Il rewilding è un tipo di conservazione su larga scala finalizzata al ripristino e alla protezione dei processi naturali e delle aree selvagge, fornendo connettività tra tali aree e proteggendo o reintroducendo i predatori apicali e le specie "chiave di volta". Una specie chiave è un organismo che svolge un ruolo importante nel suo ambiente. Proprio come la chiave di volta di un arco, queste specie mantengono insieme l'ecosistema; se rimosse, le strutture di supporto collassano.
I progetti di risanamento possono richiedere il restauro ecologico o l'ingegneria delle aree selvagge. L'obiettivo finale degli sforzi di riordino è creare ecosistemi che richiedano una gestione passiva, limitando il controllo umano. Si ritiene che i progetti di ricostruzione a lungo termine abbiano una gestione ecologica minima o nulla, dal momento che il successo della reintroduzione delle specie chiave crea un ecosistema stabile autoregolamentato ed autosufficiente.
Il rewilding si fonda sulla crescente consapevolezza che questo tipo di reintroduzione – come accaduto con il lupo a Yellowstone – può trasformare radicalmente l'intero ecosistema, con effetti a cascata rigeneranti e di portata maggiore rispetto a qualsiasi gestione umana. Per esempio, costruendo dighe e scavando cunicoli, i castori reintrodotti rallentano i fiumi, creano habitat per numerose specie di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e insetti, riducendo l'erosione dei terreni e quindi il rischio di inondazioni a valle.
Esistono dunque valide ragioni scientifiche ed economiche per sostenere il rewilding, come dimostrato in modo ancora più evidente dai benefici acquisiti dalle aree marine protette e dagli stessi pescatori, senza contare che gli ecosistemi meno sfruttati sono più resilienti a stress ambientali come i cambiamenti climatici.
L'autore non nasconde, tuttavia, che la ragione più convincente per abbracciare il rewilding è la gioia che possono regalare le meraviglie di un ambiente selvaggio.
Maggio 2018
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