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Una pianta non è un'isola

Conversazione con Paola Bonfante - professoressa emerita del Dipartimento di Scienze della vita e Biologia dei sistemi dell'Università di Torino - che, insieme a Caterina Visco, è autrice del libro Una pianta non è un'isola - Alla scoperta di un mondo invisibile. 

  • Luca Giunti
  • Maggio 2022
  • Lunedì, 6 Giugno 2022
Copertina del libro e foto dell'autrice Copertina del libro e foto dell'autrice

Ho bisogno di qualcuno che mi indichi la strada

la ragazza del futuro forse l'ha trovata

Cesare Cremonini


In un bel pomeriggio di primavera busso a una porticina poco appariscente che, come in "Corte Sconta detta Arcana" di Hugo Pratt, conduce in luoghi magici e nascosti nonostante sia vicina al Po e al centro di Torino. La stessa sensazione ha colto Caterina Visco, giornalista e divulgatrice scientifica, quando è entrata per la prima volta all'Orto Botanico di Torino per iniziare la stesura del libro Una pianta non è un'isola - Alla scoperta di un mondo invisibile ( camera-2112207 960 720con la professoressa Paola Bonfante. Ora sono qui per parlare con l'autrice ma non posso dimenticare che è stata mia docente di biologia vegetale nel corso di laurea in scienze naturali.

Professoressa Bonfante, com'è nato il libro? E perchè dovrebbe interessare i nostri lettori?

Non avrei pensato di scrivere un libro ma quando una gentile redattrice della casa editrice "Il Mulino" me lo ha proposto e ho risposto che lo avrei potuto fare solo parlando delle ricerche che ho seguito per 50 anni, cioè di quei "granellini di sabbia" che solo apparentemente appaiono insignificanti ma sempre di più rivelano aspetti non solo affascinanti ma importantissimi per il mondo di oggi: le micorrize e il loro universo, naturalmente. Con Caterina abbiamo dunque provato a rendere visibile una realtà che è invisibile per due ragioni: perché è sottoterra e perché è microscopica. Dovrebbe bastare questo al lettore di Piemonte Parchi, che è per definizione curioso e sempre alla ricerca di nuove lenti per osservare la natura durante un'escursione.

Perchè dovremmo conoscere di più le micorrize? È un vezzo da naturalisti o è necessario?

Non è soltanto un vezzo. Quando ho cominciato nel 1970 mi chiedevo davvero – grazie alle lungimiranti idee di Beniamino Peyronel qui a Torino si studiavano già le micorrize – a chi potessero interessare nel resto del mondo. Ci sono voluti anni perché si comprendesse la loro importanza. La scienza ha anche bisogno di una certa massa critica per indirizzare la ricerca: oggi questa consapevolezza è più diffusa e non abbiamo dubbi che il processo micorrizico è uno degli eventi ecologici più pervasivi del Pianeta.
Se pensiamo che delle 390mila piante censite, almeno il 90% è associato a funghi micorrizici molto diversi tra loro e che quindi colonizzano praticamente tutti gli ambienti, allora il salto che gli ecologi hanno fatto – anche grazie al nostro lavoro – è quello di comprendere che le comunità vegetali dipendono proprio da quei microrganismi, da quello che c'è sotto. È cambiato proprio l'approccio. Non più solo quel granellino, ma tutto il collante intorno che tiene insieme quella sabbia. Naturalmente il miglioramento delle strumentazioni microscopiche, lo sviluppo delle metodiche di sequenziamento e l'uso dei big data hanno favorito lo sviluppo della ricerca degli ultimi anni.

Studiare la rete sotterranea delle piante può aiutarci a essere più sostenibili nei confronti del Pianeta? 

Il principio Socratico vale sempre! Anche e ancor più nel nostro periodo storico. In merito alla sostenibilità possiamo dire che, ovviamente, tutte le piante hanno un disperato bisogno di acqua ma che le varietà selezionate finora dall'uomo a scopi alimentari e commerciali (la "rivoluzione verde") non si sono mai dovute scontrare con la scarsità d'acqua e, in generale, con i limiti del Pianeta. Oggi siamo costretti a riconsiderare la loro adeguatezza a risorse sempre più incerte e anche lo studio delle micorrize può aiutare a identificare nuove varietà. Molti esperimenti sono in corso in varie zone del mondo e, anche se i risultati non sono del tutto omogenei o convincenti, emerge che le piante associate ai funghi simbionti resistono meglio ai periodi di siccità. Naturalmente un conto sono i risultati prodotti in laboratorio, cioè con un approccio riduzionistico, un conto le verifiche in pieno campo con approccio olistico. In questo senso, "so di non sapere" mantiene tutta la sua coerenza.

La ricerca della vita su altri Pianeti dovrebbe cercare, più che omini verdi, cellule verdi? Più che un Marziano, un Nostoc?

