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Gli incendi in Amazzonia ci interessano da vicino

Biodiversità in fiamme. E' questa una delle principali preoccupazioni della popolazione colpita dagli incendi divampati (anche) l'Amazzonia boliviana. Oltre alla foresta brasiliana, infatti, sono più di 1.000.000 gli ettari bruciati dai roghi dolosi, di cui molti sono in parchi nazionali.

  • Emanuela Celona
  • Settembre 2019
  • Giovedì, 29 Agosto 2019
 Foto: p.g.c Linda Gonzalez Peppla Foto: p.g.c Linda Gonzalez Peppla

In Amazzonia, i roghi ci sono sempre stati. Ad affermarlo è Isabel Farell, presidente dell'associazione torinese 'Percorsi Intrecciati' nata nel 2017 per favorire gli interscambi tra Italia e altri Paesi cosiddetti 'in via di sviluppo', con particolare attenzione alla Bolivia. Il motivo di questi roghi è "una pratica diffusa e regolamentata dallo Stato boliviano per pulire i terreni ma, questa volta, la situazione è degenerata. I provvedimenti hanno incentivato il disboscamento delle foreste attraverso 'roghi controllati' finalizzati all'ampliamento della frontiera agricola, soprattutto nelle Regioni di Beni e Santa Cruz, perdendone il controllo".

Un indirizzo politico che ha gettato alcune ombre sul Governo di Evo Morales all'indomani dell'approvazione del Decreto supremo n. 3973 lo scorso 9 luglio: "La Bolivia ha bisogno di aumentare la produzione di soia transgenica, canna da zucchero (etanolo), allevamenti bovini (da esportare in Cina) e regolarizzare l'occupazione abusiva di terre demaniali anche forestali. Sono queste le cause più conclamate per la tragedia che stiamo vivendo e che ha già divorato più di 1.000.000 di ettari tra foresta primaria, savana e foreste che sono anche parchi nazionali", afferma la presidente dell'associazione.

Le zone più colpite sono parchi naturali

Il Parco nazionale Tipnis, la Valle di Tucabaca, la Riserva Forestal di Tariquia, quella di Municipal Roboré e di Otuquis, la Riserva forestale e indigena Ñembi Guasú sarebbero le aree naturali più compromesse, tutti habitat che ospitano specie endemiche di grande valore naturalistico.
"Molte delle aree boliviane sottoposte a disboscamento fanno parte di un ecosistema unico al mondo chiamato Bosque Seco Guaranì (Foresta Asciutta Guaranì) costituito da riserve forestali, bosco primario e poche savane. La destinazione d'uso è sopratutto forestale. Nel 2015, il governo boliviano promise queste terre ai coltivatori di foglia di coca garantendo l'ampliamento della frontiera agricola insieme al possesso legale della terra. A quel tempo promise addirittura di ampliare la frontiera agricola boliviana da 2,5 milioni di ettari coltivati a 4 milioni entro il 2020. Difficile, oggi, pensare che non sia stata la mano dell'uomo, la responsabile degli incendi: «Finora ci sono due persone in stato di fermo perché colte in flagranza e, nei luoghi dei roghi, sono stati ritrovati pneumatici incendiati e bottiglie di plastica con diesel e benzina, probabilmente un principio di incendi falliti», prosegue la presidente, rammaricata che su queste vicende regni un grosso silenzio internazionale, anche da parte dei media.

L'Amazzonia brasiliana

L'Amazzonia brasiliana a è infatti quella che ha avuto maggiore risonanza mediatica. Ma la foresta si estende in ben nove Paesi del Sud America, oltre a Brasile e Perù che hanno la maggiore estensione. Bolivia, Colombia, Venezuela, Ecuador, Guyana, Francia (Guyana francese) e Suriname sono gli altri Paesi.

"Quella che si sviluppa in Brasile è definita Amazzonia 'legale', spiega in un post su Facebook Nayara Mello, ingegnere forestale brasiliana. Tutti gli anni, in questo periodo di poca pioggia, gli incendi forestali sono la norma ma, nel 2019, i numeri sono quasi triplicati. I proprietari terrieri, con l'appoggio del governo, hanno disboscato di più: in otto mesi sono state, infatti, rilasciate oltre 300mila autorizzazioni, comprese zone di protezione ambientale e zone indigene", scrive la forestale. Da Manaus, nel cuore della Foresta Amazzonica, sente già l'odore acre del fumo proveniente dagli incendi, anche se le zone più colpite sono altre: Acre, Para e Rondonia. "Da fenomeno (in parte) naturale, gli incendi hanno assunto oggi proporzioni gigantesche", commenta l'ingegnere additando le responsabilità a una politica irrispettosa dell'ambiente.

