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Quanti lupi ci sono in Piemonte?

La popolazione italiana di lupi è oggi valutata, come ordine di grandezza, in circa 2000 lupi distribuiti in tutta la Penisola e, di questi, circa 300 abitano le Alpi. Sono tanto o sono pochi? E sopratutto, quali numeri raggiungeranno? Per la seconda puntata del nuovo appuntamento 'Pecore, lupi e cavoli' abbiamo deciso di dare i numeri (quelli giusti!). 

  • Luca Giunti, Lorenzo Vay
Lunedì, 3 Febbraio 2020
Foto D. Alpe  Foto D. Alpe

La popolazione italiana di lupi è oggi valutata, come ordine di grandezza, in circa 2000 lupi distribuiti in tutta la penisola. Di questi, circa 300 abitano le Alpi e in particolare quelle occidentali, dove sono stati monitorati nel periodo 2017-2018, 33 branchi stabili più altri individui isolati, per un totale minimo di circa 200 lupi.

Per quanto riguarda l'Appennino piemontese e, più in generale, il Piemonte sud-orientale, la disponibilità di dati relativa al "Progetto Lupo Piemonte", conclusosi nel 2012, confermava la presenza di 3 branchi, distribuiti dalla Val Lemme alle Valli Borbera e Curone, per un minimo di 10 lupi monitorati. A partire dal 2017, nell'ambito delle attività del Centro di Referenza Regionale "Grandi Carnivori", che ha sede presso le Aree Protette delle Alpi Marittime e al quale l'Ente di gestione delle Aree Protette Appennino Piemontese è associato, è stato istituito un network di Enti per un nuovo monitoraggio della specie nel basso Piemonte, esteso anche ad alcune aree di bassa collina e pianura.
I risultati di questi ultimi tre anni di ricerca, saranno resi noti al pubblico nell'ambito di un incontro che verrà organizzato entro la primavera del 2020 a complemento delle attività del nuovo progetto WolfAlps EU (Dati Report del LWA)

Sono tanti o pochi?

Questi numeri devono essere diffusamente spiegati e poi ben compresi, perché su di essi si basa ogni politica gestionale, sia quella in atto sia quella in discussione per gli anni futuri. Non va dimenticato, poi, che sono spesso argomento di polemiche e paure più o meno giustificate.
Innanzitutto, si tratta sempre di una "stima minima" cioè del numero degli esemplari sicuramente individuati e riconosciuti in un determinato territorio. Come nel caso di ogni censimento - faunistico, ma anche umano - esiste un margine di errore, più o meno significativo, che viene esplicitamente dichiarato in ogni pubblicazione scientifica. Nel nostro caso l'intervallo è considerato tra 1700 e 2100 lupi dalla Calabria al Trentino, dalla Puglia alla Val d'Aosta, isole escluse (la Sardegna non ha mai avuto lupi mentre in Sicilia sono stati sterminati all'inizio del 1900). Può sembrare un'incertezza eccessiva, ma è inevitabile dovendo sommare dati che provengono da regioni molto diverse sia per distribuzione della fauna selvatica sia per tecniche di monitoraggio utilizzate. Se si restringe il campo alle Alpi, l'errore si riduce a un ± 10% comparabile a quello accettato in ogni statistica.

Occorre considerare inoltre le particolarità ecologiche della specie lupo. Infatti i ricercatori hanno consolidato una lunga esperienza nel monitorare efficacemente i nuclei territoriali, in particolare durante il periodo invernale, quando è più facile seguire sulla neve le piste delle famiglie in caccia, in esplorazione, nella marcatura dei loro confini con escrementi e raspate o vicino alle carcasse delle loro prede. È molto più difficile avere una buona conoscenza degli individui isolati e di quelli che, ogni anno, si allontanano dalla famiglia di origine e vanno in dispersione. Questa è la caratteristica più significativa del lupo. Per tre o quattro anni i giovani lupi compiono spostamenti anche di centinaia di chilometri, fino a trovare, se saranno bravi e fortunati, una casa libera e un compagno con il quale mettere su famiglia. In questo periodo non tornano nelle aree dove sono nati, non incontrano più i loro genitori e corrono moltissimi rischi. La gran parte di loro, fino al 70%, muore per incidente stradale, per bracconaggio, per competizione con altri lupi o scontri con cinghiali, per incapacità nella caccia, per malattia o per semplice sfortuna. Dunque un lupo in dispersione può facilmente sfuggire al conteggio periodico (di solito, svolto 2/3 volte al mese). Paradossalmente, poiché si sposta seguendo strade, sentieri, fiumi, ferrovie, aumenta la probabilità di essere avvistato da molte persone diverse, molto spesso . In questo modo aumenta anche la percezione che i lupi siano ovunque e siano tantissimi.

