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Qualcuno “rubò” nel nido del cuculo

La storia di un cacciatore di uova che dona la sua collezione al Museo di Scienze Naturali di Torino. Un prezioso scrigno di dati presto raccontato da una mostra

  • Caterina Gromis
  • novembre 2010
  • Martedì, 2 Novembre 2010

Una volta tanto all'Italia dei naturalisti non tocca inchinarsi al cospetto di quei paesi invidiabili, quali America e Inghilterra, dove le scienze naturali non sono hobby ma cultura. Grazie a delle uova. Per la precisione 8000 uova, contenute in sette anonimi mobiletti dotati di numerosi cassetti. Si tratta di una collezione completa di uova e covate degli uccelli italiani, risultato di un'intera vita di raccolta, che ebbe il suo momento culminante negli anni in cui era normale andar per nidi anziché guardare la tv. Il collezionista si chiama Aldo Pazzucconi, tassidermista dell'Oltrepo pavese che vive a Broni: prossimo ai novant'anni ha destinato il suo lavoro al Museo di Scienze naturali di Torino e alle cure di Giovanni Boano, ornitologo di fama e amico degno della sua fiducia. A Boano oggi tocca catalogare per conto del museo questo prezioso scrigno di dati, rendendoli disponibili attraverso la moderna tecnologia della rete informatica. Quando il museo potrà togliere dai cassetti queste uova e organizzare in loro onore una mostra, quella che oggi è un'importante acquisizione scientifica svelerà al pubblico anche il suo straordinario valore espositivo e didattico. L'uovo come simbolo di vita diventò oggetto da collezione nell'Inghilterra vittoriana: dono degno degli zar, legato ai temi della Pasqua, tanto più diventava prezioso quanto più era raro. Le uova di struzzo e di chissà quali pollastroni erano articoli di lusso, curiosità naturali da raccogliere e conservare. Prendendo sul serio questa tendenza giocosa a raggruppare gli oggetti, il passo verso le collezioni scientifiche fu breve. E il collezionismo di uova in Inghilterra si diffuse tanto da diventare nocivo per le specie rare, facendole diventare ancora più rare e quindi sempre più richieste, in un perverso circolo vizioso. La domanda del profano di oggi, tempi in cui gli animali sono ideologicamente più protetti che predati, è se la collezione scientifica abbia un senso. L'esperto in museologia (Giovanni Boano è direttore del Museo di Storia naturale di Carmagnola) a proposito delle uova sciorina esempi. Uno, importante, è del passato recente: gli studi sui danni del DDT furono portati avanti analizzando le uova di falchi pellegrini conservate nei musei inglesi, dove l'effetto dei tempi del veleno è dimostrato dai gusci sempre più sottili.
A proposito della collezione di Pazzucconi, Boano riceve studiosi per lavori sull'evoluzione. Uno comporta l'uso di strumenti moderni per la misurazione delle variazioni di colore delle uova, legate agli adattamenti all'ambiente. Un altro riguarda i tempi di deposizione del cuculo: recuperando i dati di tutte le collezioni europee, le variazioni delle date di cova in relazione ai cambiamenti climatici rientrano in campi di studio attualissimi. Non sono più i tempi per una collezione fine a se stessa, ma fino a non molti anni fa in campagna quasi tutti andavano a caccia, i ragazzi in primavera cercavano le nidiate e i contadini sparavano nei nidi dei rapaci considerati nocivi. In questa atmosfera, tra gli anni '60 e '70 del secolo scorso Pazzucconi ha raccolto il maggior numero di uova e nidiate della sua collezione – che non a caso è ricchissima di passeriformi – la più completa in Italia per questo gruppo di uccelli. Vicino a Broni, dove vive, era facile per i contadini recuperare per lui il necessario tra i campi di grano e nelle vigne, e i ragazzini si facevano vanto di portargli le covate di averle e zigoli che trovavano nelle scorribande in campagna. Non è possibile ottenere risultati così belli per caso, recuperando nidi rovinati dopo che ci sono cresciuti i piccoli: una collezione scientifica prevede il sacrificio dell'intera covata quando il nido è