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Malattie infettive, impariamo dalle piante a difenderci

A distanza di un anno dall'articolo in cui raccontavamo gli studi condotti dal Centro Regionale per la Biodiversità Vegetale delle Marittime su un  garofanino di montagna, presentiamo ora le nuove ricerche su un'altra pianta, la comune Silene vulgaris Garcke. Lo scopo? Capire come questa pianta si difende dalle infezioni sconosciute, sperando che le sue strategie tornino utili anche all'uomo nella nostra guerra contro i nuovi virus.

  • di Valentina Carasso* e Alessandro Paolini
  • Marzo 2021
  • Lunedì, 17 Maggio 2021
Silene vulgaris - Foto Pixabay Silene vulgaris - Foto Pixabay

Un anno fa usciva su Piemonte Parchi l'articolo "Un garofanino ci aiuterà a conoscere Covid-19?" in cui raccontavamo gli studi condotti su un garofanino di montagna endemico delle Alpi occidentali e molto diffuso in Valle Pesio, il Dianthus pavonius Tausch.

La ricerca, condotta dal Centro Regionale per la Biodiversità Vegetale di Chiusa Pesio, in collaborazione con alcune importanti Università americane si proponeva di approfondire modalità ed effetti della trasmissione di malattie infettive tra specie vegetali diverse. Ad un anno di distanza la ricerca si è spostata dal garofanino di montagna ad un'altra pianta comune delle nostre campagne, l'erba del cucco (detta anche sciupèt), il cui nome scientifico è Silene vulgaris Garcke. L'intento è quello di studiare i vari meccanismi di resistenza adottati dalla Silene per contrastare le aggressioni di malattie quasi - o del tutto - sconosciute, contro cui la pianta non si è ancora attrezzata, trasmesse da agenti patogeni "stranieri".

Il ruolo della ricerca nell'elaborare l' "identikit" degli agenti patogeni

Da un anno stiamo combattendo per debellare il virus Covid-Sars-2, agente dell'infezione Covid 19. Distanziamento, mascherine, quarantena, terapia intensiva e, infine, il vaccino, sono solo alcune delle armi a nostra disposizione per contrastare questo nemico invisibile, eppure potentissimo.
Ciononostante, nuove varianti del Coronavirus si stanno facendo strada, rischiando di pregiudicare gli sforzi sin qui fatti e di accrescere ulteriormente l'incertezza per il futuro. Contrastare un microorganismo come un virus, un batterio o qualsiasi altro tipo di agente patogeno non significa solo trovare un vaccino o un farmaco adatto a debellarlo o, almeno, a renderlo meno aggressivo. Questo passaggio è solo l'ultimo di una lunga sequenza di fasi fondate sullo studio del patogeno e sulla ricerca delle sue "abitudini di vita".
Nelle battaglie del genere umano contro le malattie, gli strateghi sono rappresentati dai ricercatori scientifici: biologi, matematici, chimici, virologi, immunologi, medici, ma anche botanici, zoologi, veterinari, esperti di statistica. Tutti questi professionisti sono impegnati, ognuno con le rispettive competenze, ad arginare il nemico, analizzandone caratteristiche morfologiche e genetiche, comportamenti e abitudini, per scovarne i punti di forza e di debolezza.

Dallo studio sul Dianthus pavonius...

Negli ultimi dieci anni, in particolare, alcuni biologi esperti in malattie infettive degli animali e delle piante si sono dedicati a studiare il comportamento degli agenti patogeni, sia in laboratorio che sul campo. Si tratta di ricercatori e ricercatrici americane, provenienti da tre università distinte, quella della Virginia, del Maryland e dell'Amherst College, in Massachusetts. La loro attenzione si è concentrata sullo studio di un sistema pianta-fungo considerato un modello importante nello studio delle malattie infettive. In questo sistema la pianta svolge la parte della vittima, cioè di colei che subisce l'attacco (tecnicamente viene detta "ospite"), mentre il fungo è l'aggressore, cioè colui che genera l'infezione (e viene chiamato "parassita"). Il Centro Regionale per la Biodiversità Vegetale, che ha sede presso il Parco delle Alpi marittime, a Chiusa Pesio (CN), in collaborazione con il gruppo di ricerca statunitense, ha focalizzato le ricerche sulla comprensione del comportamento del fungo parassita (chiamato Carbone delle Antere) ai margini dell'area di presenza del garofanino (Dianthus pavonius) e sullo studio delle modalità di dispersione delle spore e di infezione della pianta. Il fungo deposita, con l'azione del vento e degli insetti impollinatori, le sue spore virulente sui fiori delle piante sane del garofanino che "germinano" sul pistillo e penetrano nel fiore. Durante l'inverno il fungo resta "nascosto" ma la primavera successiva riprende il suo sviluppo e genera nuove spore infettive negli organi sessuali maschili del fiore (le antere), trasformando l'organo femminile del fiore in un organo maschile. In queste condizioni la pianta non potrà più riprodursi (cioè generare dei semi) avviandosi, teoricamente, verso l'estinzione.