Come si rileva la presenza 

Al contrario di quello che può sembrare ovvio, il semplice avvistamento di un animale fornisce pochissime informazioni utili alla ricerca: infatti un lupo in dispersione fotografato mentre attraversa una strada provinciale, può essere solo di passaggio in zona e già nel giro di poche ore è possibile che si sia allontanato di decine di chilometri dal luogo della segnalazione.
Per questo motivo per la stima della popolazione vengono solo ammessi dati certi verificati: foto o video di fototrappole strategicamente posizionate nei boschi di cui si conosce l'ubicazione e il momento dello scatto, gli escrementi raccolti correttamente e poi analizzati sia per studiare la composizione dell'alimentazione del lupo sia per ricavare parti di DNA sulle quali compiere esami genetici (il DNA può essere cercato anche in campioni salivari nella zona dei morsi sulle prede, in ciuffi di peli, in urine con sangue nel periodo di estro delle femmine e, ovviamente, su individui morti). Le "carte d'identità" genetiche che si ottengono dall'analisi dei campioni biologici non solo confermano definitivamente che l'animale studiato è davvero un lupo e non, per esempio, un cane, ma permettono anche di risalire alla famiglia di provenienza. Con queste tecniche sono state documentate centinaia di dispersioni di lupi, alcune delle quali durate mesi e lunghe centinaia di chilometri.
Per verificare se una coppia di adulti si è riprodotta, viene poi utilizzata la tecnica cosiddetta wolf-howling. A fine estate, in zone isolate e silenziose dove si suppone che sia insediato un branco, si lanciano di notte - seguendo rigorosi protocolli scientifici - alcuni ululati registrati per provare a stimolare la risposta dei lupi eventualmente in ascolto. Se i lupi rispondono, la registrazione permetterà di separare le voci degli adulti, più gravi, da quelle dei cuccioli, più acute. Con la tecnica del wolf-howling è stata certificata, per esempio, la prima riproduzione di un branco di lupi nella provincia di Torino nel 1997 all'interno del Parco del Gran Bosco di Salbertrand.

I lupi morti

Le prime testimonianze attendibili di predazioni su bestiame domestico in Piemonte risalgono alla fine degli anni '70 in Val Borbera, sull'Appennino piemontese, ma la conferma ufficiale della presenza del lupo sul territorio regionale si è avuta, una decina di anni dopo, con il ritrovamento di un animale morto nei pressi della frazione Giarolo del comune di Montacuto, in Val Curone (AL) Da allora la sua espansione è continuata, attraverso il corridoio appenninico, con la ricolonizzazione dell'intero arco alpino e, più recentemente, con l'inizio dell'irradiamento nei territori di collina e di pianura.

Dal 1997, anno in cui sono stati raccolti i dati in maniera coordinata, fino al 31 dicembre 2019 i lupi morti recuperati in Piemonte sono stati 232, in maggioranza deceduti per incidente. Una media di poco superiore a 10 lupi all'anno è da considerarsi fisiologica in un territorio dove i lupi sono ormai ben distribuiti e dove contemporaneamente le infrastrutture da attraversare o esplorare sono capillari, in pianura, collina e montagna. Naturalmente un numero sconosciuto di lupi muore senza essere ritrovato sia per cause naturali sia ancora di più in caso di bracconaggio. In ogni caso, non esiste una formula che possa far derivare il numero totale dei membri di una popolazione dal numero dei suoi componenti deceduti – né nel caso dei lupi né nel caso degli ungulati oggetto di caccia, ad esempio: altrimenti non sarebbe necessario che i cacciatori dedicassero tante ore agli appostamenti per censire i gruppi sui quali poi effettuano i loro prelievi venatori stagionali.
I lupi in Italia sono in aumento da 40 anni. Un censimento storico del 1970 stimava 100 individui concentrati soprattutto in Abruzzo e Aspromonte (le zone ancora oggi più selvagge e isolate del Paese).

Le ragioni dell'espansione

Dopo lo spopolamento umano delle aree interne e montane seguito alla fine della II Guerra mondiale, si sono progressivamente riformati gli habitat adatti al lupo e alle sue prede (ungulati selvatici come cervi, caprioli, cinghiali e camosci, in precedenza sterminati ovunque, ma in quegli anni acquistati da allevamenti e ridistribuiti in tutta la penisola). Con meno persone intorno, più spazio e più prede a disposizione, la pressione sul lupo, considerato animale nocivo e quindi perseguitato come tale, è diminuita, anzi: a partire dagli anni Settanta, è stato inserito nelle liste degli animali particolarmente protetti. Protetto dalla legge e favorito dalle trasformazioni dell'ambiente, il lupo ha potuto finalmente seguire il suo istinto principale, cioè la dispersione giovanile bloccata fino ad allora, e irradiarsi verso sud e verso nord, raggiungendo le Alpi occidentali francesi e piemontesi negli anni Novanta.
Complessivamente, fino a oggi il lupo ha seguito una media di incremento pari a circa 1,2 all'anno, anche in questo caso in perfetta analogia con le normali dinamiche naturali di una popolazione in espansione e ben compatibile con la capacità di carico dei territori colonizzati.

Un'ultima domanda angoscia amministratori e cittadini: quanto numerosi diventeranno i lupi in Italia? Nessuno può dirlo con certezza. Conoscendo il territorio nazionale, la utilizzabilità e la distribuzione delle prede selvatiche o domestiche, e, soprattutto, i meccanismi di equilibrio degli ecosistemi, è ragionevole ipotizzare che non diventeranno mai 200.000 o due milioni. Allora forse 3000, forse 4000 o 5000? Forse sì, ma non oltre. In natura tutti i predatori sono limitati dalla disponibilità delle loro stesse prede. Non potranno mai esserci più aquile che marmotte, più volpi che lepri, più squali che merluzzi. Anzi, i carnivori saranno sempre molti meno degli erbivori, perché in ogni ecosistema ben equilibrato ogni gradino della piramide alimentare può mettere a disposizione dello scalino superiore non più del 10% della biomassa accumulata al livello sottostante. La cosiddetta "legge del 10%" o "dinamica preda-predatore" non ammette deroghe (l'unica eccezione è rappresentata dalla nostra specie Homo sapiens, che salta continuamente su e giù per la scala alimentare; ma questo è un altro discorso...).

* Hanno collaborato: Irene Borgna e Mauro Bruno. 

 

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