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Storia di una stella (marina) che non c'è più

Può la storia di una stella marina della Columbia britannica insegnare qualcosa anche alle nostre latitudini? Una riflessione su quanto succede negli Oceani che giunge fino a noi e che raccontiamo. 

  • Paola Viviana Trovò*
  • Marzo 2021
  • Martedì, 23 Febbraio 2021
Pycnopodia helianthoides  | Foto Brian Gratwicke - Flickr.com Pycnopodia helianthoides | Foto Brian Gratwicke - Flickr.com

 

Siamo lungo le coste nord-americane del Pacifico e un virus, più precisamente un Densovirus appartenente alla famiglia dei Parvoviridae, ha trovato nell'aumento della temperatura marina un complice perfetto per proliferare e - nel 2013 - inizia a decimare decine di milioni di stelle marine, tra cui la stella marina girasole (Pycnopodia helianthoides). L'epidemia viene ribattezzata in sea star wasting syndrome, cioè sindrome da perdita delle stelle marine. Dall'Isola di Calvert Island, nella Columbia Britannica, le stelle "girasole" sono scomparse dal 2013 e, da quell'anno fino a febbraio 2019, la temperatura di quelle acque è aumentata di ben 4 gradi centigradi.

Il luogo citato è lontano. E, forse, si potrebbe pensare che si può fare a meno di qualche stella marina. Ma la storia continua.

Più o meno nello stesso periodo i ricci viola (Strongylocentrotus purpuratus) hanno avuto eccellenti anni di riproduzione, probabilmente come conseguenza al riscaldamento climatico e, in assenza dei loro predatori - le stelle "girasole" - la popolazione di ricci è aumentata a dismisura, mangiando tutto ciò che ha incontrato. Fatto che sta causando ancora oggi problemi alle importanti attività di pesca del riccio di mare rosso (Mesocentrotus franciscanus) e dell'abalone rosso (Haliotis rufescens) che, secondo uno studio pubblicato dall'University of California, si è già ridotto del 96% dalla costa settentrionale della California.

Sono attese poi pesanti ricadute sulle preziose e bellissime foreste di kelp (Fucus vesiculosus) di cui questi ricci viola sono ghiotti e, di conseguenza, su tutta la catena alimentare, oltre che sulla biodiversità e sulle attività commerciali di pesca. A lanciare l'allarme dalle pagine di Science Advances  sono i ricercatori dell'Università della California e della Cornell University. Ma cosa ci insegna questa storia? 

Il nostro Pianeta è essenzialmente 'azzurro'

Il 7 dicembre 1972 la Terra apparse all'equipaggio dell'Apollo 17 come una biglia blu. Blue Marble è infatti il nome di uso popolare con cui fu battezzata la fotografia che gli astronauti fecero quel giorno al nostro Pianeta che appare così: 'azzurro', perché sette decimi della sua superficie sono coperti dagli oceani.

Gli oceani sono l'ambiente più esteso sul nostro Pianeta: i microrganismi che li popolano producono il 50% dell'ossigeno che respiriamo e assorbono il 30% dell'anidride carbonica diventando, quindi, fra i nostri più grandi alleati nella lotta ai cambiamenti climatici.

In queste acque vive l'80% delle specie viventi, confermando quanto diceva Talete, filosofo greco: "L'acqua è l'archè, l'elemento primordiale, il principio di tutte le cose".
E se gli oceani sono, insieme alle foreste, i polmoni della Terra, i fiumi sono le arterie che connettono tutte le acque a tutte le terre.

I problemi degli oceani

Nonostante il loro ruolo fondamentale, anche gli oceani subiscono le conseguenze del comportamento umano: dalle depredazioni all'inquinamento. Sono sempre più le "zone morte" individuate dagli scienziati, ovvero aree in cui l'ossigeno disciolto nell'acqua raggiunge valori talmente bassi tanto da rendere impossibile la vita animale.

Tra principali fattori di pressione, troviamo il riscaldamento globale, l'acidificazione (ovvero "il gemello cattivo" del riscaldamento climatico), l'inquinamento (basti pensare a quanto avvenuto nel 2020 nel "paradiso" delle Mauritios), il sovra-sfruttamento delle popolazioni ittiche, l'eccessivo traffico navale (pericoloso per i cetacei), l'invasione di specie alloctone (causata principalmente dall'apertura di canali e le acque di zavorra delle navi) e potremmo ancora continuare. 

Arrivano i rinforzi: le aree marine protette

Per tutelare questi ambienti, in ogni parte del mondo sono state itituite Aree marine protette (Amp), quale strumento di conservazione delle specie marine, degli habitat e degli ecosistemi.

