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Quello che non uccide... Guarisce

Nella storia l'uso del veleno, complice di morti accidentali o volute, di cospirazioni e congiure, è strettamente intrecciato al vissuto dell'uomo, dalla caccia alla vita politica, alla letteratura, alla medicina.

  • Loredana Matonti
  • Gennaio febbraio 2011
  • Martedì, 13 Maggio 2014

Un po' di veleno? Sì, grazie! Basta non esagerare però... Perché, come diceva Paracelso, famoso alchimista, il veleno sta nella dose; sottile e affascinante linea di demarcazione tra la morte e la vita, tra la salute e la malattia. Presso i Romani si distingueva il venenum bonum, quello che serviva a curare e il venenum malum, quello mortifero. Tito Lucrezio poi, nel suo poema filosofico-scientifico De Rerum Natura, andava oltre, sostenendo empiricamente che gli effetti dipendono anche dalla reazione del soggetto, poiché "ciò che per uno è cibo, per altri è un amaro veleno". Arma di offesa o di difesa in natura, il veleno ha con l'uomo un rapporto viscerale e antico. In un universo di opposti si può assurgere a emblema di un dualismo che permea la natura stessa, a volte vissuta come efferata nemica da combattere, a volte come alleata da cui trarre indispensabili risorse vitali. Sarà per questo che lo stesso termine si presta a varie dissertazioni; veleno (o veneno come era voce comune all'epoca di Dante) viene direttamente dal latino venènum, etimologicamente avvicinabile a Venus, Venere, dea della bellezza e dell'Amore. Venus è collegato a sua volta anche a uenenum, la "pozione magica", e al "filtro d'amore". Il venènum in origine era quindi "ogni materia specialmente liquida, capace per la sua forza penetrante di mutare la proprietà naturale di una cosa". In greco antico era il pharmakon, ossia quella materia di per sé capace di guarire e donare salute oppure distruggere ed elargire morte; dosis indicava l'atto del donare ma anche la "dose" di una sostanza mortale. Questa polisemia sopravvive anche nelle lingue moderne: la dualità semantica del vocabolo anglosassone gift, che nella lingua tedesca designa il veleno e nella lingua inglese il dono, ha fatto molto discutere linguisti e sociologi. Protagonista di incubi e sogni delittuosi, è un assassino subdolo e silenzioso, efficace in minuscole, spesso impercettibili dosi. Insinuatosi nelle fantasie più recondite dell'uomo, dalle favole alla letteratura, è l'attrazione fatale, la mela avvelenata di Biancaneve, l'arte di sfidare la morte del domatore di serpenti. Senza veleno, i supereroi dei fumetti e i cattivi di opere teatrali, favole e film apparirebbero decisamente meno interessanti.
Strumento di congiure politiche e del tradimento più bieco, l'avvelenamento era il crimine più condannato in tutte le civiltà. Una legge romana enunciava chiaramente: "Plus est hominem estinguere veneno, quam uccidere gladio" (è più grave uccidere un uomo col veleno che con la spada). Quando si parla di avvelenamenti il pensiero subito corre al più famoso avvelenato della storia, Socrate, il grande filosofo greco, condannato a morte bevendo un boccale di cicuta, una velenosa pianta della famiglia delle Ombrellifere. La stessa però ha proprietà calmanti che nell'antichità vennero sfruttate per nevralgie, epilessia, tossi convulsive e dolori del cancro. Come non ricordare poi Cleopatra, bellissima regina dell'antico Egitto, che pare si uccise con un morso letale di cobra, lo stesso veleno che alcune ricerche indicherebbero come efficace farmaco anticoagulante per i problemi cardiaci; in generale, gli studi sul veleno di varie specie di serpenti promettono oggi risultati sorprendenti, dalla terapia del dolore all'epilessia, all'ipertensione. Il noto arsenico, tanto amato dai Borgia, chiamato anche "polvere di successione", quando somministrato in piccole quantità a una balia contaminava il latte, uccidendo così i neonati rivali. Eppure con l'arsenico, Ippocrate, padre della medicina, nel V secolo a. C curava l'ulcera; fu impiegato ancora fino ai primi del Novecento per trattare numerosi disturbi e malattie, dall'asma alla sifilide.
Con l'estratto di tasso, albero velenoso, venne ucciso il padre di Amleto, ma da una specie del Pacifico (Taxus brevifolia) viene estratto il tassolo, impiegato per la cura di alcuni tumori del seno e delle ovaie. Quindi ciò che uccide può anche guarire e, se qualcuno ha perso la vita a causa del veleno, altri gliela devono; buona parte dei farmaci prodotti negli ultimi 50 anni derivano da veleni estratti da piante. Dallo storico impiego della velenosa Digitalis ad azione cardiotonica e diuretica, agli alcaloidi vinblastina e vincristina, isolati dalla rosa pervinca, originaria del Madagascar, comunemente in uso come chemioterapici. Altri farmaci derivano da animali, alcuni dei quali in via d'estinzione. Le tarantole sono allevate per il loro veleno e servono a studiare i percorsi neurali e chimici degli esseri umani. Un farmaco per il diabete viene sintetizzato da un composto che si trova nella saliva di una lucertola originaria del Messico (Heloderma suspectum). Per i dolori generati da ripetute scariche elettriche di nervi malati, come il fuoco di Sant'Antonio o le lombo sciatalgie, è stato commercializzato un nuovo ritrovato derivato da un veleno di lumaca marina, che agisce direttamente sulle cellule nervose responsabili della trasmissione dei segnali dolorifici del midollo spinale. Anche da altri organismi marini velenosi, come dalla famiglia dei Conidi, si sono isolate efficaci sostanze per la terapia del dolore. Recenti ricerche hanno avvalorato la vecchia credenza popolare che farsi pungere dalle api può procurare sollievo da vari dolori articolari; sembra infatti che il loro veleno contenga una miscela di diverse sostanze che inducono risposte immunitarie e combattono le infiammazioni. La tossina botulinica, prodotta dal batterio Clostridium botulinum, è tra le sostanze più velenose che si conoscano; tristemente nota alla cronaca per gli avvelenamenti alimentari, lo è un po' meno per le sue indubbie virtù. Un farmaco, contenente il veleno in forma estremamente diluita, si è rivelato efficace e sicuro in applicazioni che spaziano dalla distensione delle rughe alla cura dell'emicrania, alla correzione dello strabismo, alla sclerosi multipla e paralisi cerebrale. L'interesse per queste particolari sostanze è quindi immutato.
Attualissimi, ad esempio, gli studi sul veleno di molte specie di scorpione: da una specie del Medio Oriente (Leiurus quinquestriatus) per l'efficacia su alcune forme maligne di tumore del cervello, allo scorpione azzurro endemico di Cuba (Rhopalurus junceus) da cui si estrae l'Escozul, per la cura di artrite reumatoide e tumori, a un'altra specie del Centro America (Centruroides margaritatus), contenente una tossina in grado di prevenire l'ostruzione coronarica negli interventi di bypass, scongiurandone così il fallimento. Tossicologia e farmacologia sono quindi strettamente legate; un'inquietante dualità alla dottor Jekyll e Mister Hyde. Viene naturale, a questo punto, riflettere sul fatto che secondo la letteratura cristiana (Apoc. Mosis, cap. 15) il veleno si trovasse anche nell'albero della Conoscenza. Seminatore di morte, il veleno ha molto da insegnarci anche sulla vita.

