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Parchi naturali, il nostro reddito di cittadinanza?

Siamo poco abituati ad attribuire valore monetario al patrimonio naturale che ci circonda, eppure il pregio che deriva dall'insieme dei servizi ecosistemici che la natura ci offre, meriterebbe una 'quotazione' anche economica per dare maggiore significato ai benefici di cui godiamo. Quotazione, peraltro, non indifferente che si aggira attorno ai 13 miliardi di euro soltanto per i parchi naturali del nostro Paese.

  • Emanuela Celona
  • Novembre 2018
  • Mercoledì, 14 Novembre 2018
Parchi naturali, il nostro reddito di cittadinanza?

Secondo la definizione che ne dà Wikipedia, per reddito di cittadinanza si intende un'erogazione monetaria, a intervallo di tempo regolare, distribuita a tutte le persone dotate di cittadinanza e di residenza, cumulabile con altri redditi, indipendentemente dall'attività lavorativa effettuata o non effettuata, dal sesso, dal credo religioso e dalla posizione sociale, ed erogata durante tutta la vita del soggetto.

In genere, non siamo abituati ad attribuire valore monetario al patrimonio naturale che ci circonda, eppure se considerassimo il pregio che deriva dall'insieme dei servizi ecosistemici che la natura è in grado di offrirci - in modo diretto o indiretto – saremmo in grado di dare una 'quotazione' anche economica ai benefici di cui godiamo.

Si tratta di quei beni e servizi ecosistemici finalmente quantificati nel 'Primo Rapporto sullo stato del Capitale Naturale in Italia' in 338 miliardi di euro (dati riferiti al 2015). Ma di cosa si tratta in pratica?

Cosa intendiamo per Capitale Naturale

L'intero stock di asset naturali - organismi viventi, aria, acqua, suolo e risorse geologiche - che contribuiscono a fornire beni e servizi di valore per l'uomo e che sono necessari per la sopravvivenza dell'ambiente stesso, è definito Capitale Naturale: un'infrastruttura naturale in grado di erogare ricchezze materiali e immateriali (servizi ecosistemici) che assicurano condizioni idonee all'esistenza e capaci di incidere sul livello di benessere dell'uomo.

Dalle interazioni degli asset naturali otteniamo una serie di servizi ecosistemici - dalla pulizia dell'acqua che beviamo e dell'aria che respiriamo alla formazione di suolo fertile da coltivare, dalla fauna di cui ci nutriamo alle fibre tessili che indossiamo, dai boschi in cui passeggiamo costituiti da piante capaci a preservare paesaggi dal dissesto idrogeologico, dalla diversità genetica del cibo alla biodiversitàdi flora e fauna - che combinati con altri input, quali il lavoro o il capitale manifatturiero generano materiali, nutrimento, salute, sicurezza e svago in grado di condizionare benefici individuali e sociali importanti per l'uomo.

Non è da molto tempo che diversi Paesi, tra cui l'Italia, tentano di misurare in termini monetari il contributo che il Capitale Naturale reca al sistema socio-economico nazionale. Un tentativo che ha lo scopo di definire il valore garantito dal flusso di alcuni servizi ecosistemici, senza per questo mercificarli o privatizzarli, ma per rendere visibile il contributo che i 'beni' del Capitale Naturale portano all'economia e al nostro benessere, rendendoli fondamentali per noi, ma anche per le generazioni future. Beni e servizi offerti dalla natura che l'uomo usa e che è parte della ricchezza di ogni Paese.

Capitale Naturale, il nostro reddito di cittadinanza?

Dipendente, utilitaristico, opportunistico. Queste sono le fasi che hanno contraddistinto il rapporto tra uomo eCapitale Naturale nel corso del tempo: dapprima dipendente dalle risorse naturali, le poi ha sfruttate per trarne utilità e, infine, profitto tanto da incidere sullo stato, l'entità e le espressioni del Capitale Naturale fino ad arrivare alla perdita irreversibile di alcuni suoi elementi come raccontano, ad esempio, i cambiamenti climatici in atto, diventati un costo per la società ma anche un pericolo per la vita umana (e non solo).
La violenza degli eventi estremi mette seriamente a rischio il Capitale Naturale che, invece, se preservato aumenterebbe il proprio 'tasso d'interesse' collegato al benessere della collettività.

Può anche succedere che un Paese dell'Occidente determinato a crescere economicamente, non sia disposto a tagliare, ad esempio, le emissioni di carbonio o altri tipi di inquinanti. Ma i 'costi' di tali riduzioni non dovrebbero essere mai considerati alti se c'è intesa sul primario diritto alla sopravvivenza e al benessere dell'individuo che i servizi ecosistemici garantiscono. Salute e benessere delle popolazioni sono elementi importanti e indicatori attraverso cui misurare le condizioni di vita di un territorio, su cui misurare la nozione di bene comune e interesse generale e diffuso, concetti alla base del reddito di cittadinanza.

Quanto vale la qualità degli habitat

Nel 'Secondo Rapporto sullo stato del Capitale Naturale in Italia' (2018) si legge che 'il consumo di suolo in Italia documenta un livello di impermeabilizzazione media di oltre il 23% del suolo compreso tra 0 e 300 metri di distanza dalla costa e più del 19% compreso tra i 300 e i 1000 metri di altezza (dati ISPRA 2017). Questo fenomeno ha determinato, tra le varie conseguenze, il depauperamento di habitat cruciali per il sostentamento e il benessere dei cittadini. Una percentuale di consumo di suolo che scende, all'interno dellearee protette, al 2,3% evidenziando la maggiore naturalità di tali zone rispetto al resto del territorio nazionale'.

Al fine di valutare qualitativamente gli effetti ambientali delle variazioni d'uso del suolo in aree sensibili, ISPRA ha avviato uno studio che si basa sull'ipotesi che le aree con un'alta qualità di habitat (Habitat Quality - HQ) siano quelle con maggiore abbondanza di specie native, mentre quelle con minore HQ siano quelle con minore persistenza delle specie.

Su scala nazionale, i risultati ottenuti mostrano che le aree caratterizzate da minore qualità di habitat sono l'intera Pianura Padana, i poli urbani di Firenze, Roma e Napoli. Anche le coste del nostro Paese mostrano una qualità di habitat decisamente bassa a causa dell'ormai acclarata ed eccessiva pressione da parte degli insediamenti antropici. Le aree caratterizzate, invece, da alti valori di qualità corrispondono a classi di uso del suolo connotate da maggiore naturalità, come nel caso di praterie, foreste e zone umide.

Complessivamente, il valore economico totale associato alla qualità degli habitat corrisponde a 13,5 miliardi di euro, di cui: 4,9 miliardi attribuibili alle foreste; 15,5 miliardi a prati e pascoli; 103 milioni alle zone umide.

Come dare valore 'economico' ai parchi naturali

Il 22 dicembre 2017 è stata approvata dal CIPE, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, la Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile. Concepita secondo la struttura dell'Agenda 2030, la Strategia si articola in cinque direttrici: persone, pianeta, prosperità, pace, partenariato.
Nell'ambito 'pianeta' troviamo concentrati i temi del Capitale Naturale sui quali la Strategia nazionale si pone obiettivi declinati in tre aree strategiche: arrestare la perdita di biodiversità, garantire una gestione sostenibile delle risorse naturali, creare comunità e territori resistenti.

Ed è proprio in questo contesto che scopriamo come i parchi naturali possano divenire protagonisti nella strategia che intende arrestare la perdita di biodiversità. Come? Salvaguardando e migliorando lo stato di conservazione di specie e habitat; arrestando la diffusione di specie aliene; aumentando le superfici protette e assicurando una gestione efficace; proteggendo le risorse genetiche e gli ecosistemi naturali connessi ad agricoltura, selvicoltura e acquacoltura. Infine, ma non da ultimo, integrando il valore del Capitale Naturale nelle politiche e nei sistemi di contabilità economica, affinché – finalmente – si possa dare un valore (anche) economico a ciò che, erroneamente, pensiamo non ne abbia. E invece... 

 Il video dedicato al sistema delle Aree naturali protette del Piemonte

 

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