Non si tratta di un reportage nostalgico, con tutto il carico di emozioni che si porta dietro, ma di un'analisi spietata, come solo l'occhio della macchina fotografica riesce a fare, dello stato delle cose, che parrebbe disperato, se non addirittura compromesso; eppure, in questa sua disperazione cronica, ma ormai "digerita" e rimossa, è possbile trovare la chiave per un futuro di vita nuova secondo la tradizione.
Ma l'obiettivo, per quanto possa essere oggettivo, non può prescindere dall'occhio del fotografo: e qui entrano in ballo i due autori, che hanno saputo integrare due stili di ripresa differenti, ma animati da uno stesso istintivo amore per questi luoghi e per queste genti. Ed è come un omaggio a Capanne che si dipana tutto il loro lavoro, tracciando un percorso che è nello stesso tempo antropologico e artistico e vuole essere contributo per la definizione di un'identità locale.
Ottobre 2003
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