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Pandemia e emergenza climatica

L'emergenza sanitaria rappresenta un'occasione per meglio comprendere le dinamiche delle emissioni di gas serra e per indirizzare le politiche di recovery verso la costruzione di una società più equa, rispettosa dell'ambiente e capace di coniugare sviluppo e dimensione sociale, secondo gli obiettivi dell'Agenda 2030.

  • Renata Pelosini, ARPA Piemonte
  • Dicembre 2020
  • Sabato, 2 Gennaio 2021
Il centro di Torino deserto durante il primo lockdown  - p.g.c. ARPA Piemonte Il centro di Torino deserto durante il primo lockdown - p.g.c. ARPA Piemonte

Gli effetti su vasta scala e in tutti i comparti socio-economici che la pandemia sta determinando, associati alla crescente consapevolezza che le politiche di ripresa devono prevedere una trasformazione profonda della società, suggeriscono alcune riflessioni che accomunano la crisi pandemica e l'emergenza climatica. Entrambe hanno alla base un rapporto con la natura alterato e un modello di sviluppo incurante delle esternalità ambientali negative. Quelle che seguono sono riflessioni sulle concause climatiche e ambientali che possono aver favorito la diffusione del virus e la sua propagazione dagli animali all'uomo, sull'effetto dei provvedimenti di lockdown sulle emissioni di gas climalteranti, su quanto la gestione dell'emergenza sanitaria abbia delle affinità con l'implementazione delle politiche di adattamento al cambiamento climatico e chiedano alla politica un modo nuovo di affrontare i problemi, su quanto le ripresa economica passi anche attraverso il contrasto al cambiamento climatico. L'attenzione all'emergenza climatica, quale sfida dominante del XXI secolo, sembra aver perso importanza di fronte alla pandemia e ai suoi effetti, basti pensare al rinvio della COP26 e l'effetto di rallentamento che potrebbe generare sulla transizione energetica. In realtà l'emergenza sanitaria rappresenta un'occasione per meglio comprendere le dinamiche delle emissioni di gas serra e per indirizzare le politiche di recovery e i finanziamenti collegati verso la costruzione di una società più equa, rispettosa dell'ambiente e capace di coniugare sviluppo e dimensione sociale, come indicano gli obiettivi dell'Agenda 2030.

L'origine

Superate le tesi che attribuiscono la genesi del Covid-19 alle attività di laboratorio, diversi studi concordano sulla presenza di una forte connessione tra la diffusione delle malattie emergenti e la perdita di biodiversità. Gli ecosistemi hanno infatti un ruolo fondamentale nel sostenere la vita sul nostro pianeta, ma anche nel regolare la trasmissione e la diffusione di malattie infettive. La distruzione dell'habitat naturale a opera dell'uomo rompe gli equilibri ecologici e riduce le barriere naturali al contagio. L'impoverimento della biodiversità favorisce il fenomeno dello "spillover", ossia il passaggio di un patogeno da una specie ospite a un'altra, in questo caso da animale a uomo, a causa della diminuzione delle specie intermedie e dell'aumento della connessione di ecosistemi originariamente separati. Il cambiamento d'uso del suolo, l'espansione e l'intensificazione dell'agricoltura, la globalizzazione esasperata del commercio e il consumo di fauna selvatica incrementano la probabilità che il fenomeno di spillover avvenga e nello stesso tempo che il contagio si diffonda determinando una pandemia. La relazione "snaturata" delle società dei Paesi sviluppati con l'ambiente, il vorace consumo delle risorse naturali, l'incapacità di riconoscere il valore del capitale naturale, uniti ad un modello di consumi negativo ha favorito la rottura di questo argine alle malattie infettive rappresentato proprio della natura e ha determinato il contributo antropico al riscaldamento globale, alla base del cambiamento climatico a cui stiamo assistendo.

La diffusione

I meccanismi di diffusione della pandemia sono ancora oggi oggetto di analisi scientifiche. Se le ipotesi sul ruolo del particolato atmosferico nella diffusione del contagio risultano sempre più deboli dal punto di vista scientifico, più plausibile sembra essere l'aumento del rischio di contrarre patologie respiratorie e infezioni acute delle basse vie respiratorie a seguito dell'esposizione all'inquinamento atmosferico, in particolare nei soggetti più fragili. I medesimi co-fattori determinano le fragilità rispetto alle conseguenze del cambiamento climatico: pensiamo ad esempio agli effetti sulla mortalità e sulla morbidità delle ondate di calore che colpiscono anziani, soli, in condizioni di difficoltà economica.

Inoltre, per una epidemia con contagio per via respiratoria, la presenza di agglomerati urbani ad alta densità abitativa, la frequenza e la vicinanza dei contatti, i continui spostamenti, la concentrazione delle persone negli stessi posti e negli stessi momenti, sono elementi che facilitano la diffusione della pandemia, ma la vulnerabilità delle città agli effetti del riscaldamento globale. L'invecchiamento della popolazione costituisce un altro aspetto che unisce l'emergenza sanitaria e la crisi climatica.

La visione urbano-centrica verso cui si sono spinte le politiche di pianificazione territoriale ha mostrato i suoi limiti: città fragili, poco resilienti agli effetti del cambiamento climatico come a quelli della pandemia, e la mancanza di un "patto" tra i grandi centri urbani e i borghi minori, le aree naturali, la montagna, ora considerate subordinate e funzionali all'alimentazione e alla sussistenza delle città stesse e come aree di svago e ricreazione dei suoi abitanti.

