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Solo la bellezza ci salverà dai (cripto) mammuth

  • Carlo Grande
  • maggio 2012
  • Giovedì, 3 Maggio 2012

Toh, un mammuth! Se capiterà di vederne uno in qualche parco delle Langhe o dell'Appennino non date la colpa alla stanchezza o al Dolcetto: forse è proprio un animale preistorico, che qualche genialoide – più simile al dottor Stranamore che a Stephen Spielberg – sarà riuscito a clonare. Ci stanno pensando scienziati russi e giapponesi (ma non farebbero meglio a occuparsi di Chernobyl o Fukushima?), l'ipotesi è futuribile e fantascientifica, ma trattandosi di business non è da escludere. Il professor Akira Intani della School of Biology-Oriented Science and Technology della Kinki University di Osaja, coadiuvato da colleghi dell'università di Tifu (lo diciamo perché ognuno si assuma le sue responsabilità) vorrebbe partire da un pezzetto di osso di Mammuthus primigenius o Mammut lanoso, scomparso solo 6-4.000 anni fa. Akira non è mica pazzo, non pensa al più grande e spettacolare di tutti, il Mammut imperiale (Mammuthus imperator) che raggiungeva i 4,5 m e un peso di 8-10 tonnellate: non ne esistono di congelati, quindi ci si deve accontentare del mammut lanoso, il cui Dna sarebbe al 95% intercambiabile con quello dell'elefante asiatico. Il secondo "step", infatti (vuol dire gradino, ma in inglese fa molto più scientifico e professionale) sarà prendere una povera elefantessa indiana e fecondarla con un seme tratto dal suddetto Dna e dare il via a una stirpe di mammutte e mammuttini belli antichizzati, con zanne ricurve, peli e tutto il resto. A che serve? Ingenui... A far soldi, ovvio. Gli animali saranno esibiti come fenomeni da baraccone ("venghino signori, venghino!") in qualche parco, uno è quasi pronto: il Pleistocene Park di 160 kmq in Iacuzia (Siberia), lungo il fiume Kolyma. Che importa se il povero mammuth del Duemila vivrà un'esistenza monca, come i replicanti di Blade Runner, come le Nexus 6 femmine "modello piacere". Dando piacere ai turisti, un frisson e via, verso altre emozioni, mai più senza, come le fodere leopardate per l'iPad e i deodoranti alla vaniglia per le cucce dei cani. È proprio un mondo a gambe all'aria: la specie umana distrugge la natura e poi la ricostruisce artificiosamente. Non riesce a impedire l'estinzione di specie di minime dimensioni e vuole clonare uno degli animali più grandi mai esistiti. Non sarebbe meglio conservare quello che c'è? La protezione di cultura e ambiente (siamo la super-potenza dei beni culturali), di parchi e paesaggio, spiagge e aree protette, è il business migliore. Una volta snaturati è finita, abbiamo strozzato la gallina dalle uova d'oro. L'unica speranza, in tempi di assurdo spreco e consumismo, è il recupero e il restauro: di un vaso, di un vestito, un libro, una piazza, un antico palazzo, un sentiero di campagna, una cascina, una curva di collina: tutte le cose belle devono essere restaurabili, anche un rapporto, un sentimento, un'amicizia, un ricordo o la quiete di un bosco e di uno sguardo. Dobbiamo salvare la grazia che è in noi e intorno a noi, negli oggetti e nelle cose che danno armonia. Restauro: è ristoro, fuga dal disordine e dal consumismo, difendersi dall'inutile, dai "libri senza parole e dalla musica che non ha orecchi", dalle brutture. È lotta contro la volgarità, contro l'incuria e il cinismo, contro la produzione seriale e l'alluminio anodizzato, lotta contro il cancro dell'arroganza e dell'eternit, contro la rapacità del denaro, del consumo e dei sentimenti. È sopravvivenza, è difesa di ciò che è unico, non seriale, irripetibile; come un sorriso vero, non plastificato. Finché c'è difendiamoci, concentriamo le forze prima che tutto questo scompaia... e lasciamo i mammuth alla criptozoologia.

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