L'Università della California – Santa Barbara (UCSB) conferma che: «Le aree marine protette sono estremamente utili per la conservazione marina. Anche ricerche precedenti hanno dimostrato che le Amp possono aumentare il numero di specie e stabilizzare gli ecosistemi».

Certamente, si dimostrano molto utili nel fornire aree in cui le creature del mare possono riprodursi e crescere fino alla loro dimensione adulta e nella protezione di specifici habitat costieri, come le barriere coralline e praterie di alghe e di posidonia con indubbi vantaggi anche per le attività commerciali di pesca. Tuttavia si stanno dimostrando non sufficienti per la gestione e la tutela di specie altamente migratorie o per risolvere le grandi e urgenti minacce a livello globale.

Ma che caldo fa?

Lo studio Marine protected areas do not prevent marine heatwave-induced fish community structure changes in a temperate transition zone, pubblicato su Scientific Reports ha cercato di determinare in che misura le Aree marine protette proteggano la vita marina dalle ondate di caldo, fonti di possibile alterazione degli ecosistemi.  

Il team californiano ha analizzato gli effetti di un'ondata di caldo marino che ha colpito l'intera costa occidentale Usa tra il 2014 e il 2016 confrontandola con una significativa serie di dati delle Channel Islands di Point Conception, un arcipelago in cui sono presenti una dozzina di aree marine tutelate, e che si trovano nel punto di transizione tra gli ecosistemi subtropicali a sud, e gli ecosistemi temperati a nord.

Il principale autore dello studio, Ryan Freedman del Marine Science Institute dell'UCSB e il suo team hanno indagato come queste aree protette possano aver mediato l'impatto dell'ondata di caldo. Confrontando la densità dei pesci, la biomassa, la biodiversità e il reclutamento di novellame tra le specie di acqua calda e di acqua fredda  hanno speigato che l'ondata di caldo ha avuto un effetto fuori misura sulla densità, il reclutamento e la biodiversità rispetto ai tipici eventi oceanografici. Poi, si sono concentrati  sui dati raccolti durante gli anni dell'ondata di caldo all'interno e all'esterno delle aree marine protette.

Secondo i risultati pubblicati su Scientific Reports, le Aree protette possono fare poco per mediare gli effetti delle ondate di caldo marine, compreso mantenere inalterata la comunità ittica. "I gestori delle risorse dovranno impiegare altre strategie se vogliono mitigare questa sfida perché le ondate di caldo stanno diventando più comuni", si legge nella ricerca.

EPICA: un progetto e un'impresa 

Un grafico grafico disegnato da Luca Mercalli con i dati del progetto EPICA spiega come, attraverso le ricostruzioni paleo-ambientali degli ultimi 3 milioni di anni, prima dell'Era industriale la quantità di CO2 nell'aria non era mai salita oltre le 300 ppm per poi iniziare a crescere con l'utilizzo dei combustibili fossili. Oggi, la quantità di CO2 nell'aria è stabilmente oltre 400 ppm. Il 2 giugno del 2020 il valore era di 417,9 ppm.

Su quanti e quali punti di non ritorno o tipping points siano stati superati, il dibattito è ancora aperto. Certo è che la crisi climatica sta alterando gravemente l'equilibrio degli ecosistemi terrestri e acquatici, e questo non avverrà in maniera graduale ma in modo incrementale, come una serie di salti irreversibili.

Le sfide a cui oggi gli oceani sono sottoposti, quindi, non hanno confini ed è necessario un drastico cambiamento di rotta.

Le aree marine protette in Italia

Dalla Liguria alla Sicilia in Italia abbiamo, a tutela del Mare nostrum, 29 Aree Marine Protette (AMP) e il Parco Nazionaledell'Arcipelago Toscano.

A queste AMP si aggiungo due parchi sommersi, quello di Baia e quello di Gaiola entrambi in provincia di Napoli, siti di Rete Natura 2000 e il Santuario Internazionale dei Cetacei, quest'ultimo nato in seguito ad un Accordo internazionale del 1999 tra Francia, Italia e Principato di Monaco.

Complessivamente le AMP tutelano circa 230mila ettari di mare e oltre 700 chilometri di costa, su un totale di quasi 8mila chilometri di costa italiana.

Il mare protetto è un patrimonio 'liquido' dal valore inestimabile: dobbiamo solo non dimenticarcene. 

 

* Guardiaparco dell'Ente di gestione del Parco Ticino e Lago Maggiore  

 

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