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Educare, l'unica via possibile

Come viene vissuto e interiorizzato il concetto di ambiente? Che importanza diamo alla cura delle relazioni fra le persone? Che tipo
di rappresentazione mentale abbiamo dell'ambiente nella nostra società? Come viviamo nel quotidiano il rapporto con le cose che ci circondano?

Per celebrare la Giornata mondiale della Terra proponiamo - dal nostro archivio - le riflessioni di persone con importante esperienza in campo ambientale, intervenute durante una Tavola rotonda sull'educazione organizzata dalla redazione di Piemonte Parchi

  • Enrico Massone
  • Gennaio 2009
  • Giovedì, 13 Aprile 2017
Educare, l'unica via possibile

Oggi c'è una grande offerta di informazione sui temi ambientali. Rispetto a dieci anni fa, giornali e reti televisive richiamano la nostra attenzione e parlano, discutono, riflettono su questioni di fondamentale importanza per la nostra stessa esistenza come il riscaldamento
globale o le catastrofi ambientali, sempre più frequenti a livello planetario.
All'abbondanza di segnalazioni e avvisi, non corrisponde però una risposta adeguata, anzi fra la gente si nota un debole sviluppo della consapevolezza e solo pochi si preoccupano di adottare nuovi stili di comportamento, improntati a una migliore educazione ambientale. Questo è il punto di partenza con cui Enrico Camanni ha aperto la Tavola rotonda dal titolo "Educare: l'unica via possibile. La vera sostenibilità ambientale è un'acquisizione culturale", svoltasi la scorsa primavera a Torino.

Nella premessa ricca e articolata, Enrico Camanni ha parlato di attitudini e retaggi profondamente radicati nella mentalità, come ad esempio il concetto di patrimoine che in Francia designa un'eredità culturale, un bene culturale o ambientale di cui è proprietaria
l'intera collettvità, mentre in Italia il termine appartiene alla sfera privata e indica i beni materiali di una singola persona o di una famiglia. L'impegno personale diventa cruciale per il nostro futuro, nel momento in cui le minacce dei cambiamenti in corso non suonano più come allarmistiche previsioni di ecologisti militanti, ma sono largamente riconosciute a livello mondiale.

Come viene vissuto e interiorizzato il concetto di ambiente? Che importanza diamo alla cura delle relazioni fra le persone? Che tipo di rappresentazione mentale abbiamo dell'ambiente nella nostra società? Come viviamo nel quotidiano il rapporto con le cose che ci circondano? E' ancora valido l'assioma "pensare globalmente - agire localmente"?
O invece è meglio pensare e agire contemporaneamente su più registri, caricandoci della complessità di rapporti interscalari? Il campo dell'educazione ambientale, ampio e articolato, fa sì che ciò che è buono in un posto non lo sia in altri e viceversa: ci sentiamo più vicini a persone che abitano fisicamente molto lontano e con cui siamo accomunati da stili di vita simili, piuttosto che a vicini di casa di cui ci sentiamo diversi culturalmente. All'eccesso di un'informazione offerta da una molteplicità dei media, non corrisponde un analogo sviluppo dell'educazione intesa come consapevolezza.
Non si tratta solo di evitare il peggio, ma di fare meglio, trasformando i suggerimenti e i consigli proposti in comportamenti individuali virtuosi, ma sembra che oggi questo non avvenga.

«Dobbiamo uscire dall'idea che l'educazione ambientale sia un problema dei soli educatori, perché investe l'intera società», afferma Boris Zobel, e ricorda che ai tempi della civiltà contadina c'era una continuità basata sull'esempio: non solo la scuola, ma l'intera società aveva bisogno di garantirsi la continuità. Il territorio svolgeva un ruolo primario per la sopravvivenza, era un bene comune continuamente negoziato ed era indispensabile conoscere le fasi del ciclo naturale. Invece ora che il mondo appare più complesso, i problemi dell'educazione sono percepiti unicamente dagli educatori e sembra che i responsabili della società non si preoccupino affatto delle sorti del futuro comune.
Sembra che l'azione informativa sia il mezzo sufficiente a declinare la responsabilità, perché attraverso la diffusione il problema diventa condiviso e la sua risoluzione appartiene ad altri. Il senso dell'educazione ambientale è progettare programmi, azioni e lavori in sintonia con le politiche sulle problematiche sociali, ma «c'è una correlazione tra l'informazione sull'ambiente naturale, molto forte in Italia, e le scelte politiche in campo ambientale?».

