Fino a qualche anno fa, gli unici a pescarlo con la scossa elettrica erano i predoni che la notte lo catturavano di frodo per rivenderlo nei Paesi dell'Est, da dove è venuto e dove la sua carne è ancora apprezzata. Oggi, invece, gli elettrostorditori sono usati alla luce del sole da un numero crescente di ittiologi al servizio delle autorità locali per contenerne la diffusione.
Stiamo parlando del pesce siluro, passato nel giro di una generazione dall'essere trofeo ambito di pesca sportiva al divenire l'Attila della biodiversità del Po.
Gli invasori del fiume
Dalla tartaruga dal baffo rosso al barbo europeo, dal gambero della Louisiana alla nutria, l'elenco degli alieni arrivati da lontano che oggi ha invaso il Grande Fiume è lungo. In assenza di antagonisti naturali, questi animali alloctoni si sviluppano in modo vertiginoso colonizzando il corso d'acqua con conseguenze impreviste: il siluro del Danubio, ad esempio, è diventato il Moby Dick della padana, sorta di pesce gatto ingordo che arriva a sfiorare i 3 metri di lunghezza e fa piazza pulita degli altri pesci.
"Ormai eradicarlo è quasi impensabile, l'unica via è il contenimento" - dice Alessandro Candiotto, ittiologo esperto di conservazione che ha partecipato a vari progetti di contenimento - "... Anche perché per essere più efficaci, le azioni andrebbero coordinate in tutto il bacino del Po".
La questione è complicata dalla natura stessa del fiume, ormai divenuto un luogo appartato rispetto al passato: la scomparsa di specie autoctone di pesce è notata da pochi e non fa grande danno economico immediato. Non toccando il portafogli, tende quindi a glissare nelle priorità delle amministrazioni locali.
Specie alloctone, una minaccia per la biodiversità
"L'introduzione di alloctoni è la peggiore minaccia al mondo per la biodiversità dopo la distruzione di habitat naturali, ma pochi se ne rendono conto", sottolinea Stefano Fenoglio, esperto di ecologia fluviale dell'Università del Piemonte Orientale. "Le specie esotiche predano gli autoctoni, sottraggono risorse e sono vettori di malattie. La peste del gambero americano è un esempio: ha avuto effetti devastanti sul gambero locale, un po' come un tempo gli noi facemmo stragi fra gli indigeni esportando il vaiolo in America".
Oltre al fatto evidente che un mondo con meno specie – animali o vegetali – è più povero e brutto, la biodiversità resta un fattore determinante per la sopravvivenza dell'umanità. Qualche esempio: la sua osservazione è fonte d'ispirazione per innumerevoli soluzioni a problemi sanitari; dagli insetti impollinatori dipende oltre l'80% delle colture europee; ci rende più adattabili ai cambiamenti: se, all'interno di un ecosistema, una specie fallisce, ce n'è un'altra simile che sopravvive, salvando l'ecosistema stesso.
Pesci da acquario che finiscono nel fiume
Il siluro è certamente la specie che si è fatta maggiormente notare fra gli invasivi, ma non è la sola a minacciare questo fiume che, con circa 45 specie native di cui oltre una quindicina endemiche, è considerato uno dei bacini di biodiversità più importanti d'Europa. I nomi che appaiono nel suo nuovo bestiario sono tanti, e fra i pesci più diffusi ci sono la pseudorasbora, il barbo europeo, il pesce rosso, il rodeo amaro, persico sole, il pesce gatto, il luccio perca, la gambusia e il temolo. Un posto particolare è riservato al misgurno, detto pesce barometro, specie orientale molto adattabile, capace di resistere per mesi in asciutta e riattivarsi con l'arrivo delle prime piogge. E' stato probabilmente importato come pesce da acquario e poi rilasciato. E dalla fine degli anni Novanta si è diffuso lungo il fiume partendo dalle risaie del pavese.
"E' ancora poco conosciuto ma è certamente uno dei più pericolosi fra i nuovi arrivati", dice Stefano Bovero, biologo specializzato in conservazione di rettili e pesci anfibi. "Sarà il prossimo flagello del Po: preda uova e larve di altre specie, ha una notevole capacità riproduttiva e i primi studi di contenimento hanno dato pochi risultati".
La mano dell'uomo che sposta le specie animali a suo interesse e piacimento, resta il fattore scatenante di questa minaccia. Ma ci sono altre condizioni che contribuiscono a rendere il Po così vulnerabile alla calata degli alieni.
Il Po, un habitat delicato
Per definizione, il sistema fluviale è più delicato di altri habitat a causa della sua interconnessione. Mentre una specie terrestre alloctona e invasiva deve trovare i corridoi ecologici necessari per espandersi sul territorio, i corsi d'acqua tendono ad essere collegati e presentare meno barriere. Il riscaldamento del clima ha poi allargato lo spettro delle specie esotiche in grado di sopravvivere nel clima del bacino padano.
"Qualche anno fa, nel tratto parmense è stato pescato un piranha del Rio delle Amazzoni, arrivato presumibilmente da un acquario privato", ricorda Bovero. "Oggi non è un pericolo perché non ci sono le condizioni adatte per consentirne la riproduzione. Ma di questo passo chissà come sarà fra 50 anni..."
