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Le Alpi del Mediterraneo

Mare e monti in cammino verso il prestigioso riconoscimento dell'UNESCO. Lo straordinario patrimonio di risorse naturalistiche e ambientali dell'area deve però confrontarsi e trovare un punto d'incontro con le esigenze degli abitanti che qui vivono e lavorano.

 

  • Elvio Lavagna
  • giugno 2016
  • Lunedì, 6 Giugno 2016
Le Alpi del Mediterraneo

Il grande valore ambientale delle Alpi Liguri, Marittime e Cozie ha da tempo sollecitato le amministrazioni nazionali interessare nonché quelle regionali e locali all'adozione di provvedimenti di tutela delle parti più delicate e pregiate del loro territorio. La Francia ha istituito il Parco Nazionale del Mercantour e quello naturale del Queyras nonché la Riserva geologica dell'Alta Provenza; in Italia le regioni hanno istituito vari parchi regionali e riserve naturalistiche: in Liguria il Parco delle Alpi Liguri in una piccola parte delle stesse ricadenti sotto l'amministrazione ligure; in Piemonte l'ente di gestione delle aree protette regionali delle Alpi Marittime (che dal 1° gennaio 2016 comprende anche il Parco del Marguareis) e il Parco regionale del Monviso, esteso tra la Valle Po e l'alta alle Varaita. Le Alpi sud-occidentali tra la Riviera di Ponente e la Costa Azzurra a Sud e il gruppo del Monviso a Nord presentano una grandissima varietà di rocce, di forme del rilievo, di ambiti climatici e quindi di vegetazione e popolamento animale. Tali varietà di ambienti e specie floristiche e faunistiche nelle poche decine di chilometri che separano le cime dell'Argentera dal mare sono pari a quelle che si incontrano dall'Africa settentrionale al Capo Nord perché per la varietà di altitudine e di esposizione topografica delle montagne e delle valli che le incidono è tale che vi si sono potute mantenere specie glaciali, eredità della grande espansione glaciale del Quaternario quasi contigue a specie di origine subtropicale, come palme, querce da sughero, olivi, che risalgono i pendii alle spalle di Bordighera.


Le Alpi Liguri, costituite prevalentemente da rocce sedimentarie calcaree o dolomitiche, formatesi negli arcipelaghi di un mare pre-terziario, presentano una morfologia con pendenze modeste e forme arrotondate (adatte a tracciare piste da sci come attorno al Mondolè) ma talvolta interrotte bruscamente da pareti subverticali (come in corrispondenza di canyon o antiche falesie costiere). Le acque assorbite da ampi inghiottitoi spesso circolano in profondità e vi si sono scavate ampie caverne come quelle famose di Bossea (tra le prime attrezzate in Italia a fini turistici) o del Caudano presso Frabosa. A primavera inoltrata, dopo la fusione delle nevi, taluni condotti sotterranei alimentano copiosi getti d'acqua che fuoriescono dalle pareti rocciose dei canyon come il Pis del Pesio o quello che alimenta il Tanaro tra Upega e Viozene al Passo delle Fascette. Negli ondulati altipiani in quota, talora fin oltre i 2000 m, sono estesi pascoli, sfruttati da tempi immemorabili anche per l'alpeggio estivo dei bovini allevati nella piana cuneese. Addirittura nella zona del Mongioie un lembo di territorio appartiene alla comunità di Magliano per cui il comune di Magliano Alpi è costituito da due porzioni di territorio tra loro lontane.
Il Parco naturale del Marguareis, istituito nel 1976 col nome di Parco regionale Alta Val Pesio e Tanaro, non tutela tutta l'area delle Alpi Liguri ma solo circa 6.700 ha attorno alla cima più elevata nelle valli del Pesio e del Tanaro, interessando il territorio di due comuni, Chiusa Pesio e Briga Alta. Una proposta di estenderlo al territorio di Ormea non è stata accolta anche per l'opposizione di una parte della popolazione di tale comune. A fine puramente gestionale sono stati posti sotto la tutela del parco alcune zone protette di piccola dimensione del Cuneese, dai Ciciu del Villar presso Dronero alle sorgenti naturali del Belbo (Alta Langa), ad alcune zone umide di pianura di notevole interesse ornitologico, le grotte di Bossea e l'area archeologica di Benevagienna.