Certamente il grande pubblico immagina che le missioni spaziali si sforzino di trovare, come prova di esistenza di altre vite, animali. In realtà il primo elemento, indispensabile a ogni vita, è l'acqua allo stato liquido e questa sembra non essere così frequente, almeno finora. È ghiacciata, spesso in straterelli sottili, quasi inutilizzabile. Se ci fosse, allora effettivamente un cianobatterio azotofissatore come Nostoc potrebbe essersi evoluto - naturalmente se è presente anche l'ossigeno. Altrimenti dovremmo andare ancora più indietro e cercare i batteri primigeni, come è successo sulla Terra 3 miliardi e mezzo di anni fa...

Parlando di Lynn Margulis, nel libro si cita che la simbiosi è donna. Qual è il ruolo femminile nella ricerca?

Mi piace tanto questa domanda! Margulis è stata una straordinaria personalità, lei ha avuto l'intuizione di un fenomeno molto difficile da far digerire alla comunità scientifica perché in un momento in cui dominava il paradigma "DNA-RNA-Proteine" (era da poco stata scoperta la famosa doppia elica, nel 1954), era molto difficile accettare l'idea che potesse avvenire una trasmissione ereditaria legata non soltanto al nucleo, ma anche agli organelli come mitocondri e cloroplasti. Lei, che pure non aveva tantissimi dati sperimentali e come strumenti usava la microscopia per descrivere la morfologia delle cellule, possedeva salda convinzione, tanta costanza e un certo fascino; scoprì che i centri dell'energia sono dotati di un proprio codice genetico e questo dimostra che hanno avuto origine fuori dalla cellula come batteri ancestrali isolati che solo in un secondo tempo vennero inglobati nella "nuova" cellula eucariotica. Alla fine riuscì a pubblicare la sua tesi di dottorato e da allora l'origine simbiontica delle cellule eucariote si è affermata. Quando oggi la leggiamo persino nei sussidiari delle scuole medie dobbiamo riconoscere il ruolo pioneristico di questa grande scienziata. Inoltre, la sua teoria ha sollevato un secondo problema, quasi filosofico, legato alla storia della scienza: nel periodo in cui imperava il neodarwinismo Lynn Margulis ha proposto che anche le simbiosi, le nuove simbiosi, potessero essere fonti di variabilità genetica e di novità biologiche sulle quali può agire la selezione naturale. La cellula eucariotica, il lichene, il nodulo azotofissatore sono esempi che racconto nel libro. All'inizio questa visione venne fieramente avversata dai neodarwinisti, perché contrastava – secondo loro – con uno dei loro dogmi, quello della sopravvivenza del più adatto, della fitness dell'individuo. Col tempo questi contrasti si sono smussati, alla luce di due considerazioni: da un lato, Darwin non poteva conoscere il mondo microscopico dato che nella sua epoca non esistevano gli strumenti adatti; dall'altro, la selezione naturale può accettare tranquillamente le simbiosi e operare su di loro come su qualsiasi altra entità o gruppo biologico.

Quando sono arrivata in università il corpo docente era prevalentemente maschile e noi giovani avevamo l'impressione di essere un po' come "ancelle", diciamo. Poi, piano piano, siamo aumentate, soprattutto qui a Torino – e sono stata tra le fondatrici dei primi gruppi "Donne e Scienza" nel 1977 - tanto che talvolta nei circuiti internazionali veniamo soprannominate Ladies from Turin o Turin Group Ladies. Bisogna anche dire che l'approccio scientifico non è troppo legato al genere: talvolta l'occhio può essere diverso non tanto su come si ottengono i risultati ma poi sulla lettura e sulla interpretazione. Mi ha sempre molto divertito notare che nel mio campo scientifico ci siano tantissime strepitose ricercatrici, da Nancy Moran che ha condotto studi fantastici sulle simbiosi di batteri che vivono dentro alcuni insetti, oppure Eva Kondorosi vincitrice del premio Balzan 2018 che ha fatto delle grandissime scoperte sul comportamento dei batteri all'interno dei noduli azotofissatori. Da naturalisti sappiamo che tra gli organismi viventi c'è più collaborazione di quanto comunemente si crede, che la lotta per la vita non è sempre spietata e feroce. Questa visione cooperativa, spesso ma non esclusivamente, è meglio evidenziata nei team dove lavorano le scienziate.

Nel tuo libro c'è un continuo riconoscimento a studi passati, anche torinesi o piemontesi. E così?