Il tasso, albero della morte

Sarà per la grande velenosità, unita al colore scuro degli aghi e la corteccia bruno rossiccia, che questa bella conifera sempreverde si è guadagnata nel corso della storia una sinistra fama. Per gli antichi evocava presenze notturne, infere; già Plutarco sconsigliava di dormire alla sua ombra e ancora oggi vi sono giardinieri che non taglierebbero un tasso per tutto l'oro del mondo. Testimonianze di Teofrasto e Galeno parlano di tremendi episodi di avvelenamento, anche di cavalli, causati dai frutti. Il fumo stesso del suo legno bruciato, a detta di Plinio, veniva usato per disin­festare i locali dai topi. Il tasso (Taxus baccata L.), diffuso in tutte le regioni dell'Europa centromeridionale, dove cresce allo stato spon­taneo nei boschi ombrosi di latifoglie da 300 a 1500 m, soprattutto su terreni calcarei, è velenoso in quasi tutte le sue parti per la presenza di un alcaloide, la tassina. L'unica parte edule è il frutto, l'arillo, di cui si nutrono molte specie animali. Possiede una crescita molto lenta; per questo si trova più comunemente sotto forma di piccolo albero o arbusto, ma raggiunge, in condizioni ottimali, età e dimensioni incredibili, mentre il legno, elastico e tenace, durissimo e pregiato, ricercato un tempo per confezionare archi e frecce, è tutt'ora usato nei lavori al tornio e in ebanisteria. A ciò si deve la simbologia duale legata all'immortalità, alla forza e alla resistenza. La pianta è caratteristica di uno dei Siti di Interesse Comunitario individuati in Piemonte, il SIC Boscaglie di Tasso di Giaglione. Collocato sul versante idrografico sinistro della Val Clarea, laterale alla Valle di Susa, deve il suo nome all'habitat di faggete con sottobosco ad agrifoglio e tasso a por­tamento alto-arbustivo, for­mazioni rare nella nostra regione.

 

Per saperne di più:

Jean de Maleissye, Storia dei veleni. Da Socrate ai giorni nostri, Odoya editore, 2008
Palao Pons Pedro, I misteri dei veleni. Dall'antichità a oggi, De Vecchi editore, 2009

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