che deve far pensare all'assenza di un "piano B", ovvero all'impossibilità di future reintroduzioni e alla perdita definitiva di fauna per il pianeta. Non a caso e in silenzio, stiamo vivendo la sesta estinzione di massa (Gerardo Ceballosa, Paul R. Ehrlichb, and Peter H. Raven, Vertebrates on the brink as indicators of biological annihilation and the sixth mass extinction) con il rischio di perdere forme di vita che neanche sapevamo che esistessero. E una delle cause di estinzione è l'immissione di specie alloctone, ovvero specie capaci di entrare in competizione con quelle autoctone.

In questo contesto, occorre fare una riflessione su come i pesci alloctoni siano riusciti ad arrivare nelle nostre acque interne.

Le ragioni delle introduzioni sono diverse ma possono essere sintetizzate nei seguenti punti:

▶ ripopolamenti autorizzati di "pesce bianco" con la traslocazione di "materiale" generico proveniente da altri corpi idrici e contenente specie alloctone;

▶ introduzioni abusive effettuate per rendere più "variegata" la pesca o migliorare la qualità del pesce in termini alimentari. Queste introduzioni sono molto difficili da contrastare perché per effettuarle basta un secchiello pieno di individui alloctoni;

▶ rilascio, a fine giornata, delle esche non utilizzate per la "pesca con il vivo";

▶ introduzioni "in buona fede" di persone che vogliono liberare il "pesciolino di casa".

Per contrastare tutti i casi fin qui descritti, informare ed educare il più possibile le persone coinvolte, spiegando i rischi potenzialmente legati alle azioni scorrette, sono le soluzioni più efficaci. Va anche detto che non tutte le specie introdotte diventano invasive, e che ogni situazione va studiata nelle sue peculiarità, creando consapevolezza dei pericoli che corrono gli ambienti naturali ogni volta che interviene l'uomo.

Perchè uno speciale dedicato ai pesci esotici

Uno degli scopi primari di un numero speciale - nato da una collaborazione con il Centro di Referenza Ittiofauna del Piemonte (da cui l'acronimo CRIP) - dedicato alla fauna ittica esotica è proprio informare per educare.

Certo è che una specie alloctona, e ancora di più una IAS, crea potenzialmente una lunga serie di problemi che in prima battuta si possono individuare in un eccesso di predazione delle specie autoctone e nella competizione per habitat e risorse trofiche. Più difficile, se non impossibile, è prevedere tutte le complesse implicazioni a livello ecosistemico ed economico, che ne possono derivare.

Una volta immesse in una località, quando riescono a sopravvivere, le specie aliene si possono spostare, disperdendosi, e colonizzare nuove zone, ampliando così il loro areale e portando conseguenze poco prevedibili anche nello spazio. Troviamo quindi specie alloctone lontane dai siti d'introduzione e in luoghi incontaminati e difficilmente controllabili. Anche per questi motivi l'introduzione di specie alloctone è, fra le varie forme di alterazione della natura, una delle più subdole e rischiose, e spesso irreversibile.

L'incubo di Darwin

Fra i diversi esempi utili per descrivere la situazione, è istruttivo ricordare il caso dell'introduzione di un pesce d'acqua dolce alieno in un delicato ecosistema africano, raccontato nel docu-film L'incubo di Darwin diretto e interpretato da Hubert Sauper nel 2004 (vedi presentazione qui).

Questo triste e realistico lungometraggio racconta la drammatica estinzione di circa 210 specie autoctone, delle quali molte endemiche, di ciclidi nel Lago Vittoria, in Tanzania, a causa del rilascio, negli Anni '60, del persico del Nilo (Lates niloticus), specie estranea alla fauna autoctona. La distruzione dell'ecosistema del più grande lago tropicale al mondo è iniziata un pomeriggio, a opera di un uomo che voleva fare solo un esperimento con un secchiello pieno di pesciolini. Un modo semplice e banale per rovinare il Pianeta.

Il film spiega bene anche altri retroscena. Oltre al disastro ecologico, l'introduzione di specie alloctone porta con sè sempre "curiosi" risvolti economici e, insieme a chi ci perde, c'è sempre chi ci guadagna. L'intrigante storia del Lago Vittoria non è diversa. Senza aggiungere altro, lasciamo alla curiosità del lettore la visione del docu-film che è un mix fra un film dell'orrore e di spionaggio, in cui non mancano i poteri intoccabili, il trasporto di armi e la fame di un popolo che resta povero, nonostante l'indotto economico da capogiro che gravita intorno all'enorme "pescato". E tutto è iniziato così, quasi per caso, in un pomeriggio e da quel secchiello.

A eccezione dell'ecologo Geoffrey Fryer, che si era strenuamente opposto "all'esperimento", gli studiosi dell'epoca non erano forse preparati a essere testimoni dell'estinzione di specie, e non avevano ancora messo bene a fuoco i rischi connessi alla perdita della biodiversità. Oggi, invece, le estinzioni sono purtroppo frequenti e si susseguono a una velocità che il Pianeta non ha mai osservato insieme alla distruzione degli ecosistemi.

Gli alloctoni però non sono mostri, non sono animali cattivi, ma più semplicemente animali gestiti malamente dall'uomo che cercano di sopravvivere e di compiere il loro ciclo vitale, così come qualunque altro essere vivente. Nei nostri fiumi e laghi la loro presenza può essere un problema, perché è mancata la co-evoleuzione di specie, ma altrove è la loro stessa sopravvivenza a essere messa in discussione. Un paradosso del quale l'uomo ha responsabilità evidenti.
Basti pensare al siluro (Silurus glanis), specie estinta in Danimarca dove era autoctona, ma fortemente invasiva e di enorme impatto negativo nelle acque italiane

Lo speciale di Piemonte Parchi dedicato alla fauna ittica invasiva è dedicato a tutti.
Ai naturalisti, agli appassionati, ai pescatori ma soprattutto alla gente curiosa.
A chi già molto sa, nella speranza che possa essere una fonte di informazione e di nuovi spunti di riflessione.
A chi vorrebbe conoscere meglio i pesci e la Natura, sperando che possa aprire una finestra su un altro pezzetto di questo "nostro" meraviglioso mondo che abbiamo avuto solo in prestito.

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BUONA LETTURA! 

 

 

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