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Salva (per ora) la grande foresta brasiliana

Grazie a una sentenza del Tribunale federale di Brasilia,  la Reserva Nacional de Cobre e Associados (Renca) - una delle maggiori riserve naturali dell'Amazzonia con i suoi 46mila km quadrati risulta più grande della Danimarca - non sarà aperta allo sfruttamento minerario.

Il magistrato ha motivato la decisione in parte con l'accoglimento di una petizione popolare, e in parte con la necessità di espressione da parte del Congresso, in merito alla conversione della foresta avvenuta con decreto presidenziale. 

Si tira, quindi, un sospiro di sollievo, sebbene la vicenda non sia ancora conclusa definitivamente.

Sull'importanza delle foreste, pubblichiamo dal nostro archivio, Piemonte Parchi n. 178 | Agosto-Settembre 2008 un articolo di Luca Ghiraldi.

  • Redazione
  • Settembre 2008
  • Venerdì, 1 Settembre 2017
Salva (per ora) la grande foresta brasiliana

Le foreste sono uno degli ecosistemi più complessi presenti sul Pianeta.
Dominate dagli alberi, ma costituite da una moltitudine di specie vegetali e animali che abitano il suolo, le foglie, la lettiera e persino i tronchi degli alberi in decomposizione. Queste forme di vita si integrano e interagiscono tra loro con continui scambi di materia ed energia,
che di fatto servono a mantenerla in buona salute, nel suo complesso.

Le foreste sono anche un patrimonio di fondamentale importanza per la funzione ecologica e per le risorse che sono in grado di offrire agli esseri umani: grandi macchine divoratrici di anidride carparchegbonica, ma allo stesso tempo produttrici di ossigeno, regolatrici del clima, del ciclo dell'acqua e dei nutrienti, riparo e fonte di cibo per numerose specie animali, e per gli esseri umani. Ma come
spesso accade, l'uomo non riesce a rispettare i suoi tesori e così nella sua breve storia è riuscito a distruggere e minacciare tre milioni di anni di evoluzione e, di riflesso, moltissime specie animali che dalle foreste dipendono.

Immaginando di osservare l'evoluzione della vegetazione in un ambiente di neoformazione, noteremmo che per lo sviluppo di una foresta occorre un lasso di tempo notevole: si passa, infatti, attraverso una serie di stadi evolutivi che vengono definiti "successione ecologica"
e che terminano nel momento in cui si raggiunge una condizione detta di climax (cioè quando si insedia una comunità in grado di sfruttare al meglio le nuove condizioni ambientali che si vengono a creare). Questo equilibrio può interrompersi a causa di eventi naturali
(come incendi o malattie), oppure a causa di attività umane (come l'eccessivo sfruttamento o la deforestazione selvaggia).

Per questi motivi, lo sviluppo di una foresta dipende da numerosi fattori: condizioni climatiche, tipo di litologia, illuminazione e disponibilità idrica... ed è proprio sulla base di tali esigenze che si possono distinguere diversi tipi forestali: foreste caducifoglie delle regioni temperate; foreste di conifere dell'emisfero boreale tipiche delle regioni subartiche o delle Alpi; foreste monsoniche decidue; foreste pluviali equatoriali tipiche di climi caldo umidi; foreste sempreverdi subtropicali e quelle sempreverdi delle zone temperate tipiche
di climi poco piovosi.

In Italia, secondo il rapporto di Legambiente del 2004, le foreste sono in una fase di espansione e non sono, al momento, in atto processi di deforestazione selvaggia, ma se avessimo l'opportunità di tornare indietro nel tempo, avremmo di fronte ai nostri occhi un paesaggio molto diverso: una penisola ricoperta per intero da un unico esteso manto forestale. Nella Pianura Padana, al termine dell'ultima glaciazione quaternaria, si estendevano boschi di specie pioniere e poco esigenti come le betulle (Betula pendula), mentre altre specie più esigenti, per sfuggire ai ghiacci, trovarono rifugio in zone dove il clima meno rigido ne permetteva la sopravvivenza.

Con l'avanzare degli anni molte specie cominciarono di nuovo la migrazione verso Nord: arrivarono così a colonizzare la pianura specie come la farnia (Quercus robur) e l'abete bianco (Abies alba); in seguito giunse anche il faggio (Fagus sylvatica) che trovò la sua massima espansione 5.000 anni fa. Con l'avvento delle pratiche agricole e dell'allevamento del bestiame, nelle Alpi, il faggio lasciò il posto ai larici (Larix decidua) che raggiunsero la loro massima espansione durante il periodo romano.

In pianura, l'antica foresta planiziale che si estendeva dalle Alpi Occidentali sino al Mare Adriatico cominciò a frammentarsi sempre più: a causa dei grandi disboscamenti cominciati con l'avvento dell'Impero, dopo un breve periodo di tregua e di espansione coinciso con
l'epoca medievale, a partire dall'anno Mille, cominciò l'inesorabile distruzione giunta sino ai giorni nostri. Dell'antica foresta planiziale, oggi, non rimangono che piccoli lembi isolati più o meno infiltrati da specie alloctone, o modificate dall'eccessiva presenza animale introdotta
a scopo venatorio.

La gran varietà di ambienti e le condizioni climatiche e microclimatiche rendono il Piemonte molto ricco dal punto di vista forestale.
Seguendo una suddivisione basata sulla quota altimetrica possiamo distinguere un piano basale che corrisponde grossomodo alla bassa e alta pianura. In questo piano, causa il grande sfruttamento del territorio, non rimangono che piccoli lembi dell'antico manto forestale.
Il Bosco della Partecipanza di Trino, quello della Mandria, di Stupinigi, di Racconigi e della Valle del Ticino.

Dall'analisi di questi residui si può affermare con certezza che la vegetazione originaria era composta da un bosco misto formato da farnia e da uno strato meno elevato di carpino bianco (Carpinus betulus) mentre, presso i corsi d'acqua, al carpino si sostituivano specie come il frassino (Fraxinus excelsior), il pioppo bianco e quello nero (Popolus alba, P. nigra). Oggi, nei boschi di pianura, così come in quelli di
collina si incontrano anche specie non autoctone, ma ormai naturalizzate e infestanti come la robinia (Robinia pseudoacacia).

Nel piano sub-mediterraneo caratterizzato da un clima asciutto, si incontrano boschi di roverella (Quercus pubescens) e altre specie una volta molto più diffuse come il cerro (Quercus cerris), oggi presente in piccolissimi lembi isolati di cui il più significativo è il Bosco Palli a Casale Monferrato. Il piano montano è dominato, invece, da boschi di castagno (Castanea sativa) impiantato già a partire dal Medioevo e diffuso su tutti i terreni acidi della fascia pedemontana; da boschi di pino silvestre (Pinus sylvestris), che è la speciche copre il più esteso intervallo altitudinale, diffuso particolarmente in Valle di Susa e che ha una predilezione per i versanti esposti a sud essendo una specie xerofila e amante della luce; e da boschi di faggio, specie molta diffusa che forma una fascia quasi continua compresa fra i 1.000 e i 1.500 metri sulle Alpi, mentre nelle colline compare con individui isolati o in gruppi relitti, come, ad esempio, nel Bosco del Vaj.

In realtà il suo areale potrebbe essere molto più ampio, ma la coltivazione del castagno (Castanea sativa) a quote inferiori ne ha di fatto limitato l'estensione.
Nel piano subalpino, infine, compare la conifera più diffusa: il larice (Larix decidua) che copre da sola l'11,5 % della superficie forestale piemontese. Tra le formazioni forestali presenti nella nostra regione vanno ricordate anche: il bosco di pino cembro (Pinus cembra)
dell'Alevè in Valle Varaita; le foreste di abete bianco (Abies alba), oggi molto ridotto a causa dell'abbattimento in favore della presenza di pascoli per il bestiame; e l'abete rosso (Picea abies) presente nel Gran Bosco di Salbertrand.

Foto in home page di Sascha Grabow www.saschagrabow.com - Opera propria, CC BY-SA 3.0

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