Il Mar Mediterraneo è stato definito "hot spot del riscaldamento degli oceani" da molti studi condotti, nel 2020, da alcuni ricercatori italiani del Centro ricerche ENEA che hanno rilevato un elevato tasso di riscaldamento e un'elevata variazione di salinità.
I ricercatori, ad esempio, hanno misurato la temperatura nei Mari Ligure e Tirreno e hanno notato un progressivo riscaldamento negli anni, dello strato tra 200-700 metri di profondità. Oltre il 90% del calore del cosiddetto riscaldamento globale finisce nelle acque marine. Mare più caldo significa maggior contenuto termico che può essere scambiato con l'atmosfera con effetti pesanti anche sulla terraferma.
Correlato a questo fenomeno c'è anche l'aumento dell'acidificazione delle acque dovuto all'assorbimento dell'anidride carbonica atmosferica con effetti negativi sulle forme viventi marine, in particolare dei coralli e dei molluschi i cui gusci diventano più fragili e si sono notati anche cambiamenti nei cicli vitali di alcuni pesci. Questo fenomeno è molto rapido e quindi le specie marine non riescono ad adattarsi.
Anche il WWF, in occasione della Giornata mondiale degli oceani (l'8 giugno di ogni anno) ha lanciato l'allarme sottolineando che quasi mille specie aliene si sono adattate a vivere nel Mediterraneo.
Per esempio, lo Ionio nel 2019 ha visto una diffusa introduzione del pesce leone, arrivato dal Canale di Suez e spostatosi anche a causa dell'aumento delle temperature nel Mediterraneo orientale. Questo perché il surriscaldamento delle acque oceaniche porta molte specie marine a spostarsi verso acque più fredde, con una tendenza segnalata in diverse parti del mondo.
Il WWF afferma inoltre che il cambiamento climatico ha trasformato alcuni dei più importanti ecosistemi marini del Mediterraneo con conseguenze economiche sulla pesca e sul turismo. Sempre il WWF suggerisce di aumentare la superficie di mare protetto e di arrivare almeno al 30% entro il 2030. In questo modo si aiuta l'ecosistema ad adattarsi e a ripristinare le biodiversità.