Nelle foreste piemontesi, come in molte foreste europee, scarseggiano gli alberi morti per effetto della continua asportazione di vecchie piante e legno morto, elementi tradizionalmente considerati pericolosi per la salute del bosco dai proprietari dei boschi e dai taglialegna.
Si pensa cioè che un albero morto possa in qualche modo “contagiare” gli altri diffondendo gli organismi che vi vivono sopra: nulla di più sbagliato, le specie che vivono sul legno morto chiamate “saproxiliche” sono molto specializzate e non sono in grado di far ammalare gli alberi sani. Nulla hanno a che vedere quindi con le specie “patogene”, capaci invece di causare malattie.
Insetti, funghi e batteri sono fra i pochi organismi in grado di digerire le complesse molecole di lignina e cellulosa, le principali componenti del legno, che altrimenti si accumulerebbero nel bosco causandone un rapido deperimento, fino alla sua scomparsa. Un albero “morto” è paradossalmente molto ricco di vita, una sorta di condominio abitato non solo da piccoli organismi poco conosciuti ma, grazie a questi, da picchi, roditori e altri animali.
Non tutti gli alberi morti, però, sono uguali. Solo le specie nostrane dette “autoctone” sono realmente utili alla biodiversità: basti pensare che le specie d’insetti che vivono su una robinia (specie originaria del Nord America) si contano sulle dita di una mano mentre quelle che popolano una quercia sono più di 1.000.
Già nel 1988 una Raccomandazione del Consiglio d’Europa invitava gli Stati dell’Unione a regolamentare il rilascio del legno morto nei boschi. Tuttavia, solo 20 anni dopo questa componente della biodiversità è stata contemplata dalla legislazione italiana. Di contro, e purtroppo, la legislazione piemontese si è mossa in direzione opposta: in Piemonte il rilascio di alberi morti, un tempo previsto ovunque, è oggi obbligatorio soltanto nei boschi delle aree protette e dei siti della rete Natura 2000.
Il problema d’altro canto non riguarda solo gli abitanti del legno morto: un bosco in salute e ricco in biodiversità previene l’erosione e la disidratazione del suolo e produce buone quantità di legno, senza contare la sua funzione di forte attrattore turistico. In sostanza. per dirla con gli economisti, fornisce “servizi”.
Molte nazioni se ne sono accorte e, sotto il patrocinio delle Nazioni Unite, hanno avviato una iniziativa denominata TEEB, The Economics of Ecosystems and Biodiversity (www.teebweb.org ) che riunisce biologi ed economisti con lo scopo di fornire agli amministratori pubblici strumenti per quantificare il valore economico della biodiversità. “Perdere biodiversità ha un costo per la collettività”, un messaggio innovativo che, si spera, non resti inascoltato. Così come si auspica non resti inascoltata la lungimirante Raccomandazione dell’Europa sull’importanza degli alberi “morti”.
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