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Il progetto MIRCO-lupo

La conferenza di fine progetto è stata l'occasione per un confronto tra coordinatori, media e stakeholder dove oltre a essere presentati gli obiettivi raggiunti rispetto alla conservazione della specie è emersa la necessità di fare conoscere il lupo anche in aree più antropizzate dove la sua presenza ha riacceso l'antico conflitto uomo-lupo.

  • Ludovica Schiaroli
  • Maggio 2020
Sabato, 23 Maggio 2020
Lupo con radio-collare Foto L. Molinari Lupo con radio-collare Foto L. Molinari

 

L'approssimarsi della conclusione del progetto LIFE MIRCO-lupo è l'occasione per anticipare insieme ai tecnici dello staff del Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano una prima sintesi dei risultati ottenuti nel "minimizzare l'impatto del randagismo canino sulla conservazione del lupo in Italia". Questo il focus del progetto, finanziato dal Programma LIFE dell'Unione Europea, che ha preso avvio nel 2015 nel territorio dei Parchi nazionali dell'Appennino Tosco-Emiliano e del Gran Sasso e Monti della Laga, con il coordinamento dell'Ente Parco dell'Appennino affiancato dall'Arma dei Carabinieri Forestali e dall'Istituto di Ecologia Applicata di Roma e Carsa s.r.l.

Perché proteggere il lupo

"Il lupo è una macchina perfetta per fare il grande predatore - spiega Luigi Molinari, zoologo del progetto MIRCO-lupo - diversamente, il cane lo abbiamo plasmato noi per i nostri bisogni (caccia, difesa, ecc.). Oggi le principali minacce per il lupo sono il bracconaggio e l'ibridazione e sperimentare l'efficacia di soluzioni gestionali per ridurre l'impatto negativo dell'ibridazione antropogenica è stato uno degli obiettivi del progetto."

Se il bracconaggio è un pericolo che si comprende facilmente, l'ibridazione è una minaccia più subdola. Il randagismo canino è spesso all'origine di incroci tra lupi e cani che possono mettere in serio pericolo la conservazione del patrimonio genetico del lupo, trasmettendogli caratteri fisici, comportamentali e fisiologici di origine canina e quindi non adatti alla vita selvatica e al suo ruolo di super predatore. Il lupo, incrociandosi, può "perdere" o vedere modificate alcune caratteristiche fondamentali come la resistenza, l'istinto predatorio, la velocità, il sistema immunitario. Neutralizzare il potenziale riproduttivo degli individui ibridi lupo-cane, nonché contenere il numero dei cani vaganti e randagi presenti nelle aree di progetto sono state alcune delle azioni messe in campo dallo staff del Parco.

"Abbiamo catturato complessivamente ventuno animali - continua Molinari - diciannove di questi sono risultati ibridi alle indagini genetiche, e quindi sono stati sterilizzati. Tutti gli animali catturati sono stati dotati, prima del loro ritorno allo stato selvatico, di sistemi di localizzazione estremamente efficienti (radio-collari GPS-GSM) con i quali è stato possibile monitorarne gli spostamenti e le attività sul territorio".

Il ritorno del lupo

Negli ultimi trent'anni la situazione è cambiata moltissimo. Se inizialmente l'obiettivo era la salvaguardia della specie, oggi il pericolo è superato grazie alla Direttiva Habitat che nel 1992 intervenne dichiarando il lupo specie protetta in quasi tutta Europa e integralmente protetta dalla legislazione italiana. La conseguenza, più o meno diretta, è stata un aumento della popolazione che ha raggiunto numeri simili a quelli di cento anni fa, con una presenta sul territorio che va dalla aree alpine al mare. Ma non è semplice identificare il numero preciso di lupi in circolazione: "È molto difficile contare i lupi, oltre che molto costoso - aggiunge Molinari - La popolazione si rinnova ogni tre anni, per questo non riusciamo a fare una stima, la forbice è enorme, si va dai 1500 ai 2500 esemplari, ci sono dinamiche naturali e antropiche molto veloci".

Quello che il progetto ha poi reso evidente è che il lupo si muove tantissimo e ha iniziato a colonizzare aree dove prima non era presente: sono stati avvistati esemplari sul litorale toscano, sulle dune della Feniglia, alle porte di Roma, in Puglia tra i trulli, a Genova, Milano e da due anni anche in Pianura Padana, uno degli ambienti più antropizzati d'Italia. La cosa non stupisce Molinari che spiega come ormai i posti migliori siano già stati occupati e che al lupo non resta che arrangiarsi... "Il lupo si adatta a mangiare cose strane come i pesci, l'uva, le nutrie che in Pianura Padana sono milioni, inoltre ci sono molte stalle bovine dove mangiano le carcasse di animali".