Newton diceva: possiamo vedere lontano perché sediamo sulle spalle di giganti! È così. Bisogna sempre riconoscere quanto fatto nel passato mentre oggi qualche giovane ricercatore tutto preso dal singolo risultato non sa riflettere o non ha il tempo per ragionare con maggior consapevolezza della nostra storia. Ho proprio da poco recuperato in un cassetto un episodio per un commento che mi ha chiesto l'Accademia dei Lincei su un libro scritto da Massimo Inguscio, Presidente del CNR fino a qualche mese fa. Dunque, uno dei fondatori del CNR, l'ingegnere Colonnetti del Politecnico di Torino, non aveva firmato l'adesione al fascismo quindi dovette lasciare l'insegnamento e riparò in Svizzera.
Quando tornò, partecipò alla Costituente e contribuì a formulare in particolare l'art. 9, dove c'è scritto che la ricerca è uno dei punti fondanti della Repubblica; nel Dopoguerra si occupò di riorganizzare tutta la ricerca scientifica italiana. Io sono entrata come borsista al CNR nel 1970 in quello che si chiamava il Centro di Studio sulla Micologia del terreno e allora mi è rimasta la curiosità di capire. Sono andata a scartabellare, proprio a gennaio di quest'anno, e ho scoperto che fu proprio Beniamino Peyronel a proporre di istituire un centro ad hoc destinato allo studio dei funghi del suolo. Colonnetti - che si occupava di fisica, di meccanica, della metrologia eccetera eccetera - gli ha dato il supporto e le strutture e nel 1950 viene fondato questo centro allora pioneristico. Dobbiamo ammirare ed essere riconoscenti sia alla lungimiranza di Peyronel verso un settore di ricerca innovativo sia alla fiducia che Colonnetti ha dimostrato verso una disciplina lontanissima dai suoi interessi e a un collega visionario, che ha anticipato il Wood Wide Web delle piante. Erano davvero dei giganti e noi ci appoggiamo a loro.

Insomma, come canta Pierangelo Bertoli: "Con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro!"...

Proprio così! La Val di Susa oggi ospita molte aree protette affidate all'ente di gestione delle Aree protette delle Alpi Cozie, dove lavoro, ed è uno dei territori che a cavallo tra Ottocento e Novecento è stato maggiormente esplorato dai botanici torinesi, soprattutto per merito delle nuove ferrovie. Raggiungevano a piedi la stazione di Porta Nuova e usavano il treno per raggiungere le località dalle quali partivano per sopralluoghi inimmaginabili per un escursionista medio odierno. Da qui, l'idea di organizzare il libro come una serie di passeggiate, in un periodo storico che le ha sostituite con imprese e performance che, in quanto tali, impediscono proprio di osservare i fiori o cercare le micorrize.

La proposta di organizzare i capitoli come passeggiate è qualcosa di facile che ognuno può fare ed è libero di guardare, fermarsi, pensare, riflettere. Non è l'idea del viaggio ardimentoso, della vetta da conquiestare, ma vuol dire disponibilità, apertura, voglia di vedere con quelli che io dico sono gli occhi fisici ma anche gli occhi della mente.

Il piccolissimo fungo citato a pagina 110 porta il tuo nome. Glielo hai dato tu?

Ovviamente no! Dominikia bonfanteae, sono troppo contenta! Mi ha commosso perché un ragazzo che ha studiato qui, Francesco Masurno, ha trovato una posizione in Polonia dove c'è una scuola di sistematica fungina, e un giorno mi manda un messaggio: "Guarda che ci hanno accettato il lavoro in cui definiamo una nuova specie". E non era un ricercatore proprio del mio gruppo, ma uno incrociato diciamo nei corridoi della facoltà come studente. Adesso stanno cercando risorse per sequenziare questa nuova specie.

Nel libro sono sparse molte citazioni di altri libri: possiamo intuire che hai una "radicata" passione per la letteratura?

Ho le lettere classiche nel cuore e ho cercato prima di mettere il mio mondo culturale nelle ricerche e adesso di coinvolgere i lettori nel mio contesto personale, certamente accademico, ma non solo. Sono appassionata di letteratura, di arte, di cinema, di linguaggio, e quindi sono contenta che questo mio mondo possa trasparire durante il racconto. Ho sempre visto le micorrize come delle sorelle, come delle Piccole donne, come se fossero di famiglia, ciascuna con il suo carattere, i suoi pregi, i suoi misteri.

Avvertenze dell'intervistatore

1. Il libro contiene molte definizioni e notazioni scientifiche. A prima vista può sembrare un po' ostico ma approfondire e conoscere meccanismi e linguaggi specifici è una chiave indispensabile per apprezzare ancora meglio la natura che ci circonda, le sue straordinarie interconnessioni. E poi se declamate ad alta voce alcune espressioni come acidi organici alifatici (pag. 33) o ioni fosfato polimerizzati (pag. 106) sono endecasillabi perfetti, mentre nomi come strigolattone o simbiosoma sono evocativi solo a pronunciarli.

2. Per conoscere meglio la professoressa Bonfante, qui è caricato il suo curriculum vitae mentre alcuni suoi interventi sono liberamente disponibili sul web (Giardino Segreto, GEO-GEO)

Quello che riportiamo qui sotto è quello avvenuto al Circolo dei Lettori di Torino. 

 

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