L'origine degli incendi

«Il 99% ha origine umana», spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale della Statale di Milano. Le foto satellitari confermano che a bruciare sono le zone di margine della foresta, al confine con i campi coltivati e i pascoli o le aree comunque utilizzate dall'uomo (e spesso deforestate in tempi recentissimi). Gli incendi sono uno degli "strumenti" della deforestazione che significa sostituire la foresta con qualcos'altro, in modo permanente. L'Amazzonia (con i suoi vari ecosistemi) è grande quasi 6 milioni di km quadrati - poco più dell'Unione Europea (!) - e secondo il Guardian, da gennaio a luglio 2019, sono bruciati 18600 km quadrati, cioè lo 0.3%. All'inizio di agosto questa superficie era il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, anche se siamo lontani dal record per il periodo 2000-2018. Un fenomeno quindi non estremo, ma che continua da diversi anni. E se incendi e deforestazione arriveranno a riguardare il 25%-40% della foresta (per ora siamo intorno al 15%), l'ecosistema non sarà più in grado di regolare il proprio clima e potrebbe trasformarsi in una savana (come era già 55 milioni di anni fa), rilasciando enormi quantità di CO2 nell'atmosfera e mettendo a rischio milioni di specie animali e vegetali. Il problema, infatti, è l'anidride carbonica – spiega il ricercatore – che è la causa principale dell'effetto serra, non la bassa quantità di ossigeno prodotto dalla foresta in seguito agli incendi. E poiché in proporzione ce n'è poca nell'atmosfera, aggiungerne o toglierne un poco, fa molto più effetto che aggiungere o togliere un poco di ossigeno. Quando una foresta brucia, dagli alberi e dal suolo si "libera" nell'atmosfera il carbonio di cui sono fatti. Secondo il servizio europeo Copernicus, gli incendi di quest'anno in Amazzonia hanno già prodotto 230 milioni di tonnellate di CO2 (più di quelli siberiani). Aumentare la CO2 significa aggravare il riscaldamento climatico, che rende probabili altri incendi, e così via in un circolo vizioso», conclude il ricercatore.

Di chi sono le responsabilità

"Fino al 2017, nell'Amazzonia brasiliana, era diminuita la deforestazione che destinava i terreni alla coltura della soya (per alimentazione animale) e al pascolo estensivo. Il 2018 e 2019 hanno visto, invece, un aumento velocissimo di area disboscata e quest'anno potremmo raggiungere per la prima volta in un decennio i 10000 km quadrati. Il Governo brasiliano ha incoraggiato l'eliminazione della foresta a scopi produttivi, tolto fondi al monitoraggio e alla protezione ambientale (-20% secondo il New York Times) e allentato i controlli sulle illegalità (modifiche al decreto 6514) ma il problema non è solo di chi è a capo dello Stato", aggiunge il ricercatore. Un sistema di mercato internazionale legato alle esportazioni di soia, carne, e minerali verso Europa e USA mina ulteriormente la situazione. La carne, infatti, è uno dei principali prodotti di esportazione dal Brasile e l'Italia è uno dei principali importatori (30 000 tonnellate/anno - soprattutto per carni lavorate di bassa qualità). In Italia, gli animali non sono allevati su terreni sottratti alle foreste primarie, tuttavia spesso sono alimentati con la soia proveniente dal Sudamerica (soprattutto pollo, maiale e carni trasformate)".

Noi cosa possiamo fare?

Cambiare le abitudini alimentari, stravolgere i nostri sistemi di importazione e investire risorse economiche (ma non solo) nella cooperazione ambientale. E domandarci sempre: quanto incide consumare o servirsi di prodotti responsabili della deforestazione? Il primo passo (necessario ma non sufficiente) è a livello personale, dando la giusta importanza all'influenza che ognuno di noi ha nelle proprie scelte e stili di vita. Senza sottovalutare che – se ci si muove insieme a una collettività – si può esercitare più pressione su chi compie scelte politiche. Decisive.

 

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