Questa presenza così assidua in luoghi così antropizzati dove la popolazione non è abituata alla presenza del lupo, ha però riacceso il conflitto.

Chi ha paura del lupo?

La questione è soprattutto culturale e molto dipende dalle nostre abitudini. Lo racconta Ermanno Giudici, dell'Ente Nazionale Protezione Animali e blogger, quando evidenzia come in Italia si ha paura dei lupi mentrein Canada la popolazione non teme i Grizzly. "Certo dar da mangiare ai lupi non è una cosa da fare... altrimenti potrebbe capitare di essere azzannati". Rende noto, inoltre come l'Italia sia il paese in cui si uccidono più esemplari, con un tasso di bracconaggio del 20,30 per cento, uno dei più alti tra i paesi europei.

È spesso la suggestione a giocare brutti scherzi, dal momento che non si registrano attacchi da parte di lupi all'uomo, al contrario, cervi, cinghiali e cavalli fanno molto più danni, ma nei confronti del lupo c'è una sorta di paura atavica.

I media, spesso alla ricerca di titoli ad effetto, non aiutano. Molinari ricorda il titolo di un quotidiano locale di ampia diffusione, abbastanza recente, che segnalava: "Sbraneranno tutti".

È evidente come sia necessario trovare un modo per convivere con il lupo evitando che lo scontro diventi più intenso.

"Dobbiamo combattere la paura - aggiunge il responsabile del progetto Willy Reggioni - Spesso pochi episodi vanificano anni di lavoro. Adesso il tema è la paura, mentre un approccio nuovo dovrebbe vedere impegnati, antropologi, zoologi, sociologi per fare buona comunicazione".

Una nuova comunicazione

Ermanno Giudici, evidenzia subito l'importanza di ampliare la comunicazione. "Nella stragrande maggioranza sono i parchi e le aree protette ad occuparsi della presenza del lupo e della sua comunicazione. Sarebbe interessante capire come agisce il lupo anche in zone più antropizzate, perché normalmente i progetti seguono i lupi solo nelle zone alpine". Per fortuna inizia ad esserci una certa sensibilità anche da parte degli Enti locali. Alcune regioni come Emilia Romagna e Liguria hanno chiesto di organizzare incontri per conoscere meglio il lupo. "Ci vorrebbe un grande progetto uomo-natura", sintetizza.

Anche il responsabile del progetto, Willy Reggioni, condivide le proposte di Giudici quando afferma che sarebbe necessario un approccio olistico: "Dobbiamo cercare di coordinarci tra aree più vaste per dare informazioni più omogenee. Probabilmente dovremmo tenere conto di più specie e non partire dal lupo o dalle singole specie ma da macro problemi come il cambiamento climatico".

Una comunicazione da rivedere, anche dal dato che il lupo ha "colonizzato" quasi tutta la Penisola (isole escluse), vent'anni fa non era immaginabile avvistare un lupo a Genova o a Milano, oggi succede. "L'idea - prosegue Reggioni - potrebbe essere mettere insieme la parte scientifica e quella emozionale nel raccontare il lupo: come vive, cresce e interagisce con la natura. Questo aiuterebbe anche a renderlo meno 'spaventoso'."

L'eredità del progetto MIRCO-lupo

In conclusione, è il responsabile del progetto a delineare le prospettive future. "È necessario sottolineare la dimensione sperimentale e innovativa del progetto e conseguentemente il valore dei risultati ottenuti sia sul piano della conservazione della specie lupo, sia sul piano della corretta comunicazione, sensibilizzazione e coinvolgimento delle comunità locali su un argomento così articolato e complesso da risultare, a volte, poco comprensibile al grande pubblico".

Il progetto, iniziato nel 2015 e che si concluderà nel prossimo autunno, lascerà in eredità ai parchi nazionali che lo hanno sviluppato un grande patrimonio di esperienze e di conoscenze che potranno essere utilizzate in futuro anche da Regioni, Enti e altri soggetti competenti. L'auspicio, di chi in questi anni ha lavorato al progetto, è che in futuro possano essere messe in atto nuove buone pratiche di gestione della presenza dei lupi anche in contesti molto antropizzati. "Solo con un monitoraggio attento del fenomeno potrà essere garantita la coesistenza tra uomo e lupo anche nel futuro", conclude Reggioni.

 

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