fresco e le uova appena deposte. Per conservarle poi bisogna svuotarle bene. Pazzucconi ha insegnato a Boano ad usare un trapanino da dentista: si deve fare un buco netto, poi si inietta acqua per fare uscire il tuorlo e ancora acqua finché cola fuori anche l'albume. In questo modo il simulacro dell'uovo è pronto per essere catalogato, cassetto per cassetto, scomparto per scomparto, sacchetto per sacchetto, con la massima attenzione a non mescolare le cose inquinando la preziosità dei dati. Le uova storiche conservate al museo di Torino hanno molto da invidiare a quelle di Pazzucconi: i naturalisti di un tempo non andavano tanto per il sottile e spesso non le svuotavano a dovere, lasciando ai posteri marciumi e putredini oltre che storia. Aldo Pazzucconi offre ai posteri cultura: da tassidermista ha collaborato per molti anni con il Museo di Storia naturale di Milano, è andato in giro in lungo e in largo con Moltoni che di quel museo è stato responsabile e ha ricevuto sostegno, oltre che dalla gente semplice, anche dalle istituzioni. Quando l'università di Pavia organizzò uno studio sugli ardedi e i limicoli delle valli di Comacchio, le decine di covate andate a male a causa dell'acqua alta furono per lui. Nei bigliettini che accompagnano ogni dato raccolto, spesso ci sono solo la data e la località, ma a volte anche appunti che raccontano storie. Boano si entusiasma davanti a un nido di occhiocotto, il primo trovato in Lombardia. Da una nota vergata a mano dall'autore si scopre che trovò il reperto con i piccoli tutti morti dopo un forte temporale, e che era in compagnia di Moltoni e di Sevesi. L'immaginazione corre alla spedizione in campagna dei tre personaggi, dopo la pioggia. Aldo Pazzucconi ha scritto anche un libro edito da Calderini nel 1997: Uova e nidi degli uccelli d'Italia. Qui si rivela la sua conoscenza sulle abitudini dei pennuti e la sua pazienza di osservatore. Boano conferma che è stato il primo in Italia a riconoscere gli uccelli dal canto. Non vuol dire solo tre o quattro specie: gli uccelli canori sono tanti, e gli innumerevoli canti compongono un'orchestra di tale varietà che anche un orecchio esperto, ma non allenato, si confonde. Pazzucconi è stato grande maestro di nidi artificiali. Tutti i nidi che ha costruito e piazzato sono stati abitati, e non per caso.
E poi è stato un principe dei ladri, capace anche di rubare il nido all'usignolo di fiume, che sa nascondersi nella vegetazione come nessuno. Anche andar per nidi è un'arte: non è da tutti spiare per un anno o due l'andirivieni dei genitori che nutrono i piccoli, tener conto dei tempi e dei luoghi, saper aspettare senza demordere, fino a scovare le uova più nascoste e intanto scoprire tutto di chi le fa. Nella collezione ci sono alcuni scomparti dedicati al cuculo, specialista nell'arte del raggiro. Il suo uovo, preparato vicino quelli dei possibili ospiti, dimostra quanto bene li imita per forme e colori. Per la cannaiola, il pettirosso, la sterpazzola, la ballerina, è quasi indistinguibile. Solo con il passero, evidentemente più distratto, il cuculo può fregarsene: l'uovo che depone nel suo nido è una copia dell'originale un po' più grande e sbiadita rispetto al modello. Il passero non se ne accorgerà, e il giovane parassita farà subito giustizia di quelle uova che potrebbero smascherarlo. L'uccello "mito" di Aldo Pazzucconi è proprio il cuculo, che cerca e trova i nidi degli altri come lui. Ore e ore a spiare i movimenti dei volatili, a imparare il senso del loro linguaggio, a mettersi nei loro panni, pronto a rubare l'uovo appena viene deposto, ingombrante fardello che sarebbe di troppo impaccio alle normali attività di volo. E poi magari a interrogarsi sul senso dell'uovo con piglio un po' diverso, né storico né scientifico, ma degno del Cyrano de Bergerac:
"Come fare le tartine mandorlate: Batti sin che spuma muova un par d'ova; versa nella spuma e molci con succo di cedrato prelibato"
(traduzione di Mario Giobbe, edita nel 1898).

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