Interviene Carlo Bonzanino; dopo l'analisi del lavoro svolto in circa vent'anni di attività, dice che «le intrinseche potenzialità dell'educazione ambientale quale cornice e supporto alle tradizionali "politiche" di tutela caratterizzate, risentono ancora di una debole e non convinta intenzione da parte di chi, per ruolo, investitura e responsabilità potrebbe maggiormente valorizzare l'educazione a una cultura ambientale sostenibile. Un'azione di sensibilizzazione efficace richiederebbe più personale dedicato, allineato e coeso su un'idea di fondo condivisa, in grado di fare "massa critica" sulla società.
Richiederebbe investimenti cospicui, segno evidente di un riconoscimento della sua importanza al pari degli interventi infrastrutturali o di tipo normativo e dovrebbe beneficiare, soprattutto, della carica, della spinta interiore che può derivarle solo da una "filiera corta" fra l'organo politico e la struttura tecnica, fra chi individua e orienta le "politiche" e chi le attua. L'inconsistenza sostanziale di queste condizioni produce un'azione complessivamente debole, eccessivamente frantumata e dispersa, con molti attori pubblici e privati a carattere associativo, spesso in concorrenza fra loro; un'azione che non è riuscita ancora ad acquisire quel credito e a superare una soglia minima in grado di garantire maggiore attenzione, conoscenza e adesione da parte della collettività in tutte le sue espressioni. La contestuale difficoltà di verificare l'efficacia effettiva, se non in tempi lunghi, di una "politica" cornice in materia di educazione ecosostenibile nonché delle azioni intraprese o potenzialmente sviluppabili, che vada al di là di una generica conoscenza dei problemi ambientali e dell'adozione di buone pratiche individuali, contribuisce ulteriormente a rendere marginale l'educazione ambientale, innescando un processo negativo a catena».

Per Vittorio Cogliati Dezza, i risultati delle decisioni nel campo della politica ambientale sono sotto gli occhi di tutti. «Una politica che va nel senso opposto a quello auspicato dall'educazione: l'Italia ha investito nell'edilizia come volano economico e questo significa
disordine urbanistico, aumento della mobilità, consumo di suolo e riduzione delle aree verdi. Un altro ambito è dato dalla cultura antropologica diffusa con la quale occorre confrontare. Nel nostro paese c'è un senso diffuso di precarietà e insicurezza che si oppongono a progetti di lungo termine e all'idea stessa di futuro. Oggi il mondo ambientalista e quello dei parchi non è più capace di proiettare la desiderabilità fra i giovani, e quando l'insieme dei valori proposti non viene condiviso, diventa difficile trasmettere l'aspirazione al futuro che s'intende costruire.
Al senso di cooperazione e solidarietà emerso negli anni Sessanta, e ormai tramontato, si lega la mancanza di una cultura del terriorio diffusa, perché la gente s'incontra poco e si confronta sempre meno. Occorre chiedersi quali sono i valori per i giovani oggi. Occorre distinguere, far chiarezza per individuare a chi è affidata l'educazione: alla scuola o al territorio? Sicuramente l'educazione ambientale è più sviluppata in ambito scolastico, con maggiori realizzazioni e sperimentazioni, mentre sul territorio la situazione si complica ed è necessario adottare approcci differenti in rapporto ai luoghi e ai contesti, perché esistono notevoli disparità fra una zona di montagna o un quartiere di periferia, fra chi vive nelle grandi città e chi abita in un paesino. Lo svolgimento di iniziative educative favorisce i parchi naturali che risultano frequentati da persone consapevoli di entrare in un sistema qualificato riconosciuto e riconoscibile, anche se negli ultimi anni la politica delle aree protette, a livello nazionale, ha fatto passi indietro».

Giogio Osti, pensa che «la nostra società abbia perso il senso della ciclicità della natura e risponda alla paura della complessità cercando di organizzare la realtà in unità discrete fruibili, un atteggiamento che investe tutti i livelli di vita. La nostra prima preoccupazione è separare, catalogare, inquadrare. Comperiamo confezioni di prodotto monouso (discrete) da utilizzare in modo individuale per ricevere una sensazione di benessere e di controllo materiale della realtà. Alla gente piace manipolare le cose, ma se non si divide in pezzi, in unità semplici, non si riesce ad assemblare e a dimostrare la propria abilità creativa. Coloro che dividono un bene collettivo in tante parcelle, ne ottengono l'esclusiva e quindi potranno trarne un guadagno. La tendenza alla parcellizzazione risponde ad esigenze profonde dell'uomo che bisogna comprendere. In una società dove tutto viene commercializzato, anche i parchi e l'educazione ambientale
sono inseriti nel processo di discretizzazione della realtà, al pari di altri pacchetti di offerte, e sono venduti a soggetti che li fruiscono in perfetta coerenza con la differenziazione dei beni di consumo».

L'incontro si conclude penetrando nella problematica educazione/aree protette. Sercondo Zobel «Il problema è che oggi la gente non crede in tutto quello che sa. L'ecoturista si aspetta di trovare nel parco una connotazione estetica coerente con l'ambiente e con la natura. Per soddisfare le sue esigenze si costruiscono case con pietre a vista o in legno, facendo arrivare il materiale da luoghi molto distanti, magari dal Canada, perché gli alberi del parco sono tutelati e non si possono abbattere, mettendo in evidenza come alla logica estetica non corrisponda una coerenza ecologica. Il parco è un luogo dove le condizioni per superare simili contraddizioni sono più favorevoli che nel resto del territorio. Se troviamo il modo di affrontarle il parco si trasforma in un ambiente di grande valore educativo, dov'è possibile svolgere un'attività didattica con congruenze che attualmente non possiede neppure il mondo della scuola». L'obiettivo di una tavola rotonda che affronta un tema articolato e complesso come questo dell'educazione ambientale non è certo giungere a una concordanza di vedute o a conclusioni condivise, ma di ampliare lo scenario delle conocenze e delle interpretazioni, di favorire il confronto delle idee e delle esperienze. L'intento è dunque stimolare il dibattito, far discutere e suscitare l'interesse dei cittadini più sensibili e responsabili, che nella realtà quotidiana sono i protagonisti e gli organizzatori di iniziative e attività concrete.

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