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L'Australia dichiara guerra ai gatti

Sono morbidi e teneri. Il mondo dei social media li adora e posta quantità incredibili di foto e video che li ritraggono. Ma in Australia sono considerati nemici numero uno dell'ecosistema autoctono. Come dall'altra parte del Mondo affrontano la proliferazione di una specie esotica. 

  • Nicola Scevola
  • Gennaio 2020
  • Giovedì, 2 Gennaio 2020
 Foto Pixabay Foto Pixabay

Sono i gatti domestici, con cui a dire il vero il mondo ha sempre avuto un rapporto ambiguo: agli albori sono rimasti lontani dall'uomo e dai suoi capricci per migliaia di anni. Poi probabilmente ci siamo resi conto della loro utilità contro i topi e abbiamo cominciato ad addomesticarli. 

Le prime tracce che fanno supporre un avvicinamento risalgono al 7500 AC. Al tempo degli Egizi li adoravamo come semidei, mentre nel Medioevo li consideravamo manifestazioni del demonio e per questo ne abbiamo sterminati a migliaia. Più recentemente siamo tornati ad apprezzarli, eleggendoli animali da compagnia per eccellenza insieme ai cani. Dovunque, tranne che nel continente Down Under, dove il Governo australiano ha lanciato una campagna per eliminare entro l'anno prossimo 2 milioni di felis catus, nome scientifico dei gatti domestici, stanziando 5 milioni di dollari allo scopo.
Lo stato del Queensland offre addirittura una taglia di 10 dollari australiani per ogni "scalpo" di gatto adulto, e di 5 dollari per ogni cucciolo. Considerato che la popolazione locale di felini randagi è attualmente stimata fra i 2 e i 6 milioni di esemplari, pare un atteggiamento decisamente drastico.
E l'Australia non è l'unica ad aver dichiarato guerra ai gatti. Nella vicina Nuova Zelanda sono in molti a esprimere intenzioni simili nei confronti di questi predatori, al punto che un famoso economista ha addirittura creato l'ashtag #CatsToGo per promuovere la battaglia locale.

Una storia tutta australiana

In Australia, un paese grande 26 volte l'Italia, non vanno per il sottile. Per raggiungere l'obiettivo di eradicare i gatti che vivono liberi nell'outback arrivano a usare piccoli aerei da ricognizioni con cui sorvolano le zone più remote gettando salsicce avvelenate. Una ricetta letale per i gatti (ma anche per le volpi, i cani, i possum o i conigli) fatta da carne di canguro, pollo, spezie e un veleno, chiamato 1080, derivato dall'estratto di una pianta locale a cui certi animali alloctoni come i gatti sono molto suscettibili, mentre altre specie autoctone australiane lo sono meno. Ma lanciare dal cielo bocconi avvelenati è solo uno dei modi in cui il governo cerca di raggiungere il suo obiettivo: c'è chi spara ai gatti, chi mette trappole, chi li caccia con arco e frecce. Qualsiasi metodo è buono.

Nel centro del Paese, nei pressi del famoso monolite di Ayers Rock, è stata inaugurata una recinzione anti-gatto alta 1,8 metri e lunga 44 km per creare zone di ripopolamento per le specie autoctone. Quando il progetto sarà terminato, la rete arriverà a coprire 180 chilometri e 70mila ettari. Le ragioni di questo sforzo senza quartiere sono da ricercare nell'impatto devastante che questi predatori dall'aria tenera hanno avuto sulla fauna autoctona. Oggi l'Australia vanta la più alta percentuale di estinzioni al mondo, con oltre 100 specie classificate come "quasi minacciate" o "in condizioni critiche" dall'International Union for Conservation of Nature.

I felini minacciano le specie autoctone

Il gatto è stato considerato determinante nella scomparsa di 28 mammiferi, sugli oltre 30 estinti dall'arrivo dei colonizzatori inglesi. Secondo il Governo di Canberra, i felini rappresentano una minaccia diretta per 35 specie di uccelli, 36 di mammiferi, 7 di rettili e 3 di anfibi. Un problema esacerbato, nell'ottica della conservazione, dal fatto che molte di queste specie non esiste in nessuna altra parte del mondo. L'evoluzione dell'Australia, rimasta isolata per milioni di anni dopo essersi distaccata dal resto dei continenti, l'ha resa un ecosistema a sé stante con una fauna e una flora molto particolare.
"Il ritmo di estinzioni avvenute in Australia nel passato più recente è senza precedenti", ha dichiarato John Woinarski, docente alla Darwin University e uno dei maggiori esperti australiani di conservazione, intervistato dal New York Times. "E' una vera calamità".

