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E ci sciogliamo noi ...di commozione

Storia del perito moreno, il ghiacciaio più famoso d'Argentina, E del suo incredibile (ma dimenticato) scopritore. e il perito ha smesso di sciogliere

  • Carlo grande
  • dicembre 2010
  • Venerdì, 3 Dicembre 2010

Dove lo troviamo, oggi, un funzionario statale che passa la vita su e giù per terre ignote e desolate del suo Paese, a scoprire e segnare nuovi confini, e quando torna tra i cosiddetti civili restituisce alla res publica gran parte del territorio che gli è stato donato come ricompensa, affinché diventi il primo parco pubblico della nazione? E due amici suoi di avventura, che ottenuti ampi appezzamenti di terreno a Buenos Aires (nel quartiere Palermo, ora fra i più esclusivi) li donano alla città perché vi sorgano lo zoo e il giardino botanico, che ai nostri giorni resistono ancora al cemento e alle speculazioni? È la storia di Francisco Pascasio Moreno, lo "scopritore" del ghiacciaio più famoso dell'Argentina (se non della Terra), che nell'Ottocento esplorò la Patagonia lungo la valle del Rio Negro fino al lago Nahuel Huapì (nella Patagonia settentrionale) e la Cordigliera delle Ande, che individuò il lago Viedma e il Fitz Roy (e gli diede il nome di un ammiraglio inglese), credendolo però un vulcano: gli indios Tehuelche che lo accompagnavano lo chiamavano Chaltén, montagna spaventosa e "fumante". Moreno arrivò al Lago Santa Cruz e alle sorgenti dell'omonimo fiume, e sulle rive del Rio Leona venne attaccato da un puma, che gli conficcò gli artigli nella schiena e stava per sbranarlo; per un soffio riportò a casa la pelle perché la belva – così racconta Tom Dauer in Cerro Torre. Mito della Patagonia (Ed. Corbaccio) – se ne andò improvvisamente. I due avventurieri erano gli italiani Clemente Onelli e Carlos Spegazzini, appassionati di fauna e flora quanto Moreno lo era di biologia: in tre, nel 1877, risalirono su una barca a vela e a remi il rio Santa Cruz: cose d'altri tempi, come la famosa missione che Francisco Moreno guidò a fine Ottocento per stabilire i confini tra Cile e Argentina, mai definiti sulle cime delle Ande. Francisco (insignito del titolo di "perito") contribuì con incredibili donazioni a fondare anche il Museo di Storia naturale de la Plata, a Buenos Aires. Morì, ça va sans dire, povero e dimenticato, nel 1919. Un avventuriero, profondo conoscitore della geografia nazionale. Un "civil servant" d'altri tempi, meno famoso del ghiacciaio visitato da milioni di turisti: in fondo è il destino di quasi tutti gli uomini, di fronte ai templi della natura. Il ghiacciaio, considerato Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, è davvero una meraviglia assoluta, un prodigio. È la terza riserva al mondo d'acqua dolce, un colosso in movimento con una "lingua" anteriore lunga circa cinque chilometri, che si arresta per un'altezza di 70-80 metri sul Lago Argentino e sprofonda per altri 150 sul suo fondo. La sua fronte, spiega la guida, è la compattazione delle nevicate che caddero addosso a Magellano mentre esplorava la Patagonia, cinque secoli orsono. Il movimento del ghiacciaio – che a differenza di quelli cileni non finisce in mare ma in un'immensa riserva di acqua dolce, il Lago Argentino – è dovuto all'esistenza alla base di una sorta di cuscino d'acqua che lo tiene staccato dalla roccia. Ecco perché avanza di circa due metri al giorno, 700 l'anno, scendendo con un'inclinazione di 45 gradi. Non si tratta dell'unico caso: diversi ghiacciai dell'Alaska o del settore occidentale dell'Himalaya stanno avanzando allo stesso modo, così come il Pio XI in Cile. Ora sembra che il perito Moreno non si sciolga più: se si escludono piccole variazioni, il suo "bilancio glaciale" sarebbe rimasto in equilibrio, negli ultimi novant'anni. Qualche anno fa era quasi il simbolo dell'effetto serra, ora Andres Rivera, glaciologo del Centro per gli studi scientifici di Valdivia, in Cile, giura che non si sta più ritirando. Una delle ragioni potrebbe essere la sua apparente insensibilità ai cambiamenti climatici, in quello che i glaciologi definiscono la linea di equilibrio dei ghiacciai. Probabilmente, però, diventa sempre più sottile. C'è un'inversione di tendenza? Nessuno può giurarlo. Il Campo de Hielo Patagónico Sur (o anche Campo de Hielo Sur), il gigantesco "ghiacciaio" continentale che gli dà vita, la terza calotta glaciale al mondo dopo Antartide e Groenlandia (si trova sulle Ande meridionali, lungo la linea di confine tra Cile e Argentina), non è facile da misurare. Ancora oggi presenta vaste aree inesplorate. Le prime esplorazioni iniziarono nel 1943 quando il governo cileno fotografò l'area dall'alto con aerei militari, ma l'area fu già attraversata da studiosi come Federico Reichert e padre Alberto De Agostini, che vide la lingua del ghiacciaio non ancora attaccata alla terraferma. De Agostini viaggiava per conto dell'Ordine salesiano, che sosteneva gli indios fuegini e della Patagonia contro i coloni.
Il "Hielo" è la più grande riserva d'acqua dolce del Sudamerica, una specie di calderone, una pentola dove si concentrano le precipitazioni e che trabocca, dando vita a 360 enormi ghiacciai vallivi, anche sul versante cileno. Il perito Moreno nemmeno è fra i più grandi: il primato è del ghiacciaio Upsala, che arretra di sette chilometri ogni vent'anni. E poi ci sono il Pio XI o il Viedma. Nel Campo de Hielo Patagonico Sur si trovano il Cerro Chaltén (noto anche come Cerro Fitz Roy) e il Cerro Torre. Il Perito Moreno – dice qualcuno – è sempre più sottile, perché nella "pentola" (22mila chilometri quadri, 2500 metri di profondità, lunghezza da nord a sud circa trecento chilometri, 80 da ovest a est, grande all'incirca come la Corsica) non si accumula la stessa quantità di precipitazioni. Ci sciogliamo noi, di commozione, arrivando in barca davanti al fronte del ghiacciaio, su una delle tante barche che partono da El Calafate, località turistica sulle rive del lago Argentino. L'immensa barriera di ghiaccio tocca le sponde di quel braccio del lago Argentino, forma una diga naturale che separa le due metà del lago. Il livello dell'acqua nella parte di lago detta Brazo Rico risale di oltre 30 metri rispetto al consueto livello. L'enorme forza prodotta dalla massa d'acqua finisce per fare pressione ed erodere il fronte del ghiacciaio: il muro di ghiaccio si scioglie nei punti più deboli attraverso i quali filtra l'acqua, fino a far crollare enormi blocchi. Migliaia di turisti osservano ogni anno lo spettacolo, che è fatto non solo di riflessi azzurri e guglie e lame turchesi, ma anche di scricchiolii, borbottii, scrosci che si perdono nella vallata e nei boschi. Di tanto in tanto cadono blocchi imponenti che diventano iceberg, vagano solitari sul lago, vanno alla deriva. Con un pullman si può arrivare sul lato del ghiacciaio e attraverso un sistema di passerelle osservarlo da diverse angolazioni e altezze. Spettacolari i "crolli", provocati dall'acqua che erode la barriera di ghiaccio e a intervalli di qualche anno la fa cedere in diversi punti. Fortunato chi si trova a vedere e ascoltare, uno scenario che lascia a bocca aperta. È famoso il crollo del "ponte di ghiaccio", creato dal tunnel che l'acqua del Lago Argentino scava tra la fronte del ghiacciaio e il lato della montagna. Ogni 2-4 anni il ponte si spezza per la pressione dei ghiacci in avanzamento, ed è come se un immenso edificio si abbattesse all'improvviso. Filmati sono osservabili su Internet. In ogni caso, intruppati con gli altri sul ponte della barca o sulle passerelle, accalcandosi per le foto di rito davanti alle torri di ghiaccio, pochi pensano a Francisco "perito" Moreno. Scattano fotografie, mangiano, vanno avanti e indietro.
Il ghiacciaio parla, pochi lo ascoltano. Cade a pezzi, eternamente, fra gridolini, fischi, applausi e rumori di macchine fotografiche. Stessero un po' in silenzio, ogni tanto.

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