Stampa questa pagina

Quando un albero muore in piedi

Qual è il ruolo naturalistico di un bosco? E come si configura una sua corretta gestione? Può esserci un compromesso tra suoi scopi produttivi e una conservazione degli elementi di biodiversità? Partendo dall'importanza della necromassa presente in un bosco e da quella degli alberi da destinare all'invecchiamento a tempo indefinito, affronteremo una serie di approfondimenti 'forestali' per comprendere alcuni 'Obblighi&Divieti' imposti dagli Organismi tecnici e di controllo al fine di preservare un ambiente naturale che resti possibilmente in armonia con l'intervento umano

  • Luca Marello*, Stefano Cariani
  • Aprile 2018
  • Martedì, 3 Aprile 2018
 Foto Pixabay Foto Pixabay

Se le foreste naturali sono sistemi complessi e dinamici, in cui tutte le fasi del ciclo biologico delle specie presenti hanno una funzione nell'ecosistema, oggi sappiamo che circa il 30% della biodiversità complessiva di un ecosistema forestale dipende dal legno morto.

Utilizzo e percezione del bosco sono molto cambiati negli anni, così come la sua gestione e la sua "manutenzione". Mentre molti boschi sono stati progressivamente abbandonati, sulla spinta di importanti Direttive europee, le conoscenze e le attenzioni verso il ruolo naturalistico delle formazioni boschive si sono via via approfondite, con l'obiettivo di cercare un ragionevole compromesso tra una gestione a scopi anche produttivi e una conservazione degli elementi di biodiversità, alla base del concetto di multifunzionalità del bosco.
Uno degli aspetti che ha visto un evidente cambio di rotta è l'importanza della "necromassa" presente in un bosco e quella degli alberi da destinare all'invecchiamento a tempo indefinito per dotare il bosco di alberi "habitat". Vediamo più in dettaglio.

Cos'è la necromassa?

Per necromassa s'intende il legno morto, a differenti stadi di degradazione che nelle foreste naturaliformi segue un suo ciclo di maggiore e minore presenza in funzione degli stadi evolutivi caratteristici di ogni formazione forestale e che svolge molteplici funzioni di vitale importanza all'interno del "ecosistema bosco". La "necromassa" era intesa (e ancora oggi in parte lo è) dai conduttori del bosco come la parte di legname da asportare per far pulizia e per mantenere il bosco "in ordine", nonché per ricavarne vari prodotti (lettiera, legna da ardere, ecc). Tali pratiche, che un tempo potevano essere in parte giustificate dalle necessità dei proprietari, oggi è noto che contribuiscono all'alterazione degli equilibri dell'ecosistema accentuandone la degradazione.
Gli alberi da destinare all'invecchiamento a tempo indefinito, invece, sono quegli esemplari che per dimensioni e/o caratteristiche proprie hanno o potranno avere all'interno del bosco un ruolo di "alberi habitat", svolgendo un ruolo chiave sia per la produzione di seme che per la conservazione di molte specie animali e vegetali. Gli alberi habitat sono quindi tutti quegli esemplari vivi, senescenti o morti, di taglia grande (almeno 50 cm di diametro) e che possono ospitare microhabitat. Perché un bosco sia sempre dotato di tali esemplari è quindi necessario che vengano individuati alberi che saranno lasciati evolvere a tempo indefinito.
Da sottolineare, il fatto che il legno morto rappresenti una importante e insostituibile fonte di biodiversità che contribuisce ad aumentare la complessità, e con essa la stabilità, degli ecosistemi forestali

Quali funzioni svolge la necromassa?

Le funzioni ecologiche della necromassa e degli alberi habitat sono importanti per il ciclo dei nutrienti, perchè la degradazione del legno morto è uno dei principali fattori che contribuiscono alla restituzione di molti macro e micro elementi nutritivi al suolo e che, quindi, ne garantiscono una maggiore fertilità (creazione di humus) necessaria per il perpetuarsi del bosco. La necromossa garantisce la presenza di numerosissimi microhabitat necessari a molte specie animali e vegetali che qui possono trovare un substrato idoneo, rifugio, nutrimento: basti pensare ai numerosi organismi saproxilici (che dipendono dal legno morto in qualche fase del loro ciclo vitale) tra cui gli invertebrati che si nutrono di legno (xilofagi) o che nel legno vivono (xilobi), i funghi (in particolare basidiomiceti), i licheni o le epatiche ma anche roditori, anfibi e rettili che vi trovano rifugio. Il suo rolo è importante anche per la "produzione" di molti organismi (in particolare invertebrati) che sono alla base della catena trofica per molte specie avifaunistiche, per molti mammiferi, come i Chirotteri.