Gli effetti sulle emissioni

Le misure di contenimento della diffusione del virus COVID-19, in particolare nel lockdown, hanno contribuito a una riduzione importante delle emissioni dei principali inquinanti. Nella pianura padana le emissioni di ossidi di azoto hanno raggiunto una riduzione media massima di quasi il 40% a metà aprile, mentre le emissioni dirette di particolato atmosferico sono diminuite fino a una media massima del 20% a fine aprile.

Per quanto riguarda i gas climalteranti, la riduzione delle emissioni stimata a livello globale nell'anno 2020 rispetto al 2019, sarà intorno al 5.3%, con riduzioni più importanti nel trasporto terrestre (-15% circa) e aereo (-32% circa). In Italia diverse valutazioni indipendenti portano a una stima di riduzione superiore, tra l'8.8% e il 9.2%. Per avere un'idea dell'entità, basti pensare che l'8% rappresenta la riduzione annuale delle emissioni che sarebbe necessaria nei prossimi 10 anni per limitare il riscaldamento globale a fine secolo entro 1.5°C rispetto al periodo preindustriale.

La riduzione delle emissioni di gas climalteranti sono tuttavia a carattere assolutamente temporaneo: nella storia dell'umanità la ripresa successiva alle crisi economiche ha sempre visto un loro incremento, spesso a livelli superiori al periodo pre-crisi. L'auspicato disaccoppiamento tra crescita economica ed emissioni potrà essere perseguito solo se si cambia profondamente il sistema energetico alla base della nostra organizzazione sociale ed economica. L'avanzamento tecnologico, associato a investimenti mirati e ai nuovi comportamenti che da questa crisi si sono sperimentati in termini di mobilità, di esigenze superflue, di utilizzo del tempo, di ottimizzazione del lavoro, potrebbe portare a un abbassamento dell'intensità di emissioni significativo e strutturale.

La gestione della crisi pandemica e l'adattamento al cambiamento climatico

Trovarsi di fronte a una situazione inedita quale quella della pandemia, che non gestita avrebbe avuto conseguenze ancora più drammatiche, rappresenta una condizione per alcuni versi simile a quella di doversi proteggere dagli effetti negativi del cambiamento climatico che, superati i punti di non ritorno, potranno mettere in discussione la vita stessa sulla terra, almeno come la conosciamo noi. Se l'emergenza sanitaria è stata una sorpresa, il cambiamento climatico è invece largamente preannunciato. Eppure, anch'esso viene sottovalutato e i suoi effetti tendono a essere ridimensionati o allontanati nel tempo, perché affrontarli richiede un cambiamento profondo e la messa in discussione di principi e logiche del nostro modello di sviluppo.

E' necessario pianificare un nuovo modello di convivenza sociale, di lavoro, di relazioni, con l'inclusione dei portatori di interesse nelle decisioni, di chi influenzerà e sarà influenzato dalle misure adottate, vuoi per adattarsi al cambiamento climatico, vuoi per incrementare la resilienza alla diffusione di malattie infettive emergenti, costituisce un tassello fondamentale per costruire l'accettazione del contesto esterno e rendere le azioni efficaci.

Le affinità esistenti nell'affrontare la crisi climatica e quella sanitaria, non si limitano però solo alla metodologia e agli strumenti. Esistono vere e proprie misure, da includere ad esempio nei piani di adattamento al cambiamento climatico delle aree urbane, che rappresentano anche misure per la riduzione, la gestione e il contenimento delle emergenze epidemiologiche. Pensiamo agli interventi per la sorveglianza e l'assistenza ai soggetti fragili, alla protezione sociale, alla sburocratizzazione dei processi amministrativi, agli interventi strutturali, permanenti e a larga scala di greening urbano, al ripristino degli ecosistemi degradati. Fondamentali anche l'adozione di una mobilità diversa, di forme di lavoro flessibile, di iniziative culturali e formazione on-line, così come la necessità di superare il digital divide, la semplificazione di accesso ai servizi, pubblici e non, l'esigenza servizi territoriali, dalla sanità al verde di prossimità. Anche i parchi e le aree naturali protette possono giocare un nuovo ruolo attivo, non solo per la funzione che ricoprono in termini di tutela dell'ambiente naturale e della biodiversità.

Per concludere...

Lo shock macroeconomico legato ai provvedimenti d'urgenza adottati per limitare la diffusione del contagio è stato senza precedenti in tempo di pace. Importanti saranno le conseguenze a lungo termine della pandemia sull'economia mondiale e sulla geopolitica nonché sui comportamenti umani, in particolare sugli spostamenti e sul modo di interagire con l'ambiente circostante. Oggi, delineare concretamente le azioni di adattamento al cambiamento climatico, sottolineando quelle misure che più contribuiscono agli obiettivi del Green Deal Europeo e che possono essere intraprese con più forza grazie alla politica del post-emergenza sanitaria, attuarle e portarle a compimento, determinerà un incremento della resilienza anche rispetto alla diffusione di malattie emergenti e potrà dare una svolta all'attuale tendenza al riscaldamento globale.

Le linee strategiche del governo per l'utilizzo del NextGenerationUE, il cosiddetto Recovery Fund, mirano a una "transizione green, smart and healthy" e prevedono un investimento importante per la rivoluzione verde e la transizione ecologica, che unito a quello per le infrastrutture per la mobilità sostenibile, supera il 60% delle risorse disponibili. Una opportunità unica che mira a rendere reciprocamente virtuose le politiche di ripresa e quelle per la decarbonizzazione e conciliare gli obiettivi ambientali e quelli di contrasto all'impoverimento sociale. Opportunità il cui processo di attuazione dovrà essere presidiato affinché i progetti e le misure siano coerenti, abbiano obiettivi di medio-lungo termine, non determinino esternalità negative ma siano connotate da un approccio win-win e ricadute quantificate.

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