L'ambiente del vicino Parco naturale delle Alpi Marittime, esteso oltre il colle di Tenda per un piccolo tratto alla Val Grande nel bacino del Vermenagna e per la massima parte alle alte valli del Gesso e dei suoi affluenti culminando con le cime del Gelas e dell'Argentera, confinante col parco nazionale francese del Mercantour, presenta per larga parte caratteri geologici e geomorfologici assai diversi. Le rocce sono infatti quelle cristalline (magmatiche o metamorfiche) del gruppo dell'Argentera, con morfologia assai aspra e notevole interesse alpinistico ed escursionistico che ha giustificato la costruzione di numerosi rifugi già nella fase pionieristica dell'alpinismo. Solo ai margini si trovano rocce calcaree come in Valgrande. E' evidente la morfologia glaciale, anche se attualmente rimangono solo piccoli ghiacciai residuali nel gruppo del Gelas-Clapier, i più meridionali di tutto l'arco alpino. Nella sola area del parco sono state censite gran parte delle piante presenti in ambito alpino. Nelle stazioni botaniche del parco attive dal 1977 si custodiscono rari habitat di specie d'alta quota più significative delle Alpi Liguri e Marittime, ospitando ben 450 specie di cui 150 rarissime. Alla notevolissima biodiversità floristica si accompagna una grande ricchezza anche faunistica (specie di tipo alpino come lo stambecco, la lepre variabile, l'ermellino, l'arvicola delle nevi insieme a specie mediterranee come cinghiale, muflone, tutti gli ungulati, uccelli come aquila reale, pernice bianca, picchio muraiolo, ecc. a cui si sono aggiunti recentemente lupo e gipeto).


Le grandi attrattive naturalistiche e paesaggistiche (nonché la ricchezza di testimonianze storiche) ha recentemente indotto la Regione Piemonte a istituire il nuovo Parco del Monviso esteso dall'alta valle Po, dove già erano tutelate le sorgenti del fiume a Pian del Re, ad una parte degli alti versanti della Val Varaita col famoso bosco di cembri dell'Alevé. La zona a parco non è molto estesa, ma è affiancata oltre il confine con la Francia dal vasto parco naturale del Queyras: entrambe le aree sono inserite nel programma MaB (Man and Biosphere) dell'UNESCO dal maggio 2013. In tutti questi parchi alpini tra Italia e Francia sono numerosi i ruderi di più o meno antiche fortificazioni a difesa e controllo della frontiera, testimonianza di conflitti che si sono ripetuti nei secoli, non di rado di grande interesse e quasi sempre posti in posizioni straordinariamente panoramiche. Anche questi sono dunque un'attrattiva turistica, così come le molteplici testimonianza della cultura delle popolazioni locali e dell'organizzazione del loro territorio: architettura tradizionale delle case dei villaggi, malghe, percorsi delle mulattiere scandite da piloni votivi, chiese con antichi affreschi, incisioni rupestri. Nell'ambito del parco del Monviso il famoso buco del Viso a 2.880 m, lungo circa 75 metri, scavato senza l'uso di esplosivi alla fine del XV secolo con una tecnica tradizionale già descritta da Diodoro Siculo, è il primo esempio di traforo transalpino per favorire il commercio con la Francia del Marchesato di Saluzzo, oggi reso nuovamente praticabile dopo una plurisecolare interruzione.