La necromassa presente al suolo può contribuire alla stabilità dei versanti riducendone in maniera meccanica l'erosione superficiale, soprattutto laddove la copertura risulta scarsa; rapprersenta un serbatoio di carbonio sequestrato all'atmosfera, influenzando quindi il bilancio di anidride carbonica presente in atmosfera e gli alberi lasciati invecchiare a tempo indefinito diventano una riserva di "portaseme", ovvero di esemplari che possono contribuire alla produzione di seme e garantire così la rinnovazione. Alcune specie, infatti, iniziano a fruttificare solo raggiunta una certa età, variabile per specie, ma talvolta anche relativamente avanzata. Un esempio: all'interno di una faggeta, fruttificazioni significative iniziano verso gli 80 anni di età, mentre le produzioni più abbondanti si verificano fra i 100 e 200 anni.
Infine, gli alberi che vengono lasciati invecchiare a tempo indefinito riescono a raggiungere dimensioni notevoli (sempre in relazione alla specie). Tale caratteristica viene spesso ritenuta necessaria in letteratura per la conservazione di alcune specie, alcune delle quali oggetto di conservazione. Per alcuni invertebrati saproxilici, infatti, gli esemplari ritenuti idonei all'insediamento hanno diametri grandi superiori ai 60 cm.

Quanta necromassa in un bosco?

Il legno morto segue un processo di decomposizione che dipende molti fattori biotici e abiotici che ne determinano la velocità: le caratteristiche stazionali giocano un ruolo importante (altitudine, esposizione, microclimi, ecc), così come la specie legnosa, le caratteristiche del bosco, la fertilità, le dimensioni del materiale, la tipologia di popolazioni di decompositori, ecc.
Tutte queste variabili portano a determinare un "gradiente" di legno presente a differenti stadi di degradazione, ognuno dei quali riveste un particolare ruolo all'interno dell'ecosistema.
Al fine di determinare la qualità e quantità di necromassa presente in bosco, spesso le indagini sono orientate a considerare la sola quota dei cosiddetti "detriti legnosi grossolani" (CWD – coarse woody debris) sulla quale ormai c'è ampia letteratura disponibile. Il CWD comprende, in generale, il legno morto a terra (log), le ceppaie (stump) e le piante morte in piedi (snag) mantenendo una soglia minima di rilievo di 5-10 cm di diametro e valutando, per ogni categoria, il grado di decomposizione. Il volume, può quindi essere determinato attraverso vari metodi di campionamento come le tradizionali aree di saggio oppure il metodo LIS (Line Intersect System) integrato con il rilievo delle ceppaie e delle piante morte in piedi, come proposto da alcuni autori.

Considerato che le variabili in gioco sono molteplici, non risulta possibile esplicitare a priori un "valore" ottimale di necromassa che deve essere presente in bosco, ancor più se si considera l'eterogeneità delle formazioni forestali presenti in Piemonte, che vanno dai boschi di conifere alpini, ai querco-carpineti della pianura.
Tuttavia, prendendo in considerazione la dotazione di legno presente nelle foreste cosiddette "vetuste", in letteratura si possono trovare varie indicazioni dalle quali partire. Semplificando estremamente un ambito assai complesso, si potrebbe ritenere "idoneo" alla conservazione di una popolazioe di saproxilici un CWD minimo compreso tra 30-50 m3/ha, anche se i valori di riferimento delle foreste vetuste dell'est europa raggiungono valori di 300-400 m3/ha...una bella differenza!

Il caso degli alberi 'grandi'

Per quanto riguarda gli alberi "grandi" (habitat attuali o potenziali), risulta importate la loro distribuzione spaziale nel bosco in modo da creare continuità. In questo caso, alcuni valori che possono essere presi di riferimentro, indicano un numero minimo che va da 4 a 10 piante a ettaro per le faggete europee. Si è detto minimo, poiché se si pensa ad ambienti favorevoli ai chirotteri (quasi tutte le specie sono tutelate a livello europeo), risulta necessario costituire una rete anche più densa poiché specie come il Barbastello (Barbastella barbastellus) o come il Vespertilio di Bechstein (Myotis bechsteinii), cambiando continuamente rifugi durante la stagione estiva, necessitano di una rete di oltre 25-30 cavità per ettaro!
Per fare in modo che il bosco sia dotato di tali caratteristiche, oltre al legno morto quindi, occorre prevedere di "assegnare" una quota di piante da destinare all'invecchiamento a tempo indefinito preservandole dal taglio. Tale necessità deriva anche tal fatto che molte specie cominciano a essere caratterizzate da cavità idonee solo in tarda età, come descritto da vari autori soprattutto per querceti e faggete.

I picchi neri (Dryocopus martius) scavano i tronchi di piante vive o morte per fare i nidi. Questi, insieme a molti altri tipi di cavità, sono utilizzati da altre specie ospiti come la civetta capogrosso (protetta) o altre specie avifaunistiche (Paridi, Turdidi, ecc), mammiferi come i gliridi o i chirotteri fino ai vari invertebrati saproxilici e non. Soprattutto chirotteri e molte specie avifaunistiche (ma non solo!) si cibano di grandi quantità di invertebrati i quali dipendono dall'abbondante presenza di materiale legnoso in decomposizione sia al suolo che in piedi (a seconda delle specie). Varie specie di funghi e altre specie vegetali concorrono alla decomposizione del legno che viene messo a disposizione di alcune specie animali.
Tutte queste entità, tra loro connesse sono indispensabili affinché il materiale legnoso compia l'intero processo di degradazione e venga così restituito al suolo divenendo quella frazione fertile e indispensabile che è l'humus.