Inoltre, i prelievi d'acqua e gli sbarramenti hanno acuito il fenomeno di lacustrizzazione del Po, che già soffre di scarsa portata nei periodi estivi, accelerando l'accumulo di sedimenti sulle pietre del fondo. Questo ostacola la riproduzione dei pesci indigeni che solitamente depongono le uova sulle pietre, favorendo contemporaneamente quelli alloctoni che depongono invece nel fango o sulle piante.
I pesci non sono gli unici invasori
Fortunatamente, rispetto al passato, quando non c'era coscienza del problema e per fini commerciali o sportivi nel Po s'immettevano senza problemi grandi quantità di pesci da tutto il mondo, oggi esiste una legislazione che vieta l'introduzione di specie alloctone. Questo ha segnato una piccola rivoluzione copernicana che, almeno in linea di principio, antepone la salvaguardia dell'ambiente agli interessi umani, partendo dalla consapevolezza che non esiste sviluppo sostenibile in un ambiente degradato.
"Dopo la caduta del Muro si comprava ancora pesce a buon mercato dall'Est da immettere nel Po per la pesca, tanto che si parla di danubianizzazione del fiume a livello biologico", nota Fenoglio.
I pesci, però, non sono i soli barbari che bussano alle porte di Eridano. Ci sono anche i crostacei come il gambero rosso e gli erbivori come la nutria, che scavano lungo gli argini e li fanno franare, rovinando le culture agricole. Contro le seconde, in Inghilterra hanno preso misure radicali con un decreto del governo, in Italia i comuni lasciano fare agli schioppi dei cacciatori. Tanto che qualcuno si augura che si faccia come in Argentina, dove questo erbivoro è apprezzato a tavola.
"Ci vorrebbe qualche chef stellato che vada in televisione a dire che la nutria è buonissima, trasformando un problema in una ghiottoneria", scherza (ma non troppo) Claudio Castagnoli, comandante della polizia provinciale di Ferrara, da anni in lotta con questo erbivoro.
Il problema, infatti, diventa ancora più spinoso quando la specie invasiva vive sulla terra anziché in acqua e ha il pelo morbido e gli occhi simpatici al posto delle squame.
Le specie alloctone non sono mai virtuose
"Abbiamo sviluppato un approccio razzista alla conservazione", sottolinea Fenoglio, notando come la materia sia spesso influenzata da fattori emotivi che poco hanno a che fare con la scienza. "Con i pesci è più facile perché non li vede nessuno, ma contenere gli ibis o le nutrie è complicato. Il caso dello scoiattolo grigio americano che invade i nostri boschi scacciando quello rosso nostrano è un buon esempio: sapevamo cosa sarebbe successo perché era già accaduto nel Regno Unito, ma non siamo riusciti a intervenire perché l'opinione pubblica italiana è schiava di una visione disneyana della natura, che impedisce di gestire la conservazione delle specie in modo corretto".
D'altronde nel mondo non esistono esempi virtuosi d'introduzioni di specie alloctone. Quelli meno negativi riguardano semplicemente specie che non sono riuscite ad adattarsi e sono scomparse. Oppure ci sono esempi che hanno dato un risultato positivo, provocando però un nuovo squilibrio. Negli USA, le carpe asiatiche sono state introdotte per frenare la prolificazione delle alghe che crescevano a dismisura, a causa dei concimi usati nei campi. La carpa, ghiotta di alghe, ha risolto il problema ma è diventata talmente dominante da mettere a rischio la biodiversità del fiume. E non è solo una questione ecologica: la presenza massiccia di questo pesce ha messo a repentaglio l'industria legata alla pesca di altre specie e ha reso addirittura pericolosa la navigazione in alcuni tratti. Certi esemplari di carpe argentate, che raggiungono anche i 18 chili, se spaventate possono saltare fuori dall'acqua, colpendo i natanti più piccoli e i loro passeggeri. Secondo l'Evironmental Protection Agency, i danni più comuni includono "tagli provocati dalle pinne, contusioni facciali, danni alla schiena e fratture ossee". Come dire: messa una pezza da una parte, si apre una falla dall'altra.
L'uomo, il primo responsabile dell'invasione
Pesci e nutrie fanno la parte del leone nell'invasione del Grande Fiume, ma nell'orda ci sono anche vermi piatti e molluschi. Stranamente, l'unica classe che non ha rappresentanti invasivi sono gli insetti acquatici. Pensando ai casi terrestri di punteruolo rosso e cimice asiatica, ci si potrebbe aspettare il contrario. Invece, no. Il motivo principale è che l'uomo non ha mai avuto interesse a spostare gli insetti, tranne in rari casi di lotta biologica. Se c'è un trasferimento, solitamente avviene in modo involontario, al seguito di qualche pianta-ospite d'importanza agricola o ornamentale. Ma il numero di piante acquatiche importate è irrilevante.
"Questo paradosso aiuta a mettere ulteriormente a fuoco la responsabilità centrale dell'uomo nelle invasioni biologiche", conclude Fenoglio. "La scarsità d'insetti acquatici invasivi è legata fondamentalmente alla mancanza d'interesse umano nel loro spostamento".