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Microplastiche nel Ticino: dal fiume all'uomo

Continua il nostro approfondimento sulle invisibili ma insidiose microplastiche e sulle conseguenze della loro presenza: partendo da studi effettuati sulle acque del Fiume Ticino, affrontiamo un problema che riguarda habitat e specie, compresa quella umana.

  • Elisa Allodi, Anna Sophie Winkler, Alessandro Balestrieri e Paolo Tremolada (Università degli studi di Milano, Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali)
  • Febbario 2022
  • Lunedì, 14 Febbraio 2022
 Nelle foto, in senso orario: un intestino di Xenopous aperto con una fibra che esce; larva della rana (Xenopous laevis) trafitta da una fibra di poliestere prese al microscopio elettronico a scansione, Università degli Studi di Milano Nelle foto, in senso orario: un intestino di Xenopous aperto con una fibra che esce; larva della rana (Xenopous laevis) trafitta da una fibra di poliestere prese al microscopio elettronico a scansione, Università degli Studi di Milano

Nel Ticino ci sono le microplastiche. Ne abbiamo già parlato in un precedente articolo riportando uno studio dell'Università degli Studi di Milano che aveva scandagliato il grande 'Fiume azzurro'. Oggi, quello che vogliamo fare è approfondire il tema, concentrandoci sui possibili effetti di queste particelle sull'ambiente fluviale e, più in generale, nei diversi ecosistemi, e sulla salute umana.

Trecentosettanta milioni di tonnellate (fonte PlasticsEurope, 2019) è la quantità recentemente raggiunta dalla produzione mondiale di plastica nell'arco di un anno per rispondere al fabbisogno della popolazione, e si pensi che "il peso" di questa popolazione non raggiunge i 300 milioni di tonnellate.

Dalle conclusioni tratte da una ricerca pubblicata su Science Advances (2017) e intitolata: "La prima analisi globale di massa di tutta la plastica prodotta" emerge che più del 50% della plastica prodotta diviene rifiuto nel giro di quattro anni, in parte disperdendosi nell'ambiente in quantità proporzionali alla carenza di politiche efficaci nella gestione dei rifiuti. Le strategie istituzionali volte al riciclo e alla raccolta differenziata sono soprattutto orientate a evitare che i rifiuti plastici si disperdano in ambiente, ma non sempre avviene efficacemente.

Dove vanno a finire i rifiuti di plastica?

La dispersione ambientale dei rifiuti in plastica ha il suo naturale termine nel mare. Da qualche anno, anche nell'area del Mar Mediterraneo è stato avvistato un Garbage Patch (cioè un accumulo di spazzatura che galleggia, simile a quello presente negli Oceano Atlantico e Pacifico) sito tra la Corsica e l'Isola d'Elba: si tratta di una massa inerte che si scompone e si riforma in alcuni periodi dell'anno, a seconda dell'andamento delle correnti marine.

È difficile calcolare esattamente quanti rifiuti vengono dispersi, ma si stima che tra i 5 e i 13 milioni di tonnellate di plastica, che rappresentano dall'1,5 al 4% della produzione mondiale, finiscano ogni anno in mare. Allarmante è la situazione dei fondali italiani, dove la plastica è stata rinvenuta in più del 70%, come evidenzia l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale per mezzo del progetto Medsealitter. Nel Mar Adriatico e nello Ionio, in media, i rifiuti ritrovati superano i 300 oggetti ogni km2, di cui l'86% è composto da plastica e in particolare plastica usa e getta (77%).

Gli oggetti di plastica che vediamo dispersi negli oceani, nei fiumi, sulle spiagge e nelle città, non sono però il solo problema ambientale: una nuova preoccupazione è anche la loro scomposizione e il loro deterioramento in frammenti sempre più piccoli fino a formare le cosiddette microplastiche: frammenti di dimensioni piccolissime e non visibili a occhio nudo (< 5 mm, secondo il National Oceanic and Atmospheric Administration - NOAA).

Il problema delle microplastiche

Le microplastiche sono le particelle che si formano principalmente attraverso la rottura e l'usura di oggetti di plastica più grandi (fibre sintetiche, reti da pesca, pneumatici delle auto) ma probabilmente non è nota a tutti una seconda tipologia di microplastiche, che comprende quelle appositamente create come componenti di prodotti di consumo (cosmetici, dentifrici e prodotti per la casa).

È stato visto come un singolo lavaggio di un capo sintetico in lavatrice possa rilasciare anche più di 1˙900 microfibre, che non vengono intercettate dal filtro e possono finire nelle acque (Browne et al., 2011). Analogamente, anche un prodotto cosmetico come uno scrub facciale, al suo risciacquo, può rilasciare fino a 10˙000-100˙000 microsfere.

Diventa quindi interessante accorgersi come anche il comportamento di un singolo possa incidere sulla riduzione delle microplastiche in ambiente; semplicemente vestendosi con indumenti in fibre naturali oppure utilizzando prodotti per la cura della persona e della casa senza microplastiche.

