Molti anni fa, nel periodo di istituzione del sistema regionale dei parchi piemontesi, intorno al 1980, l'ambiente e il paesaggio erano molto diversi da quelli attuali. Il progressivo abbandono di montagne e colline da parte degli esseri umani attirati dal lavoro e dai servizi delle città, ha comportato radicali modifiche naturali ed estetiche. In particolare, in tutto il territorio nazionale, sono aumentate le superfici boscate.
Secondo i censimenti del Corpo Forestale, in 50 anni i boschi in Italia sono aumentati del 30%. In gran parte non si tratta di boschi alti, aperti e piacevoli, ma soprattutto di alberi di invasione, di arbusti e rovi, di specie a veloce colonizzazione. Per le foreste "Climax" tipo Bois de Boulogne o Sherwood tanto cari al nostro immaginario – e spesso false! – occorrerà almeno un secolo senza asce e motoseghe.
Il picchio nero
Un esempio delle conseguenze di questi cambiamenti repentini è rappresentato dal picchio nero (Dryocopus martius). In quegli anni era una specie considerata rara e ogni avvistamento veniva diligentemente annotato come un evento eccezionale e sporadico. Infatti il picchio nero, nonostante sia il più grande dei picchi europei, è un animale timido e schivo, che ama boschi maturi e tranquilli, e quindi aveva progressivamente abbandonato i suoi habitat preferiti a causa del disturbo e della competizione con gli esseri umani e le loro attività.
Piano piano, all'avanzare del bosco e dell'allontanamento degli effetti di disturbo, il picchio nero è tornato ad abitare diffusamente ogni parte del nostro territorio. Oggi la sua presenza non è più straordinaria ed è frequente avvistarlo ovunque e ascoltare i suoi tipici vocalizzi: un "cri cri cri" ripetuto e un lungo "clioò clioò" molto caratteristico.
I rapaci
Il bello è che seguendo i picchi neri sono tornati anche altri uccelli altrettanto elusivi e invisibili come le civette nana (Glaucidium passerinum) e soprattutto capogrosso (Aegolius funereus). Infatti questi piccoli rapaci notturni hanno evoluto l'abitudine di utilizzare come ripari i nidi abbandonati dal picchio nero. Quindi mezzo secolo fa erano inevitabilmente scomparse per assenza di "case" adatte.
Oggi, pur non avendo ancora raggiunto i numeri del picchio nero, anche la civetta capogrosso è tornata ad essere una presenza diffusa nei boschi piemontesi. Il suo ritorno è stato anche favorito, soprattutto nei primi anni di attività dei parchi, dal posizionamento di alcune apposite cassette-nido, installate dai guardiaparco nelle zone più vocate. Dopo 40 anni, un po' di successo che ripaga fatica e impegno, non guasta.
Dunque una catena consecutiva di ritorni positivi per l'ambiente naturale, e per la conservazione della biodiversità, come raccomandato dalle Direttive europee e stabilito nelle finalità delle aree protette della Rete Natura 2000.