Notevoli beni culturali meritano tutela in tutti questi parchi, sia italiani sia francesi, e da qualche anno si è manifestata una tendenza a realizzare un coordinamento di iniziative transfrontaliero. La più importante è la firma a Tenda nel giugno 2013 dello statuto e di una convenzione del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale per la realizzazione di un Parco naturale europeo delle Alpi Marittime-Mercantour con l'obiettivo di accedere a finanziamenti europei per le regioni transfrontaliere e ottenere l'iscrizione dell'area tra i siti del Patrimonio Mondiale dell'Umanità - UNESCO. Un coordinamento delle iniziative è in atto da tempo anche tra le aree protette della valle Po cuneese (ora parco del Monviso) e il parco del Queyras, per ottenere il riconoscimento di Riserva transnazionale MaB.
Ma mentre fervono queste iniziative di coordinamento internazionale la realizzazione dei parchi piemontesi e liguri incontra seri ostacoli nell'ostilità di parte delle popolazioni interessate, agricoltori, allevatori e pastori in primo luogo. Ciò dipende a mio avviso dall'idea di parco che finora si è imposta e presenta due criticità, come sostenuto da Giuseppe Dematteis, geografo a noi ben noto, già direttore del Dipartimento Territorio del Politecnico-Università di Torino e attuale Presidente dell'Associazione Dislivelli intervenendo in un dibattito suscitato dalla rivista 'Alpidoc'.


«...Senza togliere ai parchi i loro sicuri meriti, non possiamo però ignorare che nascono con due vizi: Il primo lo vedo legato alle originarie motivazioni estetiche (la tutela delle bellezze naturali della legge Croce del 1922). E' vero che si è passati poi a considerare altri valori come quelli scientifici, della biodiversità, dell'integrità ecosistemica e ad accettare la compatibilità di certe attività umane. Però, nel senso comune come nelle prassi gestionali correnti, mi pare prevalga ancora l'idea che i Parchi sono territori votati all'immobilità, come se fossero opere d'arte, monumenti della natura. Secondo me questa visione statica della conservazione può andar bene nelle aree ove ci sono solo ecosistemi naturali da preservare, come per esempio al di sopra del limite dei pascoli. Dove invece gli ecosistemi e il paesaggio montano sono il risultato di una millenaria interazione delle popolazioni umane con gli ecosistemi naturali la visione conservativa non può essere statica. Deve creare le condizioni perché queste interazioni coevolutive di lunga durata possano proseguire aggiornandosi, in modo da permettere la riproduzione innovativa degli ambienti e dei paesaggi che esse hanno generato nel corso della storia, cioè i valori che vogliamo preservare. Questo vuole dire che per svolgere bene la sua funzione, un Parco dovrebbe farsi carico dello sviluppo sostenibile dei territori abitati e abitabili, nel senso di favorire una loro evoluzione moderna che rispetti quelle "regole di trasformazione"(specifiche di ogni cultura locale) che nel corso della storia hanno prodotto l'ambiente e il paesaggio che oggi ammiriamo. Sappiamo infatti che senza questi interventi prevarrà una rinaturalizzazione distruttiva di biodiversità, paesaggio, risorse economiche, varietà culturale. «E qui veniamo al secondo vizio originario dei Parchi, quello di essere pensati e imposti dall'alto con norme e regolamenti ragionevoli in astratto, ma non sempre appropriati alla varietà dei contesti locali. Con la conseguenza che gli interessi generali tutelati dai Parchi possono apparire separati se non contrari a quelli locali. L'alternativa sarebbe che di questi interessi - generali e locali - si facessero carico le comunità direttamente interessate, unendosi per produrre uno sviluppo autoregolato del loro territorio, rispondente ai principi di sostenibilità che ho ricordato prima. Secondo me questa sarebbe la via normale da seguire, se ci fosse la volontà politica di farlo con un adeguato sostegno normativo, tecnico e finanziario da parte dei livelli superiori di governo. In attesa che ciò accada, i Parchi, grazie alle loro competenze istituzionali in tema di gestione e di sviluppo, dovrebbero muoversi in questa direzione. So che alcuni Parchi già lo fanno, anche se non sempre con visioni condivise dagli attori locali. L'importante è che si faccia strada una visione dinamica, evolutiva e localmente più condivisa della conservazione...» (Giuseppe Dematteis in Alpidoc, n. 92 pp. 6-7).