La vita delle microplastiche

Le microplastiche, una volta entrate nell'ambiente, si diffondono nei sistemi acquatici, distribuendosi lungo la colonna d'acqua in base alla forma e alla densità dei polimeri; possono galleggiare sulla superficie dell'acqua o portarsi in profondità, accumulandosi nei sedimenti del fondale. Questa variegata diffusione modula la disponibilità delle microplastiche e l'esposizione degli organismi acquatici che occupano i diversi habitat.
Influenzano la vita di molti esseri viventi, che ne sono condizionati senza poter opporre alcun filtro, anzi, per molti organismi, è proprio l'azione filtrante attraverso cui si alimentano che amplifica l'ingresso delle microplastiche nel loro sistema digerente, e da qui nella catena alimentare acquatica. Questo spiega perché le microplastiche si ritrovano nell'apparato digerente di una lunga lista di animali acquatici: dai piccoli invertebrati, ai pesci fino agli uccelli e ai grandi mammiferi che si alimentano in acqua. Le ricerche fin qui condotte hanno evidenziato che più di 690 specie acquatiche hanno ingerito nel corso della loro vita macro e microplastiche.

Microplastiche e habitat

A oggi, le indagini sugli effetti delle microplastiche e sul loro impatto biologico sono ancora limitate e vengono condotte principalmente in laboratorio: ne è quindi discussa l'attendibilità in relazione alla loro rilevanza ambientale. La maggior parte dei dati che oggi abbiamo, però, proviene dalle analisi dell'apparato gastrointestinale degli organismi e ci dicono che, una volta che le microplastiche vengono ingerite, si possono accumulare nell'apparato digerente e da qui espulse con le feci in modo più o meno efficace. Quando questo non avviene o avviene in modo non efficiente, le microplastiche, se presenti in grandi quantità, possono addirittura bloccare il tratto digestivo con esiti anche letali. Anche senza questi esiti estremi, se presenti nel tratto digerente, le microplastiche possono trasferirsi lungo la catena alimentare passando dalla preda al predatore; un esperimento condotto da Mattsson e altri ricercatori (2015) ha dimostrato che il passaggio diretto delle microplastiche dalle alghe verdi (Scenedesmus sp.), allo zooplancton (Daphnia magna), ai pesci (Carassius carassius).

Microplastiche e anfibi

Sebbene gli effetti negativi conseguenti all'esposizione a microplastiche siano stati registrati in numerosi organismi, sia terrestri, sia acquatici, è ancora poco conosciuto l'impatto di queste particelle su uno dei taxa più minacciati del Pianeta: gli anfibi. Una recente ricerca condotta congiuntamente dall'Università degli Studi di Milano e di Pavia e presentata a settembre 2021 al Congresso della Societas Herpetologica Italica ha indagato gli effetti delle microplastiche sulla rana di Lataste (Rana latastei, Boulenger 1879). Questa specie, endemica dell'Italia settentrionale e presente ancora in diverse aree tra cui il Parco del Ticino, è in forte declino, tanto da essere classificata dalla IUCN come "Vulnerable" ed essere inclusa negli Annessi II e IV della Direttiva Habitat (EC 43/1992). I ricercatori delle Università di Milano e Pavia hanno riscontrato che i girini della rana di Lataste esposti a basse concentrazioni di una miscela di microplastiche "ambientali", cioè ottenute da prodotti di uso comune, mostravano nelle prime fasi di vita effetti avversi molto marcati con addirittura un elevato tasso di mortalità. Fortunatamente, gli stessi girini a uno stadio più avanzato di sviluppo risultavano meno sensibili a queste sostanze.

Microplastiche e uomo

Le possibili implicazioni sulla salute dell'uomo, legate al trasferimento delle microplastiche attraverso la dieta, non sono ancora suffragate da dati ed evidenze sperimentali. La questione è di particolare interesse poiché l'essere umano si situa al vertice della catena alimentare ed è quindi maggiormente esposto al trasferimento dei contaminanti lungo questa.

Si stima che in Europa, attraverso un consumo medio di crostacei, una persona potrebbe arrivare a ingerire fino a 11˙000 particelle di plastica nell'arco di un anno, un'esposizione considerevole (Van Cauwenberghe e Janssen, 2014).
Da un nuovo studio condotto dall'Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dal Politecnico delle Marche nel dicembre 2020 è emerso inaspettatamente che frammenti di microplastiche sono stati ritrovati anche nella placenta umana, prefigurando la possibilità del trasferimento di queste particelle al feto.

Proprio per questa serie di incertezze sui rischi per la salute dell'uomo, lo scorso anno l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha esortato il mondo scientifico ad approfondire le conoscenze ancora molto frammentarie e di cui nessun dato ancora legittima conclusioni certe.

Dunque che fare?

È immaginabile che nei prossimi anni la presenza di microplastiche aumenterà notevolmente negli ecosistemi per effetto del continuo aumento nella produzione di plastica e del suo progressivo accumulo. Così come è altrettanto importante ricordare che ogni individuo può, col proprio comportamento, contribuire a un'inversione di tendenza compiendo dei piccoli gesti quotidiani. Ad esempio, si potrebbero orientare le scelte di consumo verso prodotti di origine naturale, progettati con particolare attenzione rispetto al ciclo di vita, privi di componenti plastiche e con ridotto impatto sull'ambiente. A livello di comunità, è necessario sollecitare la messa in atto di politiche volte a determinare strategie di recupero e raccolta differenziata sempre più efficaci, oltre a incentivare modelli produttivi virtuosi che finalmente riducano la dispersione ambientale delle plastiche, grosse o piccole che siano.

Sarebbe necessario quindi, da una parte, proseguire nelle ricerche sulle potenziali minacce di questi contaminanti emergenti, dall'altra, regolare con norme più restrittive la produzione e la dispersione dei materiali plastici per garantire la salute del Pianeta quanto la nostra.

 

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