La gestione forestale di un bosco

Negli ultimi secoli, il regime di disturbo naturale delle foreste italiane è stato sostituito dall'attività antropica di utilizzo del suolo. Nel passato, molte di queste attività hanno portato alla quasi completa rimozione del legno morto dal bosco e, di conseguenza, il "coarse woody debris" (CWD) risulta decisamente inferiore se paragonato alle foreste lasciate evolvere naturalmente.
Essendo oggi a conoscenza della vitale importanza che riveste la "necromassa" per l'ecosistema e avendo come obiettivo la conservazione di molte specie tutelate a livello europeo, occorre porre particolare attenzione a tali aspetti.
La gestione forestale, tuttavia, è pratica assai complessa attraverso la quale è necessario trovare il giusto compromesso tra le tante variabili in gioco, sempre in relazione agli obiettivi che si pongono. La quantità e qualità "ottimale" di legno morto da lasciare in dotazione al bosco, quindi, deve derivare da un'attenta analisi di tutte le caratteristiche stazionali e tenere in considerazione anche gli aspetti quali il rischio incendi, le eventuali pullulazioni di insetti nocivi, la rinuncia economicamente accettabile all'utilizzo di biomassa, ecc.
I professionisti che seguono gli interventi o sono incaricati di redigere i Piani forestali, con particolare riferimento ai tecnici forestali, sono coloro che meglio di ogni altro possono determinare le quantità e modalità ottimali di gestione del legno morto.

All'interno della Rete Natura 2000 del Piemonte, l'obiettivo è fissare una sorta di "base-line", una soglia minima di rilascio di necromassa e alberi da destinare all'invecchiamento a tempo indefinito che si basa sulle motivazioni sopra riportate e che, auspicabilmente, potrà essere implementata laddove necessario nell'ambito dei singoli interventi o in sede di pianificazione.
Salvo indicazioni specifiche relative a singoli Siti della Rete Natura 2000, le Misure di Conservazione per la tutela della Rete Natura 2000 del Piemonte prescrivono (art. 13) il rilascio di:
- 50% del legno morto presente e comunque non inferiore a n.4 ad ettaro;
- 4 alberi maturi ad ettaro da rilasciare all'invecchiamento a tempo indefinito;
- 50% delle ramaglie e cimali, sparsi a contatto con il suolo in cumuli non superiori a 3 metri steri;
Le caratteristiche degli alberi da rilasciare sono invece indicate all'articolo 15 della stessa norma.

* Luca Marello, forestale, è funzionario del Settore regionale Biodiversità e Aree naturali

 
Per saperne di più:
Dudley N. & Vallauri D., 2004. Deadwood – living forest. WWF Report – October 2004. Gland, Switzerland.
Motta R., Berretti R., Lingua E., Piussi P., 2006. Coarse woody debris, forest structure and regeneration in the Valbona forest reserve, Paneveggio, Italian Alps. Forest Ecology and
Management 235.
Ranius T., Niklasson M., Berg N., 2009. Development of tree hollows in pedunculate oak (Quercus robur). Forest Ecology and Management, 257.
Dufour D., 2003 Étude de l'influence du bois mort sur l'avifaune cavernicole en forêt feuillue. Mémoire de fin d'études, FUSAGx
Lombardi F., Lasserre B., Tognetti R., Marchetti M., 2008 – Deadwood In relation to stand management and forest type in Central Apennines (Molise Italy). Ecosystems, 11.
Lachat T., Bütler R. 2007. Gestion des vieux arbres et du bois mort. Îlots de sénescence, arbres habitat et métapopulations saproxyliques. Mandat de l'Office Fédéral de l'Environnement.
Kraus D., Krumm F. (eds) 2013. Integrative approaches as an opportunity for the conservation of forest biodiversity. European Forest Institute Nilsson S.G., Niklasson M., Hedin J., Aronsson G., Gutowski J.M., Linder P., Ljungberg H., Mikusin´ski G., Ranius T., 2003. Densities of large living and dead trees in old-growth temperate and boreal forests. Forest Ecology and Management. Pignatti G., De Natale F., Gasparini P, Paletto A., 2009. Il legno morto nei boschi italiani secondo l'Inventario Forestale Nazionale.

 

 

Potrebbe interessarti anche...

Come si coltiva un bosco? La selvicoltura, intesa come quella scienza in grado di condizionare i ...
Il monito cautelativo sull'apertura della stagione venatoria emesso dall'Istituto Superio ...