Woinarski ha pubblicato diversi studi sull'impatto dei gatti sulla fauna autoctona ed è arrivato a stimare che, oltre ai mammiferi di piccola taglia, i felini ogni anno sterminano circa 377 milioni di uccelli e 649 milioni di rettili. L'arrivo dei felis catus nel continente risalirebbe alla fine del 1700, quando giunsero al seguito delle prime navi inglesi dei colonizzatori, sui cui marinai li trasportavano volentieri per tenere a bada i topi nelle stive. Quel che è certo è che, da allora, si sono moltiplicati in maniera esponenziale, predando animali di piccola taglia che abbondavano in Australia e spesso creavano problemi all'uomo al pari dei topi. Creature come i bandicoot, sorta di minuscoli marsupiali che nell'Ottocento erano così numerosi da costituire l'ingrediente principale dello stufato di curry. O i boodie, simili e altrettanto numerosi, ma più bravi a scavare, al punto che le loro gallerie sotterranee misero in pericolo l'intero sistema ferroviario del Paese nei primi del Novecento. Anche per questo, inizialmente la presenza dei gatti fu accolta con favore. Solo quando, poco dopo la metà del secolo scorso, varie specie tipiche dell'outback australiano furono dichiarate estinte, l'atteggiamento nei confronti dei felini ha cominciato a cambiare. Fino a quando, nel 2015, il Governo di Canberra ha deciso d'intervenire, non senza subire critiche.

Una lotta che divide la popolazione

L'idea di sterminare 2 milioni di gatti entro il 2020 ha innescato una raccolta di oltre 160mila firme per fermarla. Vari gruppi di animalisti e celebrità del calibro di Brigitte Bardot e l'ex frontman degli Smith, Morrissey, si sono schierati apertamente contro. Qualche conservazionista locale ha anche messo in discussione le statistiche su cui il piano di abbattimento è stato elaborato.

"Quando sono stati fissati gli obiettivi, nel 2015, non sapevamo esattamente quanti felini esistevano davvero in Australia", ha dichiarato alla CNN Tim Doherty, ricercatore di ecologia integrata presso la Deakin University di Melbourne. "Neanche oggi esistono stime veramente affidabili ma, affinché un obiettivo sia davvero sensato, bisognerebbe poter misurare i progressi verso il suo raggiungimento". Altri esperti, come i membri del Center for Compassionate Conservation della University of Techonology di Sydney, sostengono che il piano del governo è inutile, oltre che crudele: l'obiettivo di preservare le specie autoctone coinvolge troppe variabili che sfuggono al controllo dell'uomo. Le volpi, per citarne una, rappresentano un pericolo ben peggiore dei gatti per la fauna locale. Anziché cercare di ristabilire un ambiente naturale scegliendo arbitrariamente un'epoca da cui ripartire, dicono i ricercatori, i gatti dovrebbero essere accettati come un elemento ormai connaturato all'ecosistema australiano. Ma il governo, che per legge è tenuto a proteggere gran parte della biodiversità autoctona, non sembra avere intenzione di fermarsi.

"Che i gatti siano un problema nelle piccole isole e in continenti dove le prede non si sono co-evolute con loro è un dato di fatto incontrovertibile, su cui la letteratura scientifica non ha dubbi. Che i gatti siano la maggiore minaccia per gli ecosistemi australiani invece è più discutibile", ha scritto Lisa Signorile, biologa esperta di genetica e zoologia in un articolo sulla battaglia australiana ai felini. "Quello che gli ambientalisti e gli esperti di conservazione temono è che, più che salsicce per i gatti, questi siano specchietti per le allodole. Mentre da un lato il governo è così ansioso di salvare gli uccelletti dalle grinfie feline, dall'altro distrugge l'ecosistema delle specie native a uno dei tassi più alti del pianeta".

 

 

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