A mio parere queste considerazioni potrebbero essere valide anche a proposito del lupo nelle aree alpine votate alla pastorizia. In particolare per le Alpi Occidentali, dove il lupo come in larga parte delle montagne appenniniche era stato eliminato dopo una lotta secolare dalle popolazioni locali specialmente ove la pastorizia aveva un ruolo importante. Oggi con la forte emigrazione dalle terre alte è in atto un diffuso inselvatichimento dei territori montani e il lupo è tornato a occupare aree da cui era da tempo scomparso raggiungendo dalle montagne appenniniche le Alpi Liguri e poi quelle Marittime e Cozie già una ventina di anni fa. Nel 2012 si sono
contati ben 32 branchi di lupi nel solo territorio delle Alpi Occidentali tra Francia e Piemonte-Liguria.Come è noto, il lupo è stato dichiarato in Europa specie protetta e nell'ambito del Parco delle Alpi Marittime opera un gruppo di studio sulla sua diffusione. Nelle valli del Cuneese (come la Val Maira), in cui è ancora largamente praticato l'alpeggio sia con notevoli mandrie di bovini sia con greggi di ovini o caprini nelle aree con pascoli più impervi e magri, la presenza del lupo è mal tollerata, mentre negli ambienti scientifici naturalisti e tra l'opinione pubblica delle città e dei centri di pianura, sempre più interessati, anche dai media, ai temi naturalistici, il ritorno del lupo è considerato positivamente. Addirittura nella oggi francese Valle Vesubia, al margine del Parco del Mercantour, è stato realizzato un centro per l'osservazione dei lupi in semicattività che accoglie un gran numero di turisti naturalisti, soprattutto impegnati a fotografare gli animali quando vengono radunati per consumare il loro pasto fornito dagli inservienti... E un analogo centro è sorto recentemente anche in Vale Gesso, ad Entracque.


Su 'La Stampa', in seguito a una lettera dell'allora presidente della Comunità Montana Valle Maira Mariano Allocco, tesa a sostenere le ragioni degli allevatori che dai lupi (e probabilmente anche da branchi di cani inselvatichiti) subiscono seri danni, se non per altro per la necessità di dotarsi di cani maremmani, i più idonei a contrastare gli attacchi dei lupi, e di svolgere una più onerosa vigilanza sul bestiame, è comparsa una replica di Lorenzo Mondo, curatore di una rubrica molto seguita, decisamente a favore della diffusione e tutela dei lupi.
Anche in questo caso, come in quello della difesa dei ecosistemi naturali nei Parchi, mi paiono auspicabili la difesa e mantenimento del lupo in tutte quelle aree selvagge e non utilizzate in modo stabile dall'uomo, in cui un branco di lupi abbia spazio sufficiente per la propria sopravvivenza: la biodiversità va indubbiamente salvaguardata. Ma nelle aree fortemente segnate dalla presenza umana è altrettanto importante il mantenimento dei caratteri significativi del paesaggio umano. L'interesse turistico della Val Maira o della Val Varaita sicuramente deriva da molti elementi del loro patrimonio naturale, ma certo anche dalle testimonianze delle lunga storia della presenza umana e delle manifestazioni della cultura che le popolazioni hanno saputo esprimere. La crisi di molte attività tradizionali delle terre alte (tra cui quelle della pastorizia, oggi in difficoltà nell'adeguarsi ai regolamenti europei e per i nuovi costi della difesa dai predatori) può produrre l'abbandono di quei territori con relativo inselvatichimento o un totale asservimento alle aree metropolitane con la funzione di "parco giochi" o area di studio.

Questo articolo col titolo "Tra novità e polemiche - Quale tutela dell'ambiente e del paesaggio nelle Alpi del Sole?" è comparso per la prima volta su 'Liguria Geografia' (notiziario della sezione ligure dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia - anno XVIII - n. 6,7,8 - giugno/agosto 2016 - pp. 5/8) a cui si rimanda per la consultazione dell'interessante cartografia dell'area. Si ringraziano la redazione della rivista e l'autore, già docente di geografia e collaboratore del DISAM dell'Università di Genova, per aver gentilmente consentito alla pubblicazione del testo su 'Piemonte Parchi Web'.

 

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