... a quello sulla Silene vulgaris

Ora, con una nuova ricerca, finanziata niente meno che dal famoso NIH americano (National Insitute of Health), di cui tanto si sente parlare a proposito del Coronavirus, l'attenzione si è spostata sullo studio delle diverse combinazioni che si possono verificare tra ospite e patogeno, al fine di comprendere meglio i fattori ambientali e genetici che guidano la trasmissione della malattia. Il lavoro, che durerà sino al 2024, consiste nello studiare quale sia il rischio di infezione tra gruppi diversi di piante ospiti (cioè suscettibili o meno alla malattia provocata dal fungo). In questo caso la specie target è la Silene vulgaris, entità eurasiatico-sudeuropea presente in tutte le regioni d'Italia che negli anni scorsi è già stata ampiamente utilizzata come modello di studio della biologia delle malattie infettive.

L'intento è quello di mostrare i vari meccanismi di resistenza adottati da questa specie per contrastare le aggressioni da parte dei parassiti, ponendo particolare attenzione a capire qual'è la capacità di resistenza della pianta all'attacco di un fungo che essa già conosce bene (una malattia endemica, per la quale il vegetale ha già sviluppato delle difese immunitarie), rispetto alla sua reazione in presenza di malattie quasi o del tutto sconosciute. L'obiettivo di queste nuove indagini, che verranno condotte sia in laboratorio che in vivaio, è quindi quello di documentare i vari tipi di resistenza messi in atto dall'ospite nei confronti di un patogeno sconosciuto.
Questo aspetto è di straordinaria attualità e pone in primo piano la questione di come ci si possa difendere dall'arrivo improvviso di nuove malattie... praticamente una "versione botanica" di ciò che sta avvenendo nei confronti dell'infezione da Sars-cov-2. Anche se i protagonisti di questo sistema-modello non sono virus o batteri ma funghi, i loro comportamenti e le loro azioni e reazioni sono di fondamentale importanza per comprendere meglio le regole del gioco e per studiare più da vicino le mosse (e le contromosse) che i nostri protagonisti compiranno nei prossimi anni. I ricercatori americani hanno scelto di lavorare su questo modello pianta-fungo in quanto non presenta rischi, diversamente dai modelli di ricerca che si avvalgono di animali.

Le attività umane e i conseguenti cambiamenti inferti all'ambiente ed al clima stanno alterando la distribuzione delle specie e originando nuove combinazioni di ospite-patogeno. Le specie ospiti possono mostrare variazioni di resistenza ai loro agenti aggressori, soprattutto quando questi ultimi sono ignoti. I meccanismi di resistenza alle malattie endemiche (cioè che sono già ben conosciute dall'ospite) possono mostrare delle proprietà utili a comprendere le risposte messe in atto alla comparsa di patogeni stranieri, contribuendo a produrre un quadro predittivo sulla trasmissione di queste nuove malattie. Gli studi sulle infezioni vegetali forniscono pertanto informazioni fondamentali sui fattori di rischio di insorgenza delle malattie, importanti per la salute delle popolazioni animali e vegetali, con risvolti di applicazione in ambito medico, veterinario e agronomico.

Il nuovo progetto americano, in collaborazione con il Centro Regionale per la Biodiversità Vegetale dell'Ente di gestione delle Aree Protette delle Alpi Marittime, è iniziato da poco e non è ancora possibile fornire informazioni o risultati. Al momento la specie obiettivo resta la Silene vulgaris, ma non è da escludere che nel corso della ricerca vengano prese in esame anche altre entità vegetali appartenenti alla stessa famiglia botanica.

In futuro ci saranno sicuramente altre occasioni per comunicare lo stato di avanzamento dei lavori ed i progressi di queste indagini.

Consulente scientifica delle Aree Protette Alpi Marittime e coordinatrice per l'Italia del Progetto USA intitolato: "Variazione della resistenza alle malattie endemiche come fattore di rischio per l'emergenza di nuove malattie: il Carbone delle Antere come modello".

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