"A sessant'anni o giù di lì si dovrebbe andare in pensione. Come quasi tutti i professionisti, anch'io però finirò per morire lavorando, appollaiato al tecnigrafo. Perché allora faccio questo libro che potrebbe anche sembrare una sorta di suggello al completamento di una carriera? Innanzi tutto perché ho montagne di materiale: metterlo in un libro mi sembra il sistema più intelligente di ordinarlo, prima che i disegni e le fotografie sbiadiscano del tutto o che la carta da lucido si disfi, e che i ricordi si appannino o che passi la voglia di farlo. Poi perché qualcosa da dire ce l'ho. Infine perché sono grafomane e vanitoso. Ed è anche per questo che il libro me lo scrivo da solo, perché nessuno si sognerebbe mai di scrivere un libro su di me.
E' la cronaca di un grande furto, continuato e reiterato. Mi spiego. I vecchi artigiani, per giustificare la reticenza a trasmettere le proprie conoscenze a chi non sia di famiglia o di bottega, ripetono come un mantra che loro il mestiere se lo tengono stretto perché "l'hanno rubato". Nel senso che l'hanno appreso un po' per volta imparando da altri, sbirciando il lavoro altrui, spiando cosa facevano i vecchi, mettendo faticosamente assieme conoscenza, informazioni e abilità che costituiscono la loro ricchezza professionale, il patrimonio di una vita di attività, il "segreto del mestiere". Una roba "rubata" appunto, che si tiene stretta. La si può passare o insegnare ma si deve assolutamente far finta di difenderla per non farsela rubare, pur sapendo che qualcuno prima o poi lo farà. Ma questo è il bello del gioco..."
(Brano tratto dall'introduzione dell'Autore